«La notte, gli incubi. La notte del fumo, del fuoco, del terrore. Al pensarci siamo invasi dall’angoscia: fratelli e sorelle intrappolati nella casa dove si stava bene, si cantava, si faceva festa e si pregava Dio per i vivi e per i morti. E poi quella notte, la tremenda notte».
Sembra di riviverla, nelle parole dell’Arcivescovo, quella notte illuminata dal rogo che ha ucciso 6 anziani, ospiti della “Casa dei coniugi” di via dei Cinquecento, nel cuore del “Corvetto”, uno dei quartieri storici della periferia urbana a sudest di Milano.
La notte della tragedia che ha scosso la città e il Paese, per cui un’intera comunità, convocata dal dolore e dalla preghiera, si riunisce nella grande chiesa di San Michele Arcangelo e Santa Rita per recitare il rosario. A pochi metri c’è la Rsa “Virgilio Ferrari” e, dopo ancora una manciata di passi, la “Casa”, come la chiama semplicemente qualcuno entrando in chiesa dove trovano posto la gente del quartiere, le religiose presenti nel territorio, le consacrate della vicina Associazione Nocetum, i membri della Comunità di Sant’Egidio, da tempo impegnati nell’assistenza agli anziani in zona, e i monaci di Chiaravalle con l’abate, padre Stefano Zanolini che è accanto al vescovo Mario durante la recita del rosario. In prima fila, anche le autorità, con gli assessori comunali alla Sicurezza, Marco Granelli, in rappresentanza del sindaco con la fascia tricolore, e Lamberto Bertolè al Welfare e Salute.
Una tragedia che smuove l’ottimismo di facciata
In apertura, il parroco don Roberto Villa dice: «Recitiamo due Misteri del dolore, ma anche tre della Gloria che indicano la speranza che è speranza di vita». Una speranza, che pur nello sgomento quando vengono letti i nomi delle 6 vittime, si fa emozione palpabile, come aveva già sottolineato l’Arcivescovo, parlando con i cronisti al suo ingresso nella parrocchiale. «Il Vescovo può portare solo la preghiera per i morti, per i familiari, per coloro che sono coinvolti in questa tragedia. Non ci sono più molte parole da dire e io stesso rimango senza parole. Serve conforto per i familiari, per tutti coloro che si sono prodigati, per chi ha potuto essere salvato; serve incoraggiamento e ringraziamento per i Vigili del fuoco. Una tragedia così profonda fa soffrire le persone direttamente coinvolte e preoccupa tutti noi per le condizioni di sicurezza».
E se «certamente – ha proseguito il vescovo Mario – questa tragedia mette sotto gli occhi tutti l’evidenza delle persone fragili e chi conosce Milano sa quanta povertà esiste», tuttavia «sa anche quante risorse ci sono per migliorare le condizioni dei più fragili. La tragedia che è sempre un insulto alle capacità organizzative, all’ottimismo di facciata, forse, richiama l’attenzione dei distratti, ma le persone che abitano qui e vivono in città si fanno carico di tali fragilità. Penso che le Istituzioni debbano interessarsi di questo».
Sentimenti che tornano, pur con diversi accenti al termine della preghiera, nella riflessione dell’Arcivescovo.
Dio guarisca, consoli, incoraggi
A tutti va il pensiero di monsignor Delpini, partendo dai soccorritori, da chi ha avuto «un abbraccio, una parola buona per rassicurare, accompagnando, trasportando, prendendo in braccio una vita leggera che trema di paura. Per questo stasera preghiamo, perché coloro che hanno prestato soccorso sentano la gratitudine di tutti coloro che sono stati salvati e di tutti noi».
E, poi, chi non è sopravvissuto, a cui il vescovo Mario pare rivolgersi direttamente. «Quando l’abbraccio dei fratelli non arriva in tempo, ecco l’abbraccio di Dio: sembra una morte ed è un incontro. Forse non immaginavi che fosse così doloroso morire e in modo così tragico. Infine, però, la pace. Ecco, voi che siete morti, chiedete a Dio una consolazione per i vostri cari, i vostri familiari, che restano sgomenti per questa tragedia. Fate una carezza a chi non può più accarezzare il vostro volto, né stringere la vostra mano. Per questo stasera preghiamo, perché i familiari delle vittime ricevano un messaggio di consolazione».
La preghiera per chi sta soffrendo
La preghiera è anche per chi si è salvato e sta soffrendo «il dolore fisico che gli altri non possono immaginare e lo shock che insegue come un mostro spaventoso. I feriti invocano presenze amiche e cure per avere sollievo: per questo stasera preghiamo, perché le premure affettuose offrano alle persone ferite una testimonianza della tenerezza di Dio».
Senza dimenticare lo smarrimento di coloro che hanno perso abitudini rassicuranti e certezze, come «gli ospiti trasferiti per necessità là dove non conoscono nessuno e non sono conosciuti da nessuno, non sono di nessuno. Per tutti è un disagio dover cambiare improvvisamente casa e comunità, ma per le persone anziane è ancora più difficile. Per questo preghiamo stasera, perché ci siano attenzioni e carezze e si sentano rassicurati, anche in contesti sconosciuti, gli ospiti che sono stati trasferiti altrove».
Infine la “Casa” stessa «devastata e spaventosa». Una «casa che ospitava affetti e attenzioni, che accoglieva solitudini per farne comunità, che invitava familiari e volontari, operatori e professionisti per assistere, è nel quartiere come una inquietudine, come un’accusa, come un disastro. Per questo preghiamo, perché le case non facciano mai paura, perché sempre si provveda perché nessuno sia in pericolo là dove abita. Preghiamo Dio che consoli, che guarisca, che incoraggi e che sia premio per il bene compiuto e l’aiuto offerto».