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Sirio 09 - 15 dicembre 2024
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21 aprile

«Il Vangelo è il lavoro più proprio di un prete “normale”»

Durante il pellegrinaggio in Francia guidato dall'Arcivescovo, a Lione i giovani presbiteri ambrosiani sono entrati in contatto con l'esperienza dei "preti del Prado", attraverso la spiritualità del beato Chevrier e la testimonianza personale di uno di loro

di Davide MILANI Redazione Diocesi

21 Aprile 2010

A volte si devono percorrere quasi mille chilometri per conoscere ciò che capita a poche centinaia di metri da casa propria. È quanto è successo mercoledì 21 aprile ai giovani presbiteri della Diocesi di Milano pellegrini in Francia, che hanno incontrato la figura del beato Antonio Chevrier, l’esperienza dei preti del Prado e un sacerdote ambrosiano, in viaggio insieme a loro per raccontare la propria storia.
La terza giornata del pellegrinaggio dei sacerdoti dei primi cinque anni di messa ha vissuto il suo momento culminante a Lione, sulle orme del beato Antonio Chevrier, prete nato nel 1826 a Lione che – davanti al presepe, in un momento di intensa preghiera – ebbe l’intuizione di vivere in pieno la povertà. Guidato da Giovanni Maria Vianney, il curato d’Ars, Antonio accettò di diventare il direttore spirituale della “Città di Gesù Bambino”, che si proponeva di incentivare la Prima Comunione tra i bambini poveri.
Precursore dell’impegno sociale del clero, iniziò la missione pastorale in una parrocchia operaia della periferia finché – per iniziare la propria opera – nel 1860 acquistò il Prado, un’antica sala da ballo malfamata, ormai in rovina: nacque “La Provvidenza del Prado”, centro di accoglienza e di formazione cristiana per bambini e ragazzi poveri, che proprio per la loro condizione di indigenza restavano ai margini nei percorsi ordinari della pastorale parrocchiale. Con una dozzina di questi ragazzi seriamente intenzionati al sacerdozio, Chevrier mise poi le basi della “Società dei Preti del Prado”, che nella testa e nel cuore del fondatore dovevano essere «preti poveri a servizio dei poveri».
A questi don Antonio ripetè che «è nella povertà che il sacerdote trova la propria forza, la propria potenza, la propria libertà» e insegnò loro che, a imitazione di Gesù «che si lascia mangiare nella Santa Eucaristia», anche il prete deve essere un «uomo mangiato» da tutti. Convinto che «è meglio vivere dieci anni in meno lavorando per Dio, che dieci anni di più senza far niente», si sottopose a un ritmo di lavoro davvero spossante, che indebolì la sua salute. Morì il 2 ottobre 1878, ad appena 52 anni (nel 1986 sarà beatificato da Giovanni Paolo II), ma con lui non morirono il Prado e la “spiritualità pradosiana”, diffusa oggi come stile di vita tra tanti preti diocesani in tutto il mondo. A volte si devono percorrere quasi mille chilometri per conoscere ciò che capita a poche centinaia di metri da casa propria. È quanto è successo mercoledì 21 aprile ai giovani presbiteri della Diocesi di Milano pellegrini in Francia, che hanno incontrato la figura del beato Antonio Chevrier, l’esperienza dei preti del Prado e un sacerdote ambrosiano, in viaggio insieme a loro per raccontare la propria storia.La terza giornata del pellegrinaggio dei sacerdoti dei primi cinque anni di messa ha vissuto il suo momento culminante a Lione, sulle orme del beato Antonio Chevrier, prete nato nel 1826 a Lione che – davanti al presepe, in un momento di intensa preghiera – ebbe l’intuizione di vivere in pieno la povertà. Guidato da Giovanni Maria Vianney, il curato d’Ars, Antonio accettò di diventare il direttore spirituale della “Città di Gesù Bambino”, che si proponeva di incentivare la Prima Comunione tra i bambini poveri.Precursore dell’impegno sociale del clero, iniziò la missione pastorale in una parrocchia operaia della periferia finché – per iniziare la propria opera – nel 1860 acquistò il Prado, un’antica sala da ballo malfamata, ormai in rovina: nacque “La Provvidenza del Prado”, centro di accoglienza e di formazione cristiana per bambini e ragazzi poveri, che proprio per la loro condizione di indigenza restavano ai margini nei percorsi ordinari della pastorale parrocchiale. Con una dozzina di questi ragazzi seriamente intenzionati al sacerdozio, Chevrier mise poi le basi della “Società dei Preti del Prado”, che nella testa e nel cuore del fondatore dovevano essere «preti poveri a servizio dei poveri».A questi don Antonio ripetè che «è nella povertà che il sacerdote trova la propria forza, la propria potenza, la propria libertà» e insegnò loro che, a imitazione di Gesù «che si lascia mangiare nella Santa Eucaristia», anche il prete deve essere un «uomo mangiato» da tutti. Convinto che «è meglio vivere dieci anni in meno lavorando per Dio, che dieci anni di più senza far niente», si sottopose a un ritmo di lavoro davvero spossante, che indebolì la sua salute. Morì il 2 ottobre 1878, ad appena 52 anni (nel 1986 sarà beatificato da Giovanni Paolo II), ma con lui non morirono il Prado e la “spiritualità pradosiana”, diffusa oggi come stile di vita tra tanti preti diocesani in tutto il mondo. Don Fabio e il segreto di un prete normale Una testimonianza che è viva anche a Milano, dove sono una decina i “preti del Prado”. Il loro responsabile per l’Italia è il milanese don Marcellino Brivio. Don Fabio Fossati – uno di loro – ha partecipato al pellegrinaggio per raccontare la propria esperienza. Ordinato nel 1988, 47 anni, vicario parrocchiale prima a Vimercate, poi a Santa Trinità a Milano e alla Madonna della Divina Provvidenza a Baggio, da sette anni è impegnato nel carcere di Bollate come cappellano.«Ho conosciuto il Prado su indicazione di don Franco Brovelli – spiega don Fabio ai giovani preti dall’ambone della chiesa parrocchiale dedicata al beato Chevrier poco fuori Lione -, mentre cercavo un confronto sulle condizioni di vita del ministero. Da un primo contatto e dopo alcuni anni di conoscenza sono entrato a far parte della famiglia del Prado».Un prete del Prato è un sacerdote «normale», ripete più volte don Fabio: «Ci ritroviamo tra noi ogni tre settimane per la revisione di vita e per lo studio spirituale del Vangelo che, insieme al “quaderno di vita” costituiscono i cardini della nostra spiritualità».Da 11 anni condivide la casa con un altro sacerdote in una forma di vita comune. C’è un segreto nelle giornate di don Fabio: lo studio spirituale del Vangelo: «Per crescere nella conoscenza di Gesù è necessario farlo entrare nella propria vita. Per questo dedichiamo ampio tempo alla Scrittura. È studio, non semplice riflessione. È abituale, un vero e proprio lavoro, il lavoro più proprio del prete, è la sua caratteristica. Lavoro che si svolge nella semplicità e nella tradizione, in stretta connessione ai poveri che serviamo: a stretto contatto con la loro vita leggiamo la Parola di Dio. E intendiamo il Vangelo come parola di speranza per i poveri».E lo studio del Vangelo per don Fabio è diventato la forma principale di preghiera.Il tema della povertà torna spesso nelle sue parole: «Il prete non può fare finta di non vedere i drammi della gente. L’esperienza del Prado mi ha aiutato a radicare il servizio per i poveri e la mia vita nel Signore Gesù. Parlare di povertà significa arrivare al cuore del mistero di Gesù. Servire i poveri non è scelta ideologica ma è l’essenza stessa della fede».E per don Fabio questo servizio – come per tutti i preti del Prado – consiste nel vivere il proprio ministero in ambienti poveri e popolari. «L’esperienza da cappellano in carcere non è però per me l’unico orizzonte del ministero: è importante anche la quotidianità, la normalità: per questo ho chiesto di avere anche un incarico in parrocchia».Ancora una volta torna la «normalità», parola che i giovani preti milanesi hanno sentito spesso in questi giorni conoscendo il Santo Curato d’Ars e il Beato Chevrier e che ora sperimentano direttamente ascoltando don Fabio. Talmente «normale» un prete così che quasi, visto dall’esterno, non ci si accorge di questa sua scelta: di questa scelta: «Il carisma del Prado non è alternativo a quello diocesano. Anzi, questa vocazione completa la vocazione diocesana, a partire dalle proprie personali attitudini. Il nostro ritrovarci periodico non è alternativo alla vita decanale e diocesana». – – La messa a Lione (testo dell’omelia) (https://www.chiesadimilano.it/or/ADMI/pagine/00_PORTALE/2010/04_21_ismi.pdf ) – La messa a Lione (photogallery)