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Sirio 09 - 15 dicembre 2024
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15-16 maggio

Perché Gianna Beretta Molla è santa?

In occasione del sesto anniversario della sua canonizzazione, che sarà celebrato presso il Santuario diocesano della famiglia di Mesero, alcune riflessioni del rettore don Tiziano Sangalli

di don Tiziano SANGALLI Redazione

8 Maggio 2010

Quali sono le ragioni che hanno spinto la Chiesa a dare risalto alla fede e alla umanità di Gianna Beretta Molla? Cosa ha motivato la sua canonizzazione come “madre di famiglia”?
Domande importanti, perché da molti secoli la Chiesa si era come “distratta” rispetto alla santità vissuta nelle nostre case. Il calendario è pieno di nomi di uomini e donne che hanno raggiunto le vette della perfezione cristiana attraverso cammini “classici”, maturati nella vita religiosa, nella consacrazione a Dio, nella predicazione e nella missione, nel servizio ai poveri… Sono quasi sacerdoti, religiosi e religiose, vescovi, papi, monaci… Perché la novità di una madre di famiglia santa?
Gianna ha testimoniato il Vangelo in ogni giorno della sua vita: nelle sue catechesi lo ha annunciato; nella sua professione di medico e nel suo slancio missionario, nel suo attaccamento alla Chiesa diocesana attraverso l’Azione Cattolica, lo ha attuato. Ma il titolo con cui si è scelto di canonizzarla è “madre di famiglia”. Una premessa necessaria: la sua santità delinea un’esperienza di fede solida, non radicata in un solo gesto eroico finale. E tuttavia perché si è privilegiato proprio l’aver dato la vita?
Il suo messaggio è di grande attualità per tutte le famiglie cristiane. Ci insegna a creare la famiglia alla luce della fede. Come Gianna scrive al fidanzato Pietro pochi giorni prima del matrimonio, la famiglia viene vista da lei come un «piccolo cenacolo ove Gesù regni sopra tutti gli affetti, desideri e azioni» e gli sposi sono chiamati a essere «collaboratori di Dio nella creazione», donando a lui «dei figli che lo amino e lo servano». Gianna imposta così un approccio spirituale (cioè secondo lo Spirito di Gesù) al matrimonio, teso a porre Dio al centro della vita familiare e i figli a coronamento dell’amore. Volendo cercare nelle prime pagine del libro della Genesi, troveremmo questo progetto: l’uomo, creato a immagine di Dio, onora la propria dignità di creatura rendendosi responsabile della vita e del creato che Dio ha posto con immensa fiducia nelle sue mani. La vita, dono di Dio, è nelle mani dell’uomo.
Questa testimonianza di fedeltà al progetto originario, Gianna la riprende e ce la insegna “di nuovo”. Lo fa “oggi, ai nostri giorni” perché, mentre si aprono tutte le porte per sminuire la sacralità della famiglia e della vita, si tende a precludere ogni possibilità a intendere la vita stessa come responsabilità. Ci troviamo invasi da falsi principi ispirati a forme di relativismo che riducono la vita a ciò che piace e non la riconducono a un compito, a una vocazione, a una responsabilità chiesta a tutti e che tutti devono condividere. Tale responsabilità riguarda, appunto, tutta la nostra esistenza umana. Pertanto, valorizzare il sacrificio di Santa Gianna significa richiamare al valore immenso che ha la vita di ogni uomo.
È curioso notare come la Conferenza Episcopale Lombarda abbia presentato la figura e l’esempio di Santa Gianna ricorrendo a un’espressione forte: «Tale mamma martire, per amore di Dio e in obbedienza al suo comandamento che proibisce di uccidere, testimonia ed esalta il sublime eroismo di una sposa e madre cristiana che, nel rispetto di ogni vita, che è sempre dono di Dio agli uomini, sacrifica la propria giovane vita per dire sì al dovere cristiano dell’amore».
La questione è interessante: il gesto eroico di Gianna non va isolato come protesta coerente contro ogni forma di violenza sulla vita nascente o concepita; esso confina strettamente col primo dei comandamenti dato da Gesù nel Vangelo: «Amerai». La questione non è se Gianna è santa perché ha dato la vita per la sua bambina, ma è ben più centrale: come Gianna ha amato, sempre? Come ha adempiuto al comandamento di Gesù? Lo ha fatto in modi diversi, ma, quando le viene chiesto, lo fa nel modo più alto possibile: «Non c’è amore più grande di questo: dare la vita». Il gesto finale di una vita già spesa a servizio di Dio è un restituire tutto a Dio per amore. Gianna, che dalla vita ha avuto molto, insieme a difficoltà e sofferenze, ha saputo restituire tutto nel momento in cui le veniva chiesto il sacrificio di se stessa.