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Intervista

Don Mapelli: «Criminalità, la Chiesa non abbia paura di metterci la faccia»

Responsabile Caritas per la Zona VI, presiede l’associazione che gestisce la Masseria di Cisliano confiscata alla famiglia Valle: «Lì lavoriamo e formiamo i giovani ai temi della legalità e della giustizia, dicendo chiaramente da che parte stiamo»

di Luisa BOVE

18 Aprile 2021
Don Massimo Mapelli

La criminalità organizzata non l’ha sempre vinta. Lo conferma la presenza attiva della Masseria di Cisliano, bene confiscato alla mafia e divenuto punto di riferimento del territorio e non solo. Apparteneva alla famiglia Valle, come ricorda don Massimo Mapelli, responsabile Caritas per la Zona VI e presidente dell’associazione “Una casa anche per te” onlus che oggi gestisce l’immobile.

Confiscata nel 2010, dopo quattro anni di processi la Masseria arrivò alla confisca definitiva. Allora qualcuno rubò il grande cancello che dava sulla strada e iniziò un’opera di devastazione. «A quel punto io, in qualità di presidente dell’associazione, insieme ad altre realtà, decidemmo di entrare, rimanendo giorno e notte a presidiare e tutelare il bene – dice il sacerdote -. In questi mesi stiamo lavorando con l’Agenzia nazionale per i beni sequestrati e confiscati, il Comune di Cisliano e la Prefettura per arrivare all’assegnazione definitiva».

Voi siete su un territorio in cui la criminalità organizzata è molto presente…
La periferia sud ovest di Milano, che comprende Cesano Boscone, Corsico, Trezzano, Buccinasco e Cisliano, ha un bene confiscato alla mafia ogni mille abitanti. Oltre alla Masseria, solo alla famiglia Valle sono stati confiscati in zona più di cento immobili. Questo, da una parte dice che c’è (e c’era) una forte presenza della criminalità organizzata, dall’altra che sul territorio esiste un tesoro di beni assolutamente da intercettare, utilizzare e mettere a disposizione di tutti.

Quali sono gli ambiti di maggiore infiltrazione?
Sono cambiati negli anni. Rimane ancora la presenza nello spaccio e nel mercato della droga. I Valle, invece, avevano aziende che gestivano slot machine e poi bar, pizzerie, ristoranti, essenziali per il controllo del territorio e per venire a conoscenza di tante informazioni.

Nel tempo ha visto cambiare la situazione?
Senz’altro in questi anni si è affinata la loro presenza. Non è più vistosa e tale da creare allarme sociale, ma è molto più sparsa e confusa con il territorio. Dai centri che erano le loro roccaforti storiche (Buccinasco, Trezzano sul Naviglio…), pian piano si sono spostati anche in Comuni più piccoli, meno sotto i riflettori, da dove riescono comunque a controllare i loro affari. Noi abbiamo in gestione anche una villetta ad Arluno, che apparteneva al boss Ciccio Riitano e che è stata confiscata nell’operazione “Area 51”, in cui sono state arrestate oltre venti persone – sparse tra le frazioni – per traffico internazionale di droga.

Ora la Masseria è una fucina di formazione dei giovani sui temi della legalità…
In questi anni siamo riusciti non solo a preservare il bene, ma a sistemare e mettere a disposizione quattro appartamenti. In cinque anni abbiamo ospitato più di cinquanta persone in accoglienza temporanea, famiglie del territorio (Cisliano, Abbiategrasso, Corsico…) che avevano bisogno di ospitalità prima di arrivare a una sistemazione definitiva. Gli altri 10 mila metri quadrati li abbiamo utilizzati per la formazione di ragazzi e giovani, che giungevano da tutta la Diocesi e anche da fuori: finora ne sono passati 11 mila, provenienti da oratori, gruppi scout e scuole. Con loro facciamo mezza giornata di formazione sul senso della presenza della Caritas in una struttura confiscata, sulla giustizia sociale, sulla figura di don Milani, sulle mafie in Lombardia, sulla storia della famiglia Valle e della Masseria. Nella seconda metà della giornata i ragazzi svolgono diversi lavori: taglio dell’erba, imbiancatura, montaggio di mobili, pulizia… La stessa villetta di Arluno aveva già subito danni per 18 mila euro, ma grazie all’aiuto di tanti giovani siamo riusciti a sistemarla e a pulirla, accogliendo due nuclei familiari. In questi giorni ci prepariamo ad accogliere il terzo.

Voi siete già un esempio, ma quale può essere oggi il contributo della Chiesa?
È un contributo molto importante e che va in tre direzioni. Primo, nelle “opere-segno” mostrare che la Chiesa si batte in prima linea perché i beni confiscati non solo vengano utilizzati, ma vadano a favore di chi ha più bisogno: non si deve avere paura di metterci la faccia e di dire da che parte si sta. Secondo, educare alla giustizia, alla carità e alla legalità, temi che già affrontiamo in Masseria, dove ci siamo resi conto che i giovani sono molto sensibili perché parliamo del loro futuro. Io dico sempre: «Voi vivete su questo territorio, studiate e diventerete professionisti, ma se c’è un bene confiscato ogni mille abitanti dovete sapere che, anche contro la vostra volontà, nel mondo del lavoro vi potrà capitare di sedervi al tavolo con alcune di queste persone, dovrete essere allenati a scegliere da che parte stare, perché non si impara in un giorno, occorre una vita». I Valle avevano un impero di società, immobili e soldi, ma per gestire tutto loro il patrimonio quanti commercialisti, avvocati, direttori di banca e persone che vivono ancora in mezzo a noi sapevano o hanno collaborato? Terzo, la Chiesa può fare molto stando vicino ai parenti delle vittime di mafia o alle vittime vive che sono state minacciate, ma anche a chi ha il coraggio di denunciare, che non deve rimanere solo. Attraverso la Masseria, che dice chiaramente da che parte sta, abbiamo raccolto qualche storia; se una persona vuole cambiare strada o denunciare, non rimane sola, la sosteniamo, la accompagniamo e ci mettiamo la faccia.

 

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