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Intervista

Dietro il trionfo di Sinner: adolescenti liberi di scegliere come lui?

Il campione ha preferito il tennis allo sci senza interferenze da parte dei genitori, e i risultati gli danno ragione. Quanto papà e mamme devono intervenire nelle decisioni di un figlio? Come accompagnarlo senza frenare o alimentare paure? Parla Emanuela Confalonieri, docente di Psicologia dello sviluppo

di Luisa BOVE

1 Febbraio 2024
Jannik Sinner con il trofeo dell'Australian Open (foto Fb Jannik Sinner Group)

Una carriera indiscussa, quella di Jannik Sinner, che, dopo la vittoria agli Australian Open, ha ringraziato pubblicamente i suoi genitori perché lo hanno sempre lasciato libero nelle sue scelte. Anche tra lo sci e il tennis. Oggi più che mai il tema della libertà da concedere o meno ai figli, soprattutto se adolescenti, è molto dibattuto tra i genitori. La scelta della scuola, di una disciplina sportiva, di un’attività estiva richiede tempo, riflessione, raccolta di informazioni, verifica, non è mai banale e porta con sé altre conseguenze.

Qual è il confine tra la libera scelta di un figlio e il sostegno che un adulto dovrebbe dare? Ne parliamo con Emanuela Confalonieri, docente di Psicologia dello sviluppo all’Università Cattolica di Milano. «Anzitutto ci sono due aspetti su cui porre attenzione», dice.

Quali?
Il primo è che con l’adolescenza iniziano gli anni in cui, in modo graduale, i genitori devono iniziare a dare maggiore libertà. Ciò significa far sentire al figlio che si fidano di lui, delle sue capacità di prendere decisioni, di affrontare i problemi. Poi monitorarlo, rimanendogli accanto. Così facendo, il figlio comincia a prendersi le prime responsabilità. Il tema non è tanto scegliere, soprattutto in adolescenza, ma assumersi le responsabilità dell’esito della scelta, su cui invece i ragazzi fanno fatica. Si tratta allora di aiutarli a immaginare: «Se fai questa scelta, cosa potrebbe accadere? Quali potrebbero essere gli scenari che si aprono?». Spesso gli adolescenti non pensano alle possibili implicazioni, non sono abituati a “complessificare” il processo decisionale, piuttosto tendono a semplificarlo.

E il secondo aspetto?
Non ci si improvvisa, né come genitori, né come figli. Negli anni precedenti il genitore deve aver educato il figlio al tema della presa di decisione e della risoluzione di problemi. Certo ci deve essere una gradualità in questo, perché se non si abitua il figlio da piccolo, poi da adolescente non sarà capace di affrontare le difficoltà. Dico questo dal punto di vista cognitivo dei processi decisionali, quindi saper raccogliere informazioni, elaborarle, ecc. Poi c’è l’aspetto emotivo, altrettanto importante e incidente.

Da parte del figlio o del genitore?
Entrambi, ma con due punti di vista diversi. Rispetto al desiderio del figlio il genitore spesso ha paura  di prendere decisioni da solo: si interroga, si chiede se sarà capace oppure no, si domanda quale sarà il suo ruolo nella vita del figlio… D’altra parte è necessario per i genitori fare un passo indietro, anche per capire se i figli sono in grado di scegliere e di assumersi responsabilità. E non è detto che alla fine siano in grado di farlo. Però, come genitore, in prima battuta, devo fargli sentire che credo nelle sue capacità, altrimenti il figlio non ci prova nemmeno. È chiaro che le emozioni ci sono, però devono sempre bilanciarsi o riuscire a controbilanciarsi con la dimensione cognitiva. Le stesse emozioni le provano i figli, anche se spesso il genitore pensa che siano superficiali. Invece no, anche l’adolescente prova emozioni e può avere paura nell’avventurarsi in una scelta piuttosto che in un’altra. Però ha un suo vantaggio…

In che senso?
È il suo mestiere, è il suo momento. In lui le paure e le ansie alimentano la sfida, fanno da carburante. È chiaro però che se dall’altra parte il genitore alimenta questa paura («Sei proprio sicuro?», «Pensiamoci bene», «Aspettiamo un momento»), il figlio a un certo punto si blocca perché il papà e la mamma non pensano che riesca a farcela. Non conosco nel dettaglio la storia di Sinner, però se come genitore vedo che mio figlio, soprattutto se adolescente, ha fatto un suo percorso rispetto alla decisione, allora va bene. Ci sono ragazzi che vogliono iscriversi a una scuola, piuttosto che a un’altra, oppure che desiderano cambiare attività sportiva, ma a volte i genitori non chiedono neppure il motivo.

Anche questo li aiuta nel processo decisionale…
Infatti. I genitori devono fare in modo che i figli si facciano le domande giuste, piuttosto che dare loro risposte. Devono capire se i figli si sono interrogati sulle motivazioni, non basta che dicano: «Mi piace». Prendere una decisione non è solo una questione di “pancia”, ma si tratta di “snocciolarla” per comprendere quali significati, conseguenze e scenari apre. Insomma, si tratta di supportare i figli, senza sostituirsi a loro.