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Sirio 09 - 15 dicembre 2024
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Milano

Caritas, ai centri di ascolto
uno su tre è italiano

Presentato il Rapporto sulle Povertà in Diocesi: quasi la metà di chi chiede aiuto è un vecchio assistito, over 55 senza lavoro a rischio di povertà cronica. Don Davanzo: «Situazione sociale drammatica»

30 Ottobre 2014

Aumentano gli italiani. Chi ha perso il lavoro non lo ha ritrovato. I disoccupati di lungo corso raggiungono ormai quelli che hanno perso il lavoro nell’ultimo anno. I più penalizzati risultano le persone tra i 55 e i 64 anni, troppo giovani per andare in pensione, troppo vecchie per ritrovare una nuova collocazione, che rischiano di diventare poveri cronici. Diminuiscono le donne straniere che cercano lavoro come badanti e colf, una figura tipica tra gli utenti dei servizi della Caritas. Prevale la sfiducia e la frustrazione: si smette di cercare lavoro e si chiedono aiuti economici per pagare bollette e mutui. Questi sono gli effetti di sei anni consecutivi di crisi economica sul territorio della diocesi di Milano secondo il Rapporto sulle Povertà della Diocesi di Milano, presentato questa mattina nel corso di un convegno, nella sede di Caritas Ambrosiana.

Al centro del dibattito anche la questione degli stranieri. Al contesto sociale difficile del nostro Paese si aggiunge una lunga crisi politica in Medio Oriente e nei Paesi della sponda sud del Mediterraneo. In mancanza di una risposta politica all’altezza della situazione, i flussi di profughi in fuga da guerre e persecuzioni rischiano di esasperare le tensioni sociali sul nostro territorio. Il direttore di Caritas Ambrosiana don Davanzo «In questa situazione drammatica il non profit e il territorio mostrano una grande capacità di reazione e sono la migliore risposta a quelle forze politiche che vorrebbero alimentare pretestuose guerre tra poveri al solo scopo di guadagnare qualche margine di manovra politica».

Sempre più italiani

Secondo il Rapporto sulle povertà dal 2008 al 2013 gli italiani che chiedono aiuto ai centri di ascolto sono aumentati in media del 4% all’anno e sull’intero periodo del 23,5%. Se dunque prima della crisi erano un quarto degli utenti, nel 2013 sono diventati un terzo.

Chi ha perso il lavoro non lo ha ritrovato

Dallo scoppio della crisi economica, nel 2008, la presenza dei disoccupati di lungo periodo, cioè di persone che hanno perso il lavoro da più di un anno, è aumentata del 74,4% a dimostrazione della sempre più marcata difficoltà del mercato del lavoro di assorbire l’eccesso di disoccupazione.

Dopo 6 anni di crisi i disoccupati di lungo periodo, per numero, hanno ormai raggiunto quelli che hanno perso il lavoro da meno di un anno. La situazione riguarda tutte la fasce di età. Ma la fascia più a rischio, in particolare, è quella tra i 55 e i 64 anni che sebbene rappresenta ancora l’11% del totale, fa registrare l’aumento maggiore (+29,3%) durante gli anni della crisi.  Nel 2013 il 60% di costoro risulta disoccupato, una percentuale simile a quella del 2008. Tuttavia mentre nel 2008 coloro che non avevano un’occupazione da più di un anno in questa classe di età erano il 21,4%, nel 2013 sono saliti al 29,8%; mentre, di contro, coloro che erano senza lavoro da meno di 12 mesi sono calati passando nello stesso arco di tempo dal 41,4% (2008) al 31,4% (2013). Si tratta di persone che avendo maggiori difficoltà di altri a ricollocarsi nel mercato del lavoro ed essendo ancora lontane dal maturare una pensione, rischiano di diventare poveri cronici senza nessuna assistenza pubblica. Una condizione di mezzo che rischia di trasformarli in “esodati a vita”.

Aumentano i vecchi assistiti

In generale chi entra nel circuito dell’assistenza fa sempre più fatica ad uscirne. Il numero dei “vecchi assistiti” cioè quelle persone che si sono presentate nei centri di ascolto almeno una volta per due anni consecutivi è passato dal 31,9% nel 2008 al 44,8% nel 2013. Altro fattore rivelatore della difficoltà delle persone a “cavarsela da sole” è il numero medio dei colloqui per persona effettuati dai volontari in un anno saliti da 2 (nel 2008) a 3 (nel 2013). 

Prevale la sfiducia e la rassegnazione: crescono le richieste di aiuti economici

Il mercato del lavoro bloccato genera sentimenti di frustrazione al punto che si può decidere, in alcuni casi, persino di smettere di cercare un nuovo impiego. La dinamica è ben espressa dall’andamento dei bisogni e delle richieste espressi da chi chiede aiuto. Anche nel 2013 la persone che si sono rivolte ai centri e ai servizi Caritas hanno manifestato soprattutto bisogni legati all’occupazione (57,9%), al reddito (53%) e all’abitazione (14,9%). Tuttavia mentre nei primi anni della crisi il bisogno di lavoro è andato aumentando, dal 2010 in poi si è assistito ad un progressivo calo. Al contrario il bisogno di reddito ha fatto registrare un tasso di incremento medio annuo del +5,2% . Non riuscendo a trovare un novo impiego, ci si rivolge ai centri Caritas per ricevere un aiuto ad affrontare le spese non comprimibili: bollette e affitti. Non è un caso che tra il 2008 e il 2013 il numero di chi ha chiesto sussidi economici è aumentato del 131%.

Gli stranieri: diminuiscono le immigrate che cercano lavoro come colf e badanti

Il Rapporto di quest’anno conferma una lieve flessione della presenza dei stranieri, dovuta soprattutto al calo di donne immigrate (-19,2% rispetto al 2008) che oggi più che mai faticano a trovare un’occupazione nell’ambito dell’assistenza familiare e domestica proprio perché le  donne italiane, avendo perso il lavoro, assolvono da sole quelle mansioni di cura che prima affidavano loro; o perché – sebbene i casi risultano statisticamente poco significativi – le aspiranti colf e badanti straniere subiscono la concorrenza delle italiane che si candidano per gli stessi impieghi.

Detto ciò gli stranieri rappresentano ancora la maggioranza degli utenti dei centri di ascolto (68,5%, sommando la percentuale di comunitari, regolari e irregolari).

Il rapporto evidenza le crescenti difficoltà degli italiani e degli stranieri a trovare un lavoro e il peggioramento delle loro condizioni di vita. Tuttavia non fa emergere al momento elementi che possano far pensare ad un’inversione di tendenza dei flussi migratori. E se anche un calo di nuovi arrivi c’è stato non è tale da determinare una diminuzione della popolazione straniera che, infatti, dati Istat, negli anni della crisi continua ad aumentare passando in Lombardia da 904.816 unità (2008) a 1.129.185 (nel 2013) e in Italia da 3.891.295 unità (2008) a 4.922.085 (2013). L’impressione è che gli stranieri, pur in difficoltà, preferiscono restare, adattandosi anche a situazioni lavorative più precarie e irregolari, piuttosto che tornare nei loro paesi di origine.

«Un nuovo sistema di accoglienza per profughi più flessibile e meno assistenzialistico»

In questo contesto si inserisce la vicenda dei profughi. Dopo la cosiddetta Emergenza Nord Africa (2011-2013) avvenuta a seguito delle Primavere arabe e della caduta del regime di Gheddafi in Libia, Milano in particolare è divenuta dal mese di ottobre 2013 meta di cittadini siriani.  «La grande instabilità politica in Medio Oriente e sulla sponda sud del Mediterraneo, espone il nostro paese per la sua posizione geografica a flussi anomali di cittadini in fuga da guerre e persecuzioni. Se non riconosceremo questo fatto, e non ci assumeremo le responsabilità che ne derivano, rischiamo di dare risposte insoddisfacenti e acuire sul territorio le tensioni sociali già esasperate dalla crisi economica – osserva don Davanzo -. «Proprio per evitare che l’impatto di questi flussi esasperi una situazione sociale già sofferente , va messo mano al nostro sistema di accoglienza dei richiedenti asilo, superando la logica assistenzialistica, dando ad esempio la possibilità ai richiedenti asilo di lavorare da subito;  e distribuendo meglio sul territorio la presenza dei rifugiati in modo che coloro che hanno esperienza in ambito agricolo, siano inseriti nelle zone rurali del nostro paese e non in contesti industriali dove non hanno alcuna chance di trovare un lavoro al termine del programma di accoglienza».

La risposta del volontariato alla guerra tra poveri

Mentre aumentano le richieste di assistenza, diminuiscono le risorse pubbliche per farvi fronte a causa dei tagli al welfare degli ultimi anni. Tuttavia proprio il privato sociale ha mostrato una grande capacità inventiva nell’offrire una risposta alla domanda di aiuto. Il Rapporto individua 30 progetti realizzati dalle Caritas parrocchiali, in collaborazione con associazioni e cooperative. A Rozzano, ad esempio, i richiedenti asilo consegnano la spesa a domicilio agli anziani. Nel quartiere Molise-Calvairate a Milano un gruppo di volontari ha aperto nella scuola di italiano per stranieri uno spazio-gioco dedicato ai bambini per dare la possibilità alla mamme di frequentare le lezioni. «Ancora una volta il non profit e il territorio mostrano una grande capacità di reazione e sono la migliore risposta a quelle forze politiche che vorrebbe alimentare pretestuose guerre tra poveri al solo scopo di guadagnare qualche margine di manovra politica», conclude don Davanzo.

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