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In Duomo

Delpini: «Siamo chiamati a essere figli di Dio nella pace»

L’Arcivescovo ha presieduto la Messa della Notte di Natale. Malgrado sia «disperata, aggressiva, presuntuosa», Dio ha deciso di «prendersi cura» dell'umanità per farle contemplare la sua gloria

di Annamaria BRACCINI

25 Dicembre 2023
L'Arcivescovo porta Gesù Bambino all'altare (Agenzia Fotogramma)

«L’umanità disperata, l’umanità aggressiva, l’umanità presuntuosa che pensa di essere viva per farsi la guerra compiendo opere di morte». In un Duomo gremito di fedeli in festa, colorato di bellezza, in cui risuonano parole di pace e di gioia, in una Milano vestita di luce sfavillante nella notte di Natale, la guerra, le tante guerre che insanguinano il mondo, sembrano lontanissime, eppure non si può non pensare che proprio nella terra dove nacque quel Bambino, oggi l’umanità insensata muore e piange annegando nell’odio. Così come suggeriscono le parole dell’Arcivescovo che, in Cattedrale, presiede la Veglia e la celebrazione eucaristica nella Notte santa.

Quella in cui tutto parla del Dio che si fa uomo: l’accensione della grande stella sospesa sopra l’altare maggiore, i canti solenni natalizi eseguiti dalla Cappella musicale del Duomo – accompagnata in alcuni passaggi da un ensemble di ottoni -, la Parola di Dio, le Letture (tra le quali la tradizionale, ambrosianissima, “Esposizione del Vangelo secondo Luca” di Sant’Ambrogio, proclamata nella Veglia di preghiera che precede la Messa). Nella processione iniziale l’Arcivescovo – accompagnato dai Canonici del Capitolo metropolitano con l’arciprete, monsignor Gianantonio Borgonovo, e il Moderator Curiae, monsignor Carlo Azzimonti – porta tra le mani l’artistica raffigurazione lignea di Gesù bambino che depone ai piedi dell’altare. 

L’omelia dell’Arcivescovo

Immagine della «luce che splenderà oggi su noi, poiché per noi è nato il Signore», come dice il canto e indica la Kalenda e il brano evangelico del Prologo del Vangelo di Giovanni, nel quale si proclama: «Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo», anche se «il mondo non lo ha riconosciuto». Anche se il popolo immenso che abita la terra, sottolinea monsignor Delpini nell’omelia, «pensa di essere vivo per morire», componendo e scomponendo i corpi; «pensa che essere nati significhi appartenere a una parte dell’umanità che deve contrapporsi all’altra parte, amando quelli del proprio sangue, considerandoli amici e temendo, odiando gli altri».

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Insomma, credendo «di essere vivi per farsi la guerra», scandisce ancora l’Arcivescovo che aggiunge: «Abita la terra un popolo immenso che è convinto di nascere da volere di carne e di uomo. Pensano di essere padroni della vita, di potersi dare la vita, di poter decidere della vita, di poter costruire la vita. Pensano di essere padroni del proprio destino. Di poter fare quello che vogliono, di poter decidere il bene e il male. Pensano di essere vivi per essere padroni del mondo».

Ma è proprio di questa sua umanità sciagurata che «Dio decise di prendersi cura», rendendo possibile «contemplare la sua gloria, nel Verbo fatto carne che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità». Rivelando che «la verità dell’uomo e della donna è la vocazione a diventare figli di Dio», in una nuova prospettiva di speranza dove tutto si trasforma e il «corpo non è solo un meccanismo meraviglioso e fragile, ma la possibilità di costruire rapporti di donazione, la vocazione a essere amati e ad amare». Dove «la nascita in una famiglia, in una società, in una cultura non significa un destino di contrapposizione, ma piuttosto la vocazione a riconoscere che nel sangue si celebra l’alleanza nuova ed eterna perché Gesù ha versato il suo sangue perché tutti si sentano consanguinei, generati da Dio, per essere il popolo della pace». Un popolo che vive finalmente «la verità della libertà che è la fede» e che può «accogliere la luce ed essere nella luce», avendo «stima di sé nel riconoscere la propria vita come una vita ricevuta» e partecipando «alla gioia di Dio».

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