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La scomparsa di monsignor Giudici

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Intervista

Agnesi: «Con Giudici un’amicizia nata nel servizio comune»

Suo successore come assistente dei giovani di Ac, Vicario di Zona e Vicario generale, e con lui tra i più stretti collaboratori del cardinale Martini, del Vescovo scomparso ricorda «l’amore innato per la Chiesa, la visione conciliare e la capacità di immaginare il futuro considerando non le categorie, ma le persone»

di Annamaria BRACCINI

22 Gennaio 2024
Mons. Giudici all'ingresso dell'arcivescovo Tettamanzi

«Il mio ricordo è legato a momenti di passaggio della mia vita che coincidevano anche con la sua, nel senso che quando sono stato nominato assistente dei giovani dell’Azione Cattolica ero il suo successore. Poi sono stato Vicario episcopale della Zona pastorale II (Varese) come lui era stato, ed entrambi abbiamo ricoperto la carica di Vicario generale». Il vescovo monsignor Franco Agnesi parte da tanti momenti condivisi per fare memoria di monsignor Giovanni Giudici.

Oltre i rapporti, per così dire, istituzionali, condividevate anche un’amicizia personale?
Tutti i passaggi a cui ho fatto cenno erano intramezzati da una conoscenza e da una condivisione legata anche alla vita comune vissuta durante l’episcopato del cardinale Martini. Monsignor Giudici era Vicario generale e io Provicario: abitavamo insieme e abbiamo continuato a farlo anche nel primo anno dell’episcopato del cardinale Tettamanzi. La nostra è stata un’amicizia nata nel servizio comune e questo mi pare la cosa più bella; un’amicizia che don Giovanni mi ha regalato, perché mi sentivo debitore nei suoi confronti della testimonianza che aveva offerto in tempi più difficili di quelli che ho vissuto io. Tempi in cui bisognava anche sognare.

Qual era il tratto di monsignor Giudici che più colpiva, come sacerdote e come uomo?
Molte persone ricordano il suo sorriso, la sua risata così capace di attrarre e di stupire, la sua intelligenza, la saggezza e anche l’umiltà nel porsi a servizio. Era un uomo che aveva idee capaci di cambiare molto nel modo di essere Chiesa e prete, ma lo ha sempre fatto senza mai prevaricare, evitando lo scontro, anzi facendosi carico di tenere insieme le persone. Aveva una passione, un amore per la Chiesa innati, ma anche una capacità di avventura nell’immaginare il futuro che, forse, gli veniva dal suo essere scout. Mi diceva qualche volta che se non avesse fatto il prete avrebbe fatto il politico. Certamente è stato un bene per noi che abbia fatto il sacerdote e il Vescovo.

Voi eravate vicini a un gigante come il cardinale Martini. Che Chiesa era? Come ricorda quegli anni dal 1995 al 2002?
Li ricordo come anni in cui il cardinale Martini, già da quindici anni alla guida della Diocesi, ci aveva fatto intuire che una Chiesa attenta al cammino delle persone e al mistero trova nel principio della Parola, nella centralità dell’Eucaristia, nella dimensione della carità e della missione, la sua identità e la sua fisionomia. Inoltre si stava realizzando un contesto organizzativo rispetto alle parrocchie, ai decanati, anche alla stessa Curia, con una proposta che diventava sempre più la realizzazione di uno stile di Chiesa educativo, vigilante a partire dalla carità che poi, dal Sinodo 47°, si è piano piano costituito. Una Chiesa che guardava alla necessità di considerare non le categorie ma le persone. Sono stati anni di passaggi anche molto complicati e difficili dal punto di vista istituzionale, sociale e politico. Mi ricordo il modo di lavorare del Cardinale: ci vedevamo ogni mattina e le riunioni con lui erano molto essenziali e veloci. La convivenza in Arcivescovado stimolava alla responsabilità e alla creatività. In questo senso ritengo che monsignor Giudici fosse davvero prezioso per l’Arcivescovo, soprattutto per quanto riguardava il rapporto con i preti.

Monsignor Giudici fu ordinato sacerdote nel 1964, a Concilio non ancora finito. Questo aspetto conciliare era ed è rimasto vivo in lui?
Ha sempre mantenuto la visione di una Chiesa che guardava con speranza alla propria missione in un mondo che stava modificandosi, vivendo quei valori fondamentali che passavano dalla centralità della grazia di Dio che si manifesta nei sacramenti, dalla Parola che illumina, creando la coscienza di sentirsi chiamati a operare nel bene. Monsignor Giudici è stato anche presidente di Pax Christi e, certamente, in quel contesto ha portato tutto il valore conciliare, come in alcuni suoi scritti sulla riforma della Chiesa. Credo che abbia così vissuto anche il suo servizio di Vescovo a Pavia per una Chiesa conciliare.

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