Carissimi amici,
quello di cui vorrei parlarvi non è una sensazione geografica o naturalistica. In realtà vorrei un poco condividere le emozioni, ma soprattutto le riflessioni che sono riuscito a fare solo durante il volo, che mi ha riportato in Brasile. Certamente su tutto ha prevalso una grande nostalgia e molta riconoscenza per l’affetto e l’amicizia, con cui voi mi avete accompagnato nei due mesi trascorsi in Italia. Anche Marcia si è sentita profondamente avvolta da tutta questa benevolenza. Certamente questo è uno dei dati più belli della nostra fede che, grazie all’esperienza della fraternità, ci fa sentire a casa ovunque noi ci troviamo con qualche fratello o sorella in Cristo: questa è la globalizzazione, che noi cristiani vogliamo e per la quale lottiamo!
Partendo da questa fraternità, reale e possibile, che io vivo, per esempio, tutte le volte che vengo accolto calorosamente da una qualsiasi comunità o famiglia, magari sperduta in questi territori immensi; ebbene, a partire da questa realtà così bella non ho potuto non andare, con la memoria, ai molti volti pieni di paura e di diffidenza, quando si trattava di parlare di stranieri e di extracomunitari. Tutte le volte che il discorso o le prediche toccavano questo punto, vedevo le facce irrigidirsi e i volti diventare pensierosi, quasi come se la semplice parola facesse scattare un automatismo di chiusura e di difesa.
A me pare che per molti, troppi italiani, ormai il termine extracomunitario è diventato sinonimo di nemico,; per questo motivo genera attitudini di difesa. Più di una volta mi è capitato di pensare alle prime comunità cristiane, soprattutto quelle alle quali fa riferimento la Prima Lettera di S. Pietro: «Voi non siete più né stranieri, né ospiti…». Sempre per la grande tradizione cristiana il fratello di fede deve essere trattato come uno di casa, uno della famiglia; non sarà forse questa la testimonianza, che siamo chiamati a dare oggi in Italia: cominciare a ospitare nelle nostre comunità e, perché no?, nelle nostre case i nostri fratelli di fede, provenienti da altre regioni del pianeta? Forse questo tipo di atteggiamento rivelerà che molti che si dicono cristiani, in realtà, non lo sono mai stati o hanno confuso il cristianesimo con qualcosa d’altro; tant’è. Certamente, però, se la Chiesa recuperasse queste attitudini, brillerebbe come “Luce tra le genti” in quest’epoca di grande oscurità.
Sempre in questa linea una sensazione, che mi ha accompagnato in tutta questa vacanza: è un senso di rassegnazione e d’impotenza, che ho sentito aleggiare a diversi livelli. Facendo ormai l’italiano part-time, è sempre un motivo d’orgoglio, quando ritorno in Italia o incontro qualcosa d’italiano in giro per il mondo, contemplare la nostra genialità e originalità applicata ai più svariati rami del sapere o della tecnica. Eppure oggi in Italia prevale la rassegnazione o l’impotenza di cui parlavo. Purtroppo il nostro campanilismo innato attualmente sembra essere ritornato alla faziosità medievale, alle diatribe tra guelfi e ghibellini, seppur nascosta sotto mentite spoglie. Preferiamo venderci a qualsiasi lobby straniera piuttosto che sederci, confrontarci e costruire, dialogando, un nuovo progetto di Paese. Viste con gli occhi del gigante Brasile, ventotto volte più grande dell’Italia, la maggior parte delle nostre diatribe sono veramente capricci da bambini viziati e mai cresciuti, come recita il Vangelo.
Purtroppo anche tra i miei fratelli e amici preti, perlomeno della Diocesi di Milano, ho sentito serpeggiare più il malumore e la lamentazione che la gioia del Vangelo. Sì, magari questa gioia la citiamo anche, ma è molto eterea ed essenzialmente legata “all’aldilà”; nel presente c’è prevalentemente la constatazione della nostra marginalità, dentro i mutamenti epocali, e la sopportazione molto passiva dei nuovi percorsi di sperimentazione pastorale. Le posizioni critiche non mi hanno mai spaventato, quando sono accompagnate da proposte alternative; la sopportazione passiva di direttive ricevute, in nome di una falsa obbedienza, o la lamentazione fatta sistema, beh, non vedo cos’abbiano a che vedere con il Vangelo. Certamente sui singoli casi o le singole soluzioni possiamo avere posizioni diverse da chi ha deciso. Ciò che non ho sentito è l’entusiasmo e la voglia di cambiare ciò che la storia ha già dichiarato insufficiente o incapace di sopportare il presente. Per non dire della quasi totale chiusura verso altre esperienze di Chiesa, che forse hanno qualcosa da insegnarci. Per esempio quasi nessuno, tra i miei colleghi, si è mostrato interessato ai cammini della Chiesa dell’America Latina: perché?
Quanto a me, so che molti stanno chiedendo notizie sul mio rientro in Brasile e sulla nuova destinazione. Questa volta il silenzio non è dovuto a mie colpe, bensì alla situazione, oggettivamente diversa da un punto di vista organizzativo. Molte volte, in questi giorni, mi sono ritrovato a pensare che, forse, solo adesso sto facendo una vera esperienza di missione. Certamente per la povertà di mezzi. La realtà in cui sono è molto in ritardo sui tempi dell’evoluzione moderna. E uso intenzionalmente questo linguaggio, perché nessuno costruisca fantasie romantiche su questo ritardo. Qui nessuno lo vuole, ovvero non è la scelta di una vita più semplice e “bucolica”, come a volte ci s’immagina in Italia. Purtroppo le ragioni sono sempre le stesse: corruzione, ripicche politiche, grandi latifondi gestiti dalle multinazionali dell’acciaio e del legno. Per questi motivi qui non c’è un accesso popolare a internet, non c’è cellulare e, per altri motivi, per il momento non ho neanche il telefono. Questo è quanto, solo per giustificare i miei problemi di comunicazione. Quanto al resto avremo tempo di parlarne. Per ora sono troppo occupato a sistemare la casa, comprare qualche mobile per abitarvi, aprire le valigie e gli scatoloni, dove ho tutto ammucchiato.
Ah, dimenticavo, in tutto questo cambiamento ho dovuto comprarmi anche la macchina nuova, per potermi muovere all’interno per le Pastorali sociali. Costo 25 mila euro. Per il momento ho chiesto i soldi in prestito alla mia ex parrocchia, ma chiaramente dovrò appianare il debito. Chi volesse e potesse aiutarmi è certamente ben accetto.
Grazie e un grosso abbraccio a tutti! Carissimi amici,quello di cui vorrei parlarvi non è una sensazione geografica o naturalistica. In realtà vorrei un poco condividere le emozioni, ma soprattutto le riflessioni che sono riuscito a fare solo durante il volo, che mi ha riportato in Brasile. Certamente su tutto ha prevalso una grande nostalgia e molta riconoscenza per l’affetto e l’amicizia, con cui voi mi avete accompagnato nei due mesi trascorsi in Italia. Anche Marcia si è sentita profondamente avvolta da tutta questa benevolenza. Certamente questo è uno dei dati più belli della nostra fede che, grazie all’esperienza della fraternità, ci fa sentire a casa ovunque noi ci troviamo con qualche fratello o sorella in Cristo: questa è la globalizzazione, che noi cristiani vogliamo e per la quale lottiamo!Partendo da questa fraternità, reale e possibile, che io vivo, per esempio, tutte le volte che vengo accolto calorosamente da una qualsiasi comunità o famiglia, magari sperduta in questi territori immensi; ebbene, a partire da questa realtà così bella non ho potuto non andare, con la memoria, ai molti volti pieni di paura e di diffidenza, quando si trattava di parlare di stranieri e di extracomunitari. Tutte le volte che il discorso o le prediche toccavano questo punto, vedevo le facce irrigidirsi e i volti diventare pensierosi, quasi come se la semplice parola facesse scattare un automatismo di chiusura e di difesa.A me pare che per molti, troppi italiani, ormai il termine extracomunitario è diventato sinonimo di nemico,; per questo motivo genera attitudini di difesa. Più di una volta mi è capitato di pensare alle prime comunità cristiane, soprattutto quelle alle quali fa riferimento la Prima Lettera di S. Pietro: «Voi non siete più né stranieri, né ospiti…». Sempre per la grande tradizione cristiana il fratello di fede deve essere trattato come uno di casa, uno della famiglia; non sarà forse questa la testimonianza, che siamo chiamati a dare oggi in Italia: cominciare a ospitare nelle nostre comunità e, perché no?, nelle nostre case i nostri fratelli di fede, provenienti da altre regioni del pianeta? Forse questo tipo di atteggiamento rivelerà che molti che si dicono cristiani, in realtà, non lo sono mai stati o hanno confuso il cristianesimo con qualcosa d’altro; tant’è. Certamente, però, se la Chiesa recuperasse queste attitudini, brillerebbe come “Luce tra le genti” in quest’epoca di grande oscurità.Sempre in questa linea una sensazione, che mi ha accompagnato in tutta questa vacanza: è un senso di rassegnazione e d’impotenza, che ho sentito aleggiare a diversi livelli. Facendo ormai l’italiano part-time, è sempre un motivo d’orgoglio, quando ritorno in Italia o incontro qualcosa d’italiano in giro per il mondo, contemplare la nostra genialità e originalità applicata ai più svariati rami del sapere o della tecnica. Eppure oggi in Italia prevale la rassegnazione o l’impotenza di cui parlavo. Purtroppo il nostro campanilismo innato attualmente sembra essere ritornato alla faziosità medievale, alle diatribe tra guelfi e ghibellini, seppur nascosta sotto mentite spoglie. Preferiamo venderci a qualsiasi lobby straniera piuttosto che sederci, confrontarci e costruire, dialogando, un nuovo progetto di Paese. Viste con gli occhi del gigante Brasile, ventotto volte più grande dell’Italia, la maggior parte delle nostre diatribe sono veramente capricci da bambini viziati e mai cresciuti, come recita il Vangelo.Purtroppo anche tra i miei fratelli e amici preti, perlomeno della Diocesi di Milano, ho sentito serpeggiare più il malumore e la lamentazione che la gioia del Vangelo. Sì, magari questa gioia la citiamo anche, ma è molto eterea ed essenzialmente legata “all’aldilà”; nel presente c’è prevalentemente la constatazione della nostra marginalità, dentro i mutamenti epocali, e la sopportazione molto passiva dei nuovi percorsi di sperimentazione pastorale. Le posizioni critiche non mi hanno mai spaventato, quando sono accompagnate da proposte alternative; la sopportazione passiva di direttive ricevute, in nome di una falsa obbedienza, o la lamentazione fatta sistema, beh, non vedo cos’abbiano a che vedere con il Vangelo. Certamente sui singoli casi o le singole soluzioni possiamo avere posizioni diverse da chi ha deciso. Ciò che non ho sentito è l’entusiasmo e la voglia di cambiare ciò che la storia ha già dichiarato insufficiente o incapace di sopportare il presente. Per non dire della quasi totale chiusura verso altre esperienze di Chiesa, che forse hanno qualcosa da insegnarci. Per esempio quasi nessuno, tra i miei colleghi, si è mostrato interessato ai cammini della Chiesa dell’America Latina: perché?Quanto a me, so che molti stanno chiedendo notizie sul mio rientro in Brasile e sulla nuova destinazione. Questa volta il silenzio non è dovuto a mie colpe, bensì alla situazione, oggettivamente diversa da un punto di vista organizzativo. Molte volte, in questi giorni, mi sono ritrovato a pensare che, forse, solo adesso sto facendo una vera esperienza di missione. Certamente per la povertà di mezzi. La realtà in cui sono è molto in ritardo sui tempi dell’evoluzione moderna. E uso intenzionalmente questo linguaggio, perché nessuno costruisca fantasie romantiche su questo ritardo. Qui nessuno lo vuole, ovvero non è la scelta di una vita più semplice e “bucolica”, come a volte ci s’immagina in Italia. Purtroppo le ragioni sono sempre le stesse: corruzione, ripicche politiche, grandi latifondi gestiti dalle multinazionali dell’acciaio e del legno. Per questi motivi qui non c’è un accesso popolare a internet, non c’è cellulare e, per altri motivi, per il momento non ho neanche il telefono. Questo è quanto, solo per giustificare i miei problemi di comunicazione. Quanto al resto avremo tempo di parlarne. Per ora sono troppo occupato a sistemare la casa, comprare qualche mobile per abitarvi, aprire le valigie e gli scatoloni, dove ho tutto ammucchiato.Ah, dimenticavo, in tutto questo cambiamento ho dovuto comprarmi anche la macchina nuova, per potermi muovere all’interno per le Pastorali sociali. Costo 25 mila euro. Per il momento ho chiesto i soldi in prestito alla mia ex parrocchia, ma chiaramente dovrò appianare il debito. Chi volesse e potesse aiutarmi è certamente ben accetto.Grazie e un grosso abbraccio a tutti!
Testimonianza
L’Italia vista dall’aereo
Una riflessione sulla globalizzazione dall'altra parte dell'oceano
di don Marco BASSANI Fidei donum in Brasile Redazione
19 Luglio 2010