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Un nuovo Giubileo

Sirio 22 - 31 dicembre 2025
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In Duomo

Agnesi: «Guardiamo al futuro con la speranza che non delude»

«Il male non ha l’ultima parola»: così il Vicario generale nell’omelia della celebrazione conclusiva del Giubileo in Diocesi, nella quale ha alternato le sue riflessioni con passaggi del messaggio dell’Arcivescovo, in viaggio missionario in Zambia

di Annamaria BRACCINI

28 Dicembre 2025
Monsignor Agnesi durante l'omelia (Agenzia Fotogramma)

«Pellegrini di speranza, ora che il Giubileo si conclude, continuate ad andare per questo mondo complicato e sbagliato, per dire di una vita che è vocazione ad aggiustare il mondo, per dire di una Chiesa che apre le porte per ospitare la miseria e farvi risplendere la misericordia di Dio in Gesù Signore». È questo l’auspicio con cui l’Arcivescovo conclude il suo messaggio inviato a tutti i fedeli ambrosiani per la chiusura del Giubileo in Diocesi (leggi qui).

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La celebrazione

A un anno pressoché esatto dall’apertura – era il 29 dicembre 2025 -, questo è anche il messaggio che il Vicario generale, monsignor Franco Agnesi esprime nella celebrazione che presiede in Duomo al termine dei 12 mesi giubilari, leggendo diversi passaggi di monsignor Delpini impegnato in questi giorni in Zambia dove sta visitando i nostri sacerdoti fidei donum.

Messa concelebrata dai Canonici del Capitolo della Cattedrale, da alcuni membri del Cem – tra cui il Vicario episcopale per la Zona pastorale I monsignor Giuseppe Vegezzi, il Moderator Curiae monsignor Carlo Azzimonti, il rettore del Seminario don Enrico Castagna -, da parroci e rettori delle 15 chiese giubilari diffuse nel territorio diocesano. Proprio a significare il profondo e fecondo legame del Giubileo vissuto da decine di migliaia di persone in terra ambrosiana e a Roma con i pellegrinaggi per il passaggio delle Porte sante.

La riverenza alla riproduzione lignea di Gesù Bambino (Agenzia Fotogramma)

Non mancano altri segni e simboli che, anche in Cattedrale, ben delineano il senso dell’evento, con la processione d’ingresso guidata dalla croce del Sinodo minore “Chiesa dalle genti”, proprio a significare la Chiesa che siamo e che vogliamo sempre più essere; la presenza di rappresentanti del Corpo consolare – a identificare l’universalità del messaggio di speranza rivolto al mondo intero dall’Anno santo – e la partecipazione dei membri  dell’Arciconfraternita del Duomo, del Sovrano Ordine di Malta, dei Cavalieri del Santo Sepolcro e di altre Confraternite della Diocesi. Senza dimenticare l’animazione liturgica e dei canti, tra cui quelli finali del Magnificat, per rendere grazie, e l’Inno del Giubileo.   

La processione iniziale con la Croce del Sinodo minore (Agenzia Fotogramma)

Un cammino di speranza

«Un anno fa entravamo in Duomo, accompagnati dalla Croce della Chiesa dalle genti, per dare inizio solenne al Giubileo della Speranza. Oggi, con la stessa Croce, ci ritroviamo per rendere grazie, per riconoscere le fatiche, per incoraggiare la fiducia», dice, avviando la sua omelia, il Vicario generale, che fa riferimento alla felice coincidenza liturgica per cui, secondo il Rito ambrosiano, il 28 dicembre si ricordano i Santi Innocenti Martiri.

«Proprio tale memoria – spiega – ci aiuta a collocare la celebrazione nel contesto di questo periodo in cui emerge in modo raccapricciante l’eccesso del male, della violenza che si abbatte su innocenti e spesso innocenti bambini. Anche oggi risuona la promessa che ha ispirato questo Anno santo: la speranza non delude, il male non ha l’ultima parola. Con questa speranza guardiamo al futuro, per quanto incerto, sapendo di contare sulla presenza di Colui che ha vinto il male. Questa speranza fondata sulla fede ci hanno testimoniato i cristiani di Terra Santa durante il Pellegrinaggio giubilare dei Vescovi lombardi».

Il Giubileo è la Chiesa che apre le porte

Poi, in una sorta di Confessio laudis, la parola passa nuovamente a quanto ha scritto l’Arcivescovo, ringraziato per la sua guida «instancabile di tanti cammini giubilari» e che, nel suo messaggio, si domanda che cosa hanno visto i pellegrini di speranza.

Immediata la risposta: «I pellegrini di speranza hanno visto la Chiesa. La Chiesa dalle genti, le folle multicolori che dicono la loro fede in ogni lingua del pianeta, che portano bandiere di fierezza e di lacrime. Hanno visto la Chiesa che apre le porte per dire: venite, siete attesi; venite, siete perdonati; venite, siete fratelli e sorelle! Hanno visto la Chiesa che prega e cammina, di giorno e di notte. Quello che soprattutto, forse, ha segnato i pellegrini di speranza è l’esperienza di aver visto sé stessi, la propria vita, come una vita amata da Dio, accolta nella Chiesa. Una vita che è vocazione a rendere più sereni e costruttivi i rapporti con gli altri e a rendere più bella e abitabile la terra. Una vita che ha sperimentato la remissione dei debiti ed è capace di rimettere i debiti altrui».

I fedeli in Duomo (Agenzia Fotogramma)

Essere testimoni credibili del Vangelo

Poi, la Confessio vitae, per cui monsignor Agnesi cita sia la Bolla di indizione del Giubileo – nella quale papa Francesco indicava «la necessità di essere segni tangibili di speranza per tanti fratelli e sorelle detenuti, ammalati, giovani, migranti, anziani, i miliardi di poveri» -, sia l’Esortazione apostolica Dilexi te di papa Leone con la sua forte denuncia. «Anche i cristiani – infatti, vi si legge – in tante occasioni, si lasciano contagiare da atteggiamenti segnati da ideologie mondane o da orientamenti politici ed economici che portano a ingiuste generalizzazioni e a conclusioni fuorvianti. Il fatto che l’esercizio della carità risulti disprezzato o ridicolizzato, come se si trattasse della fissazione di alcuni e non del nucleo incandescente della missione, mi fa pensare che bisogna sempre nuovamente leggere il Vangelo, per non rischiare di sostituirlo con la mentalità mondana».

Questo, continua il Vicario generale, «significa che non dobbiamo essere troppo faciloni nelle nostre parole e nei nostri gesti. Per parlare di speranza a chi è disperato, bisogna condividere la sua disperazione; per asciugare una lacrima dal volto di chi soffre, bisogna unire al suo il nostro pianto. Solo così le nostre parole possono essere realmente capaci di dare un po’ di speranza. Perciò il cammino dei pellegrini di speranza continua ancora».

La benedizione finale (Agenzia Fotogramma)

Proseguire con fiducia   

Da qui la conclusione con la Confessio fidei e lo sguardo rivolto al domani, raccogliendo l’appello che viene sempre dall’Arcivescovo: «I pellegrini di speranza sono tornati alle occupazioni consuete, agli impegni negli ambienti della vita quotidiana. Che ne sarà della loro speranza? Che ne sarà del loro pellegrinaggio? Deporranno la speranza per rassegnarsi all’indifferenza del mondo, alla aggressività e alle guerre, alle ingiustizie scandalose, alla corruzione rovinosa?  Io credo che i pellegrini di speranza continueranno a essere popolo in cammino perché non fanno della speranza un impegno volontaristico, una virtù circoscritta in un Anno santo, una disposizione ingenua alla fiducia. I pellegrini di speranza hanno imparato che la speranza è fondata sulla promessa di Dio e perciò la speranza non delude».  

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