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Delpini, fine anno in missione

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Intervista

Delpini: «In Brasile ho visto semi di Vangelo»

Appena rientrato dalla sua visita ai fidei donum ambrosiani, l'Arcivescovo ricorda realtà ed esperienze che ha incontrato nel Paese latinoamericano

di Annamaria BRACCINI

7 Gennaio 2024
Celebrazione delle comunitá della parrocchia São Paulo VI

Un momento di comunione – lungo 8 giorni, dal 27 dicembre scorso al 3 gennaio – fatto di tanti momenti, visite, incontri, tutti vissuti in uno spirito di fratellanza e di amicizia profonda. Potrebbe essere questa l’immagine simbolica del viaggio missionario compiuto dall’arcivescovo di Milano in Brasile per visitare i tre sacerdoti fidei donum impegnati, da circa un anno, nel Paese sudamericano. A poche ore dal suo ritorno è lo stesso vescovo Mario a tracciare un primo bilancio dei giorni trascorsi nelle due Diocesi di Salvador de Bahia e di Macapà.

In un’omelia di una delle molte celebrazioni da lei presiedute, ha definito il viaggio un’esperienza spirituale. In che senso?

Nel senso che lo Spirito di Dio suscita, in modi sorprendenti e qualche volta sconcertanti, semi di Vangelo in terre che sono forse desiderose di Vangelo, forse distratte o problematiche rispetto ai valori che il Vangelo propone. Lo Spirito opera in queste terre, in quel poco di Brasile che io ho visitato.

Lei ha detto ai nostri sacerdoti fidei donum e a tutti coloro che si impegnano in quei luoghi, «siate benedetti». Come si concretizza, nel lavoro quotidiano, questa benedizione?

Ho visto che le Chiese locali che ho visitato sono particolarmente amiche della Chiesa di Milano e della nostra terra, sia a Salvador de Bahía, dove l’opera dei movimenti di Comunione di liberazione, di Avsi e altre realtà è molto apprezzata. Si tratta di una benedizione perché proprio coloro che non hanno niente, non hanno nessuno, non sanno dove andare, trovano luoghi dove sentirsi accolti, sentirsi desiderati, importanti e serviti. E così a Macapà, dove la presenza del Pime, il ricordo di Marcello Candia, di monsignor Aristide Pirovano, le visite degli arcivescovi di Milano, testimoniano quanto la benedizione di Dio abbia prodotto e continui a produrre frutti.

C’è un luogo, un’esperienza, un incontro che l’ha colpita maggiormente?

Ho vissuto esperienze molto intense, anche se, evidentemente, concentrate in tempo molto breve e in un periodo che, oltretutto in Brasile, è di vacanza, non solo per le festività natalizie, ma soprattutto perché è il tempo estivo, le scuole sono chiuse, le iniziative ordinarie sono rimandate a dopo il carnevale, come usano dire loro. I momenti più intensi credo che siano stati la visita ad alcune persone malate, gravemente disabili che sono accolte e che continuano ad essere accudite con molta sollecitudine, soprattutto lungo il Rio delle Amazzoni. Ho avuto, ad esempio, un incontro con due fratellini adolescenti, gravemente disabili, che vivono in una palafitta, come sono fatte tutte le case lungo il fiume. Una donna, che non è la mamma di questi bambini perché sono stati abbandonati, si prende cura di loro con il solo papà. Questa forma di carità semplice, di villaggio, che non gode di nessuna particolare organizzazione, mi ha molto impressionato, anche per il contesto in cui si realizza: in una foresta, ai bordi di un fiume. Così come mi ha molto impressionato la sede, nella cittadina di Santana vicino a Macapà, dove le Piccole apostole della carità, fondate dal beato Luigi Monza, offrono il loro servizio di ambulatorio e di accoglienza. Queste consacrate, alcune originarie della nostra Diocesi, continuano a svolgere il loro servizio nel contrasto tra un contesto molto degradato e un’assistenza accuratissima.

La Nostra Famiglia, Piccole apostole della Caritá

 

Riflettendo sul significato del suo viaggio pastorale, ha detto che non si tratta di una Chiesa di evangelizzazione più antica, o più ricca, che visita una Chiesa più povera, più recente, ma è questione di scambio reciproco di doni. Cosa può insegnare la Chiesa brasiliana alla Chiesa ambrosiana?

Le realtà che abbiamo visitato dicono la tanta riconoscenza che c’è per la Chiesa ambrosiana, perché hanno ricevuto molto da Milano, dalla Chiesa lombarda e italiana, basti pensare al coraggio di stare là dove la vita è più pericolosa, nelle favelas dove sono presenti i nostri preti e, più in generale, la Chiesa con le sue tante iniziative. Magari piccole cose rispetto all’enorme prepotenza del traffico della droga, della disorganizzazione, della fragilità delle famiglie, ma che, comunque, sono un segno. Le Chiese che ho visto ci possono insegnare la riconoscenza e la consapevolezza di essere poveri, in una precarietà che dice come la provvidenza ci permette di andare avanti.

La presenza dei fidei donum – laici, consacrati, consacrate, preti, non solo in Brasile naturalmente – aiuta la visione di una Chiesa in uscita, capace di essere ospedale da campo, per usare due espressioni di papa Francesco, ma anche di porsi come esempio e laboratorio di fratellanza in un mondo tanto attraversato e insanguinato dai conflitti?

Sì. Si scopre una trama molto fitta, molto varia di rapporti, di persone che partono, che prestano servizio, che si interessano le une delle altre, di brasiliani che hanno rapporti con gente della nostra Diocesi e viceversa. Questa fraternità è una trama, una fraternità, diciamo, spicciola, che non riesce sempre a essere conosciuta e riconosciuta e non riesce nemmeno, evidentemente, a essere una soluzione per problemi gravissimi. Tuttavia, penso che questo segno di una vicinanza, di una sollecitudine quotidiana, di un “ospedale da campo” sempre aperto si possa constatare dappertutto dove sono stato, anche se si tratta di un piccolissimo frammento in un’enormità di spazi e di situazioni come presenta la realtà brasiliana di cui non posso naturalmente parlare nel complesso.

Ha già in mente un prossimo viaggio missionario, una terra che vorrebbe visitare andando a trovare i nostri sacerdoti o laici fidei donum?

Credo che il prossimo viaggio sarà in Perù, poi, forse, in Congo.

A Macapà, sulle orme di Marcello Candia

Come seconda tappa del suo viaggio pastorale, l’arcivescovo si è recato nella Diocesi di Macapà, nella zona amazzonica attraversata dall’equatore. Una Diocesi recentissima, dove tanto parla della Chiesa ambrosiana. A partire da quello straordinario missionario e apostolo che fu Marcello Candia, chiamato in terra di missione da monsignor Aristide Pirovano, nativo di Erba, ambrosiano appartenente al Pime.

A 40 anni di distanza dalla morte del venerabile è viva la memoria di questa grande figura? A rispondere è il vescovo Mario che si è recato anche presso il piccolo Carmelo che proprio Candia volle che fosse presente e costruì a Macapà, e che oggi conta 4 suore brasiliane.

«Direi che questa memoria deve essere tenuta viva, perché attualmente non è molto diffusa. Il tempo ha mantenuto le opere, ma ha conservato meno il ricordo dell’uomo che fu Marcello Candia: uomo di preghiera, di carità, di ingegno e di intrapresa che ha impegnato i suoi talenti, oltre tutte le sue risorse, per dare vita a strutture che continuano a essere luogo di attenzione per i più poveri e soli».

«Siamo stati al Carmelo dove vi è anche il piccolo memoriale di Candia e dove le suore continuano a pregare, custodendo anche delle memorie, delle reliquie, della documentazione di quello che Marcello Candia ha lì operato», continua monsignor Delpini.

«Proprio le religiose mi segnalavano che, mentre le opere continuano a esistere, a essere benedette e a fare opera di benedizione, la figura di Marcello è meno presente. Chiedono, quindi, anche a noi di continuare a riconoscere e a diffondere l’importanza dell’esperienza umana, oltreché delle attività caritative da lui fondate, perché Candia è un uomo che merita molto nel suo essere così tipicamente milanese, così profondamente spirituale, così intensamente missionario». (Am.B.)