Il 4 novembre 1933 don Luigi Orione mandava a Milano il suo Vicario, don Carlo Sterpi, perché aprisse in città il Piccolo Cottolengo Milanese, «una modestissima cosa, un granello di senapa che accoglierà i nostri fratelli più derelitti che non vengono ricevuti in altri ospedali», come scrisse al cardinale Schuster. Da quel giorno sono passati 90 anni e quel piccolo seme è diventato una pianta grande e forte. E a questo anniversario si uniscono anche i 70 anni della parrocchia San Benedetto e i 60 anni della Casa del Giovane Lavoratore.
Per solennizzare queste ricorrenze, sabato 4 novembre, alle 16, presso I’Ecoteatro Don Orione di Milano (via Fezzan 11), I’Opera Don Orione promuove I’evento «Don Orione a Milano, storia di una grande Famiglia». L’Arcivescovo, monsignor Mario Delpini, porterà il suo saluto. Storia, musica, video e testimonianze racconteranno la vita di una realtà che non ha mai smesso di affidarsi alla Divina Provvidenza, fin dal suo nascere.
«La storia di questa realtà inizia nel 1933 con la prima ospite – racconta il direttore, don Pierangelo Ondei -. Don Orione l’accolse subito come un dono. L’anno successivo il dormitorio non bastò più e si dovette aprirne un altro. A poco a poco iniziarono le prime donazioni. Nel dopoguerra crebbe anche il numero di orfanelli e mutilatini accolti. Qui, oltre alla formazione professionale, hanno trovato infatti anche una vera famiglia».
Residenti, parenti, dipendenti, volontari, amici, religiose e sacerdoti: sono tanti i soggetti che compongono oggi la grande famiglia del Piccolo Cottolengo a Milano. «I nostri ospiti (“le nostre perle”, come amava definirle don Orione), oggi sono 200 anziani non autosufficienti, suddivisi in otto nuclei abitativi, due dei quali destinati ad accogliere persone affette da Alzheimer – spiega don Ondei -. E a questi vanno aggiunte 24 persone che usufruiscono della degenza abitativa per un periodo limitato».
Il volontariato, una risorsa
La comunità religiosa maschile è composta da sei sacerdoti. Il direttore e il cappellano sono operativi in sede, uno è ospitato in un nucleo e tre sono impegnati nella parrocchia locale orionina San Benedetto. Della comunità delle Piccole Missionarie della Carità fanno parte sei giovani suore provenienti dal Madagascar, che si impegnano quotidianamente con gli ospiti per l’animazione spirituale. E poi ci sono i volontari, «una risorsa importantissima, non solo perché rappresentano un collegamento con il territorio, ma anche perché portano vitalità, entusiasmo e gratuità – precisa Ondei -. Nei mesi di novembre e maggio, inoltre, un buon numero di loro allestisce lo storico banco benefico, che devolve l’intero ricavato alla nostra casa».
I dipendenti hanno diverse specializzazioni, dall’assistenza alla fisioterapia, dai servizi generali alla fisioterapia, fino all’educazione. E la provenienza è varia: oltre agli italiani (che sono la maggioranza), i Paesi di provenienza sono per lo più Perù, India e Albania.
Amici e benefattori in contatto diretto con la realtà oggi sono circa 15.500 e dimostrano il loro sostegno con la preghiera, con l’impegno a far conoscere l’Opera, con erogazioni liberali, Messe di suffragio, donazioni, lasciti e impegno in prima persona. Parte integrante della famiglia sono gli ex-allievi, un gruppo formato da coloro che tra il 1948 e 1967 hanno frequentato la casa del Piccolo Mutilato, che prevedeva una formazione scolastica e terapeutica per ragazzi, mutilati di guerra prima e poliomielitici negli anni successivi.
Ponte di collegamento tra la realtà orionina e le missioni in Madagascar è invece la Onlus «Aiutiamoli a sorridere», associazione che sostiene i bambini malgasci attraverso adozioni a distanza, donazioni e con il 5×1000.