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Premiazione

Al teatro Pime la prima edizione del premio «Fuoco dentro»

Promosso dall’Associazione Elikya con l’Arcidiocesi di Milano, si tratta di riconoscimento per uomini e donne che, con il loro impegno, hanno illuminato la vita di coloro che hanno incontrato

di Annamaria Braccini

29 Aprile 2023
Spettacolo al teatro del Pime

Ci sono «uomini e donne che hanno dentro il fuoco regalando luce, calore, gioia. Vivono sulla faccia della terra e continuano a dare motivo per preferire la vita, invece che la morte. Sono contagiosi, aggregano persone e risorse, trasmettono qualche cosa che è come una vocazione, una chiamata ad ardere dello stesso fuoco, a dedicarsi alla stessa missione. Ho conosciuto uomini e donne con il fuoco dentro e la loro vita, la loro testimonianza, non è una stranezza nella storia del mondo, è invece una provocazione e per chi li ha conosciuti, una responsabilità, un invito a lasciarsi contagiare. Come si può, infatti avvicinarsi al fuoco senza bruciare?».

Si apre con un testo dell’Arcivescovo, ispirato a un’omelia in ricordo del fondatore del Coe, don Francesco Pedretti, la serata del teatro Pime, sede della prima edizione del premio «Fuoco dentro: donne e uomini che cambiano il mondo», promosso dall’Associazione Elikya con l’Arcidiocesi di Milano, in collaborazione con il Centro missionario Pime e il contributo di Confcommercio Lombardia e della sua articolazione di Milano, Lodi, Monza e Brianza.

Tutto nell’auditorium parla di quel fuoco, animato dal coro multietnico Elikya (guidato da oltre 10 anni da Raymond Bahati) che ha dato il nome a uno spettacolo dedicato all’ambasciatore Luca Attanasio e al premio ideato all’indomani dell’attentato in cui perse la vita, nella Repubblica Democratica del Congo.

A presentare la serata, la giornalista di «Mondo e Missione», Anna Pozzi. «Dopo il Covid abbiamo capito la potenza dei virus, ora vogliamo contaminarci con il virus del fuoco dentro», dice, nel saluto di benvenuto, il vicario episcopale di Settore, monsignor Luca Bressan, cui sono accanto il vicario generale, monsignor Franco Agnesi e diversi sacerdoti diocesani e del Pime. Tre i modi per farsi contagiare da questo fuoco. «lo sguardo per accendere lo stupore e imparare a guardare; la mente per rimanere concentrati su quello che conta, il bene che attraversa la storia anche se fa meno rumore del male e il cuore che deve tornare a battere». Un saluto cui fa eco Faustin Ntsama, presidente della Fondazione Elikyia. «Speriamo di accendere la piccola scintilla che può accendere il grande fuoco».

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Don Virginio Colmegna

La premiazione dei sei prescelti comincia da don Virginio Colmegna, anima di “Casa della Carità”. È lui che, intervistato dal direttore dell’ufficio per le Comunicazioni sociali della Diocesi, Stefano Femminis, scandisce emozionato. «Il fuoco ci è regalato dalla bellezza del Vangelo. Essere beati vuol dire la gioia di contemplare la speranza che nasce dalla carità, una sete di futuro che i poveri ci regalano. In un periodo come questo, in cui i linguaggi stanno diventando carichi di livore, ci vuole l’energia spirituale che viene dalla forza di essere innamorati del Vangelo, di stare davanti al crocifisso. Papa Francesco ha detto che la fragilità ci rende umani: il nostro è un mistero della fragilità contro il delirio di onnipotenza. Mai come ora vedo una grande domanda di senso: abbiamo bisogno di gratuità, di portare dentro la gioia del futuro. Non siamo un’impresa, una protezione civile, siamo generatori di fuoco».

Monsignor Mounir Khairallah

Della ricerca di un senso parla in un video messaggio Mounir Khairallah, vescovo Maronita di Bstroun in Libano, legato a Milano e alla Diocesi fino dal 1975, premiato come «uomo e pastore che spende con passione la sua vita per costruire una cultura di dialogo tra persone di differenti tradizioni religiose e sostiene gli sforzi perché il Libano possa tornare a essere un Paese messaggio».  A ritirare fisicamente il premio, simboleggiato da un’opera di Alfredo Rapetti Mogol, rappresentante il fuoco, l’amore e il desiderio, il giornalista e scrittore Camile Eid.  

Daniele Mencarelli

La serata del premio Fuoco Dentro al teatro Pime

Dopo altri intermezzi musicali e di intrattenimento con Gianni Ferrario (terapeuta del sorriso e della gioia) è la volta dello scrittore Daniele Mencarelli intervistato dal giornalista Giorgio Paolucci e premiato per «l’acuta capacità di immedesimazione e il coinvolgimento personale che gli permettono di arrivare al cuore delle contraddizioni e di fare rivivere ai lettori il fuoco per la felicità e la bellezza che permette di risalire dagli abissi del male e dal disagio».

«Vedo anche io una grande fame di senso – spiega Mencarelli – soprattutto da parte dei giovani. La cosa più bella per me, girando le scuole e incontrando circa 70 mila studenti, è vedere questa fame e il desiderio di andare oltre la società che abbiamo costruito.  Questi ragazzi vogliono che qualcuno sappia parlare della loro natura profonda: c’è fame di natura. Io faccio toccare il niente e loro reagiscono, perché l’uomo non è fatto per il niente».  

Margaret Karram

L’unica donna che riceve il premio è Margaret Karram, presidente del Movimento dei Focolari che si collega in video dal Giappone, in visita alle locali comunità focolarine. La sua storia è quasi l’immagine di ciò che vuole significare il «fuoco dell’unità», citato nella motivazione, che «continua ad ardere nella sua esistenza». Palestinese cristiana, nata in Israele, la presidente nel messaggio sottolinea «Il filo d’oro che lega la mia vita è una fede profondissima tramessa nel cuore dai miei genitori: la fede che l’umanità sarà una grande famiglia di popoli uniti. Quando, a 14 anni, ho conosciuto Chiara Lubich (fondatrice del Movimento), lei mi ha trasmesso la preghiera di Gesù che tutti siano uno. Ho capito che potevo amare proprio tutti per costruire ponti. Nel dialogo pongo tutta la mia speranza per la pace in Terra santa. Siamo portatori del fuoco dell’unità, operatori di pace». A ritirare il premio in suo nome arriva Silvia Escandell, delegata centrale del Movimento.

L’albero della Macedonia

Poi, ancora una sorpresa con le decine di bimbi del Collegio arcivescovile Alessandro Volta di Lecco, che cantano, danzano e recitano insieme ad Elikya, introducendo i quattro fondatori della Comunità di accoglienza L’albero della Macedonia. Ai quali va il riconoscimento perché nella realtà creata alle porte di Pavia, «Margherita e Beppe Casolo, Fatima e Mustapha Hanich portano avanti, con le loro famiglie composte da figli naturali e in affido, un’esperienza di comunità interculturale e interreligiosa che rappresenta un esempio generoso e prezioso per la società di oggi e indica un percorso positivo per il futuro del nostro Paese».

Monsignor Luigi Giussani

È stato assegnato infine il premio alla memoria, dedicato a monsignor Luigi Giussani, fondatore di Comunione e Liberazione, e ritirato da Davide Prosperi, attuale presidente della Fraternità di Cl, che ne ricorda la figura. «Don Giussani seppe lasciare – come lui stesso diceva – il paradiso dell’insegnamento in Seminario della teologia per il purgatorio dell’educazione al Liceo statale Berchet di Milano, comprendendo che la fede per i giovani era ormai slegata dalla vita di tuti i giorni. La sua proposta era capace di scaldare il cuore. Quando c’è un fuoco dentro ci si brucia.  Il fuoco di don Giussani era credere in quello che diceva. Era un vulcano che permetteva di crescere e scommetteva tutto sulla libertà delle persone». Certo per questo, come si legge nella motivazione, «anche dopo la morte, la sua testimonianza continua a essere contagiosa e feconda e a provocare molti, in Italia e nel mondo, a essere a loro volta testimoni della novità di vita generata dall’incontro personale con Cristo, sperimentato dentro una compagnia umana e nella sequela della Chiesa».

L’arcivescovo Mario Delpini

L’Arcivescovo nell’intervento conclusivo fa riferimento ai versi del poeta Giorgio Caproni. «Fa freddo nella storia e quando gli uomini e le donne se ne sono resi conto, alcuni hanno detto che la vita è brutta, che forse Dio non c’è ed è nato una specie di malumore cronico; altri hanno detto: “andiamo dove si è spento il fuoco” e si sono stremati a soffiare. Vengono giorni in cui viene da pensare a questo freddo nella storia. Cosa si può fare? Limitarsi al malumore o esasperarsi nel protagonismo? Forse abbiamo bisogno di imparare a pregare: questo è il mio augurio».

 

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