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Anniversario

Colombo, la teologia a confronto con la realtà e in dialogo con tutti

Allo studioso e docente, nel centenario della nascita, dedicati un volume e un convegno il 28 settembre in Facoltà teologica, con l’intervento dell’Arcivescovo. Lo ricorda un suo allievo, don Alberto Cozzi, insegnante presso la stessa Facoltà

di Annamaria BRACCINI

26 Settembre 2023
Monsignor Giuseppe Colombo

Un’eredità feconda che non si esaurisce nel tempo, un insegnamento che continua a indicare una strada, un metodo di studio e di ricerca. È quella lasciata da monsignor Giuseppe Colombo – per tutti don Pino – per cinquant’anni punto di riferimento per la teologia non solo italiana.

Nato ad Albiate (allora in provincia di Milano) il 30 settembre 1923, sacerdote ambrosiano dal 1948, docente in Seminario nel 1956, morì il 13 giugno 2005. Per ricordare il centenario della nascita, giovedì 28 settembre, alle 10.15, presso la Facoltà teologica dell’Italia settentrionale, si svolgerà un convegno, aperto dall’Arcivescovo, che vedrà la prolusione del cardinale Marc Armand Ouellet e la presentazione del volume Il venire di Dio nella storia umana: Nuove riflessioni sullEucaristia, curato dai due docenti e teologi presso la stessa Facoltà, monsignor Sergio Ubbiali e don Alberto Cozzi. Ed è proprio quest’ultimo, allievo di monsignor Colombo e ordinario di Teologia sistematica, a ricordarne la figura.

Come sorse la cosiddetta Scuola di Milano” con listituzione della Facoltà teologica, allora interregionale?
Tutto nacque, nel 1968, dall’esigenza di portare la teologia in città. Dal punto di vista di don Pino Colombo questo voleva dire che il Seminario di Venegono rimaneva il luogo dell’insegnamento, al quale però occorreva affiancare un luogo per la ricerca – a me piace chiamarla «la casa della ricerca» – dove lavorare su una teologia in dialogo con la cultura e capace di interpretare la realtà nella sua integralità.

Cosa significò questo passaggio?
Ebbe il senso, appunto, di mostrare come la fede abbia uno sguardo aperto sulla realtà. Rimangono famosi alcuni convegni teologici che si svolsero a Milano negli anni Ottanta, nati appunto dal confronto con i temi di attualità ecclesiale e dedicati, per esempio, a nuove esperienze pastorali, alla Dottrina sociale della Chiesa, ad aspetti politici e della democrazia.

Questo ampliò lorizzonte teologico anche per il laicato?
Certamente si trattava di fare teologia non solo rivolta ai sacerdoti o ai futuri presbiteri, ma anche a laici che non sono estranei a una ricerca specifica di tipo sistematico, a cui don Pino si dedicò sempre. La preoccupazione nel portare la teologia a Milano era quella di ampliare anche i soggetti della teologia, non solo i destinatari, proprio perché il sapere critico della fede, che è la teologia appunto, ha il coraggio e la capacità di misurarsi con tutti. Questo permetteva a molti di chiamare don Pino non semplicemente un maestro, ma addirittura un padre. Il suo rimaneva un lavoro teologico che non che si prestava alle mode culturali, ma riaffermava tutta l’originalità della fede e quanto essa sia ospitale per tutti. La logica del volume che presenteremo vuole dimostrare come l’eredità di don Pino sia ancora vivace.

Come prosegue questa eredità?
A due livelli. Il primo è legato al fatto che don Pino aveva creato un’équipe di giovani teologi che ha portato avanti il suo lavoro, con una lezione che è rimasta, così, nei cuori e nella mente di tanti. Mi pare importante ricordare la sua capacità di riassestare sempre il discorso teologico sui suoi assi fondamentali e di non lasciarsi confondere dalla complessità post-moderna. La sua eredità prosegue perché è stato capace di creare una scuola e un metodo di lavoro. D’altra parte, i manuali che vengono ancora utilizzati per i corsi di Teologia in Seminario e in Facoltà sono ispirati alle sue famose dispense di centinaia di pagine che venivano continuamente aggiornate. Alcune sue intuizioni di base rimangono come la sintesi di una scuola di pensiero.

Un ricordo personale?
Mi ha sempre colpito che, per le lezioni, non si presentasse lui, ma occorresse andare a prenderlo nel suo studio. Qualcuno vi leggeva una sorta di supponenza, ma credo che la logica di don Pino fosse che, quando la classe è pronta a ricevere un insegnamento teologico, va a chiamare il professore. Questa era la sua idea di rivelazione: Dio non s’impone, si propone, rispondendo a un desiderio dell’uomo, il quale deve accogliere questa stessa rivelazione.