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Incontro

Delpini: «Costruire laboratori di pensiero per incidere nella società»

Presso il Centro pastorale di Seveso si è svolto il dialogo tra l’Arcivescovo e i delegati regionali dell’Associazione Amici dell’Università Cattolica, nel contesto della Tre giorni promossa in occasione della 100esima Giornata per l’ateneo

di Annamaria BRACCINI

6 Aprile 2024

L’arte di pensare, la vita come vocazione e risposta a una chiamata, la fiducia, la gioia, il saper resistere, con spirito critico, alle opinioni del pensiero unico.

Sono queste alcune delle parole-chiave che, come fili preziosi, hanno annodato la riflessione dell’Arcivescovo nel “caminetto” serale, o meglio, un serrato question time con alcuni delegati regionali dell’Associazione Amici dell’Università Cattolica, svoltosi presso il Centro pastorale di Seveso nel contesto della Tre giorni promossa in occasione della 100esima Giornata per l’Università.

Riuniti per il loro incontro nazionale, i delegati, hanno così posto 13 domande al vescovo Mario Delpini, nella sua doppia veste di guida della Chiesa ambrosiana e di presidente dell’Istituto “Giuseppe Toniolo”, di Studi Superiori, ente fondatore dell’Ateneo, presente il segretario generale dell’Istituto stesso, Enrico Fusi.

Moderata da Piera Roncoletta, delegata regionale delle Tre Venezie, la serata ha così avuto il sapore di una riflessione a 360° sull’oggi e sul domani dell’Università dei Cattolici italiani secondo il tema della 100° Giornata: la domanda di futuro delle giovani generazioni.

Dai rappresentanti del nord fino a quelli dell’estremo sud, sono state molte le esperienze e gli interrogativi che si sono intrecciati, a partire dalla prima terna di domande, poste da Maria Antonietta Valenti, vicedelegata della Puglia – “Che strada seguire per una formazione permanente dei giovani?” -, da Gemma Giannini di Lucca – “Come creare un villaggio educante per giovani che paiono un poco addormentati?” – e dal delegato diocesano di Acqui, Emanuele Giovanni Rapetti, su “Come essere missionari oggi e cristiani attraenti?”.

Da qui le prime parole definite «provocazioni», venute dall’Arcivescovo che, per la Giornata ha scritto un suo Messaggio proprio centrato sulla domanda di futuro. 

La fiducia, la gioia, la vocazione

«La mia prima parola, forse oggi poco compresa, è fiducia, I cristiani sono originali e ritengo che questo sia il clima con cui affrontare tali questioni, perché crediamo in Dio e questo vuole dire avere un principio di fiducia invincibile».

Inoltre, «la gioia che è parola evangelica. Per rispondere alla domanda su come si faccia a essere missionari credibili, il primo messaggio è testimoniare la gioia sorprendente di chi porta una buona notizia che è, appunto, il nome del Vangelo». 

Infine, «la vocazione, che significa che siamo vivi e chiamati a vivere. Una cosa – questa, nota il vescovo Mario – incomprensibile per la realtà contemporanea che censura tale concetto, privilegiando sempre l’io mentre noi viviamo di una vita ricevuta. La nostra vita è la risposta a una chiamata».

«Condivido le vostre analisi sul campo e le immagini che usate. Mi pare che i ragazzi siano veramente addormentati, trovando noioso ciò che diciamo, usando la religione come un’etichetta identitaria, ma la vocazione, un termine che pare non avere più senso, è il punto decisivo per contrastare la disperazione adolescenziale e dei giovani. Perché un giovane dovrebbe diventare adulto se i genitori, i nonni, gli insegnanti si lamentano di tutto? Una persona diventa adulta perché si sente chiamata, ma se la chiamata non c’è o non è compresa, è ovvio che i ragazzi rimangano sul divano», a “balconar”, come dice papa Francesco.

L’indicazione, rivolta ai delegati, è di essere lievito e sale, come dice il Vangelo. «Talvolta, abbiamo l’idea che sia necessario essere tanti, trascinare le folle, ma è un’illusione pensare alla popolarità. Bisogna che ci sia qualcuno, un gruppetto che arde, un pizzico di sale. Il Vangelo parla del sale della terra: il problema non è quanti se ne sono andati, ma quanto sono ardenti quelli che ci sono».

Si prosegue con la Lettura della domanda del delegato del Piemonte, relativa a “cosa possa fare l’Istituto Toniolo per rendere armonioso il rapporto tra l’Ateneo e la Chiesa Italiana”, con Fiorenzo Scaranello di Rovigo, su “Come l’Università può ricostruire legami di senso e una pastorale nuova, magari con un ruolo del delegato diocesano in funzione di coordinamento e promozione” e con Alberto Ratti della Lombardia su “Come rafforzare il legame della “Cattolica”, voluta da Toniolo, Gemelli, Barelli e un indimenticato rettore come Lazzati, con le Diocesi italiane, le associazioni e. movimenti”. Giovanni Lanzillotta, delegato regionale della Calabria, sintetizza: “Oggi la “Cattolica” e la Chiesa si parlano?”

Creare laboratori di pensiero

Chiara e per tutti la risposta dell’Arcivescovo. «Mi sono fatto l’idea che è impossibile parlare per ipostasi come la Chiesa italiana o l’Università Cattolica. Il riferimento alla storia, alle origini è importante, ma faccio fatica a domandarmi se l’Ateneo parli con la Chiesa italiana. Certo, vi sono legami istituzionali, ma sono piuttosto incline a pensare che la realtà sia fatta di laboratori in cui si lavora intorno alla realtà, come l’“Osservatorio Giovani” dell’Istituto Toniolo – nella Tre giorni viene presentato il nuovo dossier dedicato a giovani e rapporto con la fede e la spiritualità –  dove  si vede che l’Accademia lavora per la Chiesa.  I delegati sono una presenza esile, ma possono creare laboratori di pensiero su temi che preoccupano, come la famiglia, l’economia, i giovani. Ci sono dei luoghi in Italia, centri di formazione, spazi di lavoro, dove c’è gente seria che fa cose serie: la “Cattolica” si rende apprezzabile non per il clamore mediatico, ma perché lavora bene, basti pensare alla rivista “Vita e Pensiero” o alla rivista del Clero italiano che, da 100 anni, è uno strumento utile e autorevole. Dovete giocarvi voi laici in prima persona, i preti sono ancora troppo determinanti. Pensate ad Armida Barelli che da sola è arrivata, per capacità di contagio, anche nel più remoto paesino del nostro Paese. Oggi abbiamo bisogno di santi: diventate santi e cambiamo l’Italia».

Leadership e futuro 

E ancora, Giovanni Battista Abbate dalla Campania, fa riferimento alla “grande ideologia sociale con cui è nato l’Ateneo”, Antonio Contardo della Puglia parla della “terza missione” dell’Università e di come far tornare i laureati nei territori di origine, Roncoletta torna su “Come contribuire alla formazione di una classe dirigente, oggi una leadership, che sappia progettare il futuro dei giovani”.

«La potenzialità della “Cattolica” è all’altezza di queste sfide», sottolinea subito il vescovo Mario. «Mi pare, però, che ogni Dipartimento e Facoltà proceda con propri progetti dettati più da quanto c’è di promettente nel mercato piuttosto che da una visione complessiva. Non so come si possa diventare una voce persuasiva e unitaria in questo spezzettamento di discipline. Credo che si tratti di una paziente opera di costruzione di un orientamento condiviso, perché al fondamento di tutte queste ricerche vi è una radice: Dio e la visione cristiana che tutte queste particolarità sembrano offuscare. E improponibile immaginare una riproposizione del tempo eroico delle origini, che pure ha creato tante personalità significative nel Paese. Oggi sfugge il riconoscimento di un orientamento unitario, non perché i docenti e gli assistenti non siamo attenti a questo aspetto, ma perché il pluralismo scoraggia una visione di insieme».

Si conclude con Cesare Fattoi della Toscana, che si interroga sulla “conciliazione dei tempi della modernità e della fede”; Alberto Borghetti della Diocesi di Verona – “Come la Uc può diventare un faro di chiarezza e verità di fronte a tante false notizie?” – e Riccardo Michele Colangelo di Pavia, che si sofferma sull’intelligenza artificiale e “quale contributo possa dare anche a beneficio dei più giovani”.

Coltivare spirito critico

Tornano, anche in questo contesto, quelle che l’Arcivescovo chiama «le parole irrinunciabili»: per i tempi, «l’arte di celebrare».

«Contro un’idea dell’individualismo che magari nega gli affetti, il generare, volere figli e condanna alla solitudine, occorre acuire il senso del ritmo del giorno del lavoro e della festa. Celebrare è sperimentare la gratuità del tempo come condivisione. La Chiesa ha creato un calendario, per dare un senso comunitario e teologico al tempo, dove la celebrazione domenicale è il punto luminoso della relazione con Dio. Questo è il segreto per dare al tempo il significato antropologico di cui abbiamo bisogno». Poi, «pensare, anzi, l’arte di pensare esercitando spirito critico, chiedendosi se una notizia è vera. Pensare è una parola rara, ma necessaria per non essere dei burattini. Terzo, resistere, cioè avere una struttura spirituale sufficientemente forte per non lasciarsi trascinare dall’opinione diffusa. Alzate la mano e dite che su qualcosa non siete d’accordo, anche questa è la funzione dei cattolici, di gente come i nostri padri che hanno capito e hanno resistito al fasciano e all’ideologia comunista».

La serata è suggellata dal saluto e dai ringraziamenti del segretario generale del “Toniolo”, Fusi che ne sottolinea l’importanza «perché dovremmo chiederci quali scelte operare in vista del grande cambiamento in atto nelle Università e, per la “Cattolica” con la fine del mandato dell’attuale Rettore. Occorre rinsaldare il rapporto con il territorio, magari con gli strumenti delle nuove tecnologie», osserva. Insomma, la sfida è aperta.