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Incontro

L’Arcivescovo alle Cave di Candoglia: «un luogo di lavoro, arte e preghiera»

La visita, volta a benedire i lavoratori e il luogo dove si estrae il marmo utilizzato per il Duomo di Milano, ha sottolineato il valore spirituale e artistico del sito

di Annamaria BRACCINI

6 Luglio 2024
© Andrea Cherchi

Una «visita di benedizione» e un modo per incontrare e ringraziare chi lavora «con tanta dedizione e impegno» per rendere sempre più splendente la «chiesa più bella del mondo», il Duomo. 

Con questo spirito, per un’intera mattinata, l’Arcivescovo Mario Delpini è salito alle Cave di Candoglia, nel comune di Mergozzo in provincia di Verbano-Cusio-Ossola, dove si estrae il pregiato marmo omonimo con cui è stata edificata la Cattedrale e continua a essere restaurata nei suoi ornati, statue e parti deteriorate.

Un impegno che, tra operai e maestranze, impiega circa un centinaio di persone – quasi tutte presenti all’incontro con il vescovo Delpini – distribuite nei tre cantieri della Veneranda Fabbrica del Duomo. Il più noto allestito presso il monumento, il cantiere marmisti, attivo in zona Certosa a Milano e, appunto, quello delle Cave. Con lavoratori che, pur cooperando alla stessa missione, talvolta non si conoscono tra loro e che raramente, per coloro che operano nei due cantieri cittadini, hanno l’occasione di entrare nella grande cava. Era infatti da 24 anni che un’iniziativa simile a quella proposta da monsignor Delpini, nel contesto più ampio delle sue visite ai luoghi di lavoro, non veniva realizzata.

Una scelta felice – l’Arcivescovo è stato accolto in un clima di semplice e sincera cordialità -, “coronata” dalla prolungata camminata all’interno della cosiddetta Cava Madre. Là dove si monitora tutto l’anno, anche con apparecchiature sofisticate e all’avanguardia, lo stato di salute della cava, il suo consolidamento e si attua la coltivazione (questo il termine tecnico più adatto per definire l’escavazione) del famoso marmo dalle sfumature bianco-grigie e rosate, noto e utilizzato già in epoca romana, dal I secolo dopo Cristo. 

La visita nel cuore della Cava Madre

Accompagnato da Francesco Canali, direttore dei Cantieri del Duomo, da Fulvio Pravadelli, direttore generale della Veneranda Fabbrica, e con le spiegazioni di un operaio di “lungo corso”, Delpini è così entrato nel cuore della Cava centrale sita a 570 metri sul livello del mare, con il suo fronte di 25 metri stretto, da entrambi i lati, da ripide pareti di roccia.

Tra argani, strumenti di contenimento, grandi blocchi e pareti di marmo, il vescovo ha indossato, come tutti, il casco di protezione, percorrendo, insieme a gruppi di operai, le ripide scale in ferro e i camminamenti e arrivando, alla fine della galleria scavata all’interno della montagna, a una profondità di circa 110 metri.

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Tutto ciò per vedere da vicino e, per così dire, “dal vivo” quel materiale di cui il signore di Milano, Gian Galeazzo Visconti, il 24 ottobre 1387, concesse l’estrazione esentasse, diremmo oggi, dando di fatto il via alla costruzione del Duomo marmoreo. La chiesa, appunto «più bella del mondo», per usare un’espressione di monsignor Delpini, con la sua storia di “cantiere ininterrotto” che prosegue da 700 anni, nascendo proprio da Candoglia, in un remoto angolo della Val d’Ossola, da cui per secoli il materiale lapideo giungeva a Milano per le storiche “strade d’acqua”, dal fiume Toce al lago Maggiore fino al Ticino e al Naviglio grande.

Un territorio, quello di Mergozzo, segnato dalla «risorsa pietra per cui l’edificazione del Duomo è stato il più importante, ma non l’unico utilizzo, facendo scuola», come ha spiegato, in un breve intervento storico, Elena Poletti, conservatrice presso il Civico Museo Archeologico locale e coordinatrice dell’Ecomuseo del Granito, che da 4 anni collaborano con la Fabbrica del Duomo.

«Il fatto di lavorare insieme, con una grande passione, per tenere vivo il nostro Duomo è bello e importante», ha aggiunto Pravadelli, mentre Canali ha richiamato «la grande fortuna di trasformare in opere ciò che ci viene affidato, con una scommessa quotidiana e il contatto con la natura che ci dà il senso della delicatezza e dell’attenzione di ciò che facciamo». 

Le parole dell’Arcivescovo

Infine, a prendere la parola è stato l’Arcivescovo che ha definito Candoglia, «un luogo di lavoro, ma anche di bellezza, arte e preghiera», consegnando a ognuno dei presenti la sua immaginetta rappresentante la Madonnina e spiegando la breve invocazione sul retro, da lui stesso composta.

© Andrea Cherchi

«In ogni momento in cui voi fate del bene, che sia la qualità del vostro lavoro, dei vostri rapporti in famiglia, la qualità del vostro cammino di fede nelle comunità che frequentate, Dio vi è alleato.Quindi, possiamo avere coraggio anche per affrontare momenti difficili. Dio è nostro alleato per il bene, ci accompagna, dà luce per capire, forza per resistere, coraggio per affrontare le sfide. Noi benedetti da Dio diventiamo benedizione per gli altri: continuiamo a infondere questa luce, questa forza, questo coraggio, questa tenacia. La benedizione di Dio che ci ama, ci rende capaci di amare e di avere stima in noi stessi, ma ci chiama anche a una vocazione santa, a essere sempre più conformi a Gesù. La promessa di Dio è il fondamento della invincibile speranza. Questo è il ricordo che vi lascio per questa visita e che voglio raggiunga anche le vostre case, i vostri posti di lavoro».

Per concludere la mattinata, sotto un sole splendido, non è mancato anche un momento conviviale, ai piedi della maestosa, e comunque misteriosa e silente, millenaria Cava Madre.