«Purtroppo l’accoglienza dei profughi non avviene in collaborazione, ma spesso in contrasto con i Comuni e questa contrapposizione tante volte diventa conflittualità sul territorio. Sul totale di 95 mila richiedenti asilo presenti in Italia la Lombardia ad esempio, ne ospita quasi 10 mila, tanti ma meno di quanti ne ospita la Sicilia, proprio per il rifiuto da parte dei sindaci lombardi. E’ questo un aspetto sul quale il programma d’asilo in Italia deve fare passi in avanti. Su 8mila comuni solo 376 in tutta Italia hanno attivato un progetto nel sistema nazionale per l’accoglienza dei richiedenti asilo e rifugiati Sprar. Se ognuno facesse la propria parte e se a loro si unissero anche le 27mila parrocchie italiane, rispondendo all’appello del Papa che è una grande provocazione culturale anche per i fedeli, potremmo realizzare un modello di accoglienza diffusa più gestibile, senza sprechi, e che favorirebbe l’integrazione effettiva degli ospiti». Lo ha detto questa mattina mons. Gian Carlo Perego, direttore generale della Fondazione Migrantes, intervenendo al convegno “Le migrazioni forzate nel Mediterraneo e nel resto del mondo: la terra, fattore di espulsione”, organizzato ad Expo da Caritas.
«Tra le situazioni di accoglienza ancora deboli è da registrare la situazione dei minori stranieri: su 14mila registrati lo scorso anno e gli 8.500 quest’anno, solo mille sono accolti nei centri e la maggior parte è in strutture non adatte; di 3707 (dato 2014) si sono perse le tracce. Se un minore non viene subito affidato a qualcuno e quindi tutelato, non si può dire che questa persona si trovi in una situazione di garanzia e tutela», ha sottolineato monsignor Perego.
Sull’accoglienza diffusa ha insistito anche Matteo Biffoni, presidente dell’Associazione Nazionale Comuni Italiani della Toscana. «Le ondate migratorie sono un fenomeno che si ripeterà nel futuro. Bisogna attrezzarci: il sistema di accoglienza Sprar sarà portato da 20 mila a 35 mila posti, ma ora tocca ai sindaci farsi avanti. Nuclei diffusi sul territorio è il modello giusto».
Secondo Daniela Di Capua, direttrice del servizio centrale dello Sistema di Protezione Richiedenti Asilo e Rifugiati (SPRAR), il modello di accoglienza sperimentato con i Comuni ha dimostrato di funzionare: «Il 36% esce dai centri con un progetto strutturato di autonomia, un altro 30% abbandona prima il programma di protezione perché trova autonomamente delle opportunità di lavoro. Sono dati che dovrebbe spingerci a ragionare sulle politiche di integrazione».
Sui flussi migratori nel prossimo futuro è intervenuto Laurens Jolles, delegato Unhcr per il Sud Europa: «Finora i siriani fuggivano in Turchia, Giordania e Libano, paesi vicini da cui speravano di rientrare. Ora la situazione in Siria è peggiorata: ci sono conflitti ovunque anche a Damasco, manca la corrente elettrica e l’acqua, nessuno spera più di ritornare. Inoltre la vita nei campi profughi in Medio Oriente sta diventando più difficile perché il sostegno della Comunità internazionale è sceso. Così molti preferiscono venire direttamente in Europa e dunque il numero di siriani che chiederanno protezione ai paesi europei aumenterà».
Il prefetto Mario Morcone, capo dipartimento Libertà Civili e Immigrazione del Ministero dell’Interno, ha detto: «Assistiamo a resistenze incomprensibili da parte di alcuni paesi europei. Ma l’Europa sta facendo passi in avanti, anche se ci sono ancora luci e ombre. La nuova politica migratoria che prevede la ripartizione in quote non lascia soli i paesi di primo ingresso ed è un colpo a quell’accordo di Dublino che abbiamo messo in discussione anche durante il semestre di presidenza italiano. Tuttavia non va bene questa distinzione che va molto di moda che vorrebbe separare nettamente migranti economici e rifugiati per cui avrebbero diritto alla protezione solo siriani ed eritrei, mentre un nigeriano che, ad esempio, ha subito una persecuzione per la sua religione no».
Luigi Manconi, presidente della Commissione straordinaria tutela e promozione diritti umani del Senato della Repubblica, ha detto: «Noi abbiamo bisogno degli stranieri almeno quanto gli stranieri hanno bisogno di noi. Ne abbiamo bisogno sotto il profilo economico, ma anche culturale e perfino spirituale per evitare di diventare una comunità amish chiusa in se stessa. In Italia abbiamo l’unica autorità morale internazionale, Papa Francesco, e poi abbiamo il discorso pubblico affidato agli imprenditori politici della paura. Dobbiamo vigilare sulla politica perché non prevalga l’intolleranza. La convivenza non è una prospettiva rosea, è qualcosa di faticoso ma è anche l’unica alternativa a una guerra etnica che siamo ancora in tempo per evitare»
Durante il convegno è stato presentato II Rapporto sulla protezione internazionale in Italia a cura di Caritas Italiana, Fondazione Migrantes, Anci, Cittalia, Sprar in collaborazione con l’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr). Secondo lo studio sono circa 59,5 milioni i migranti forzati nel mondo, di questi 8 milioni nel solo 2014. Si tratta del più alto incremento registrato da un anno all’altro e complessivamente la cifra più elevata dalla seconda guerra mondiale. Tuttavia non sono i paesi più ricchi a sostenere il peso maggiore dell’accoglienza. L’86% dei 19,5 milioni di rifugiati fuori dal loro paese è accolto dai paesi in via di sviluppo. In particolare Turchia, Pakistan, Libano e Iran ospitano il 36% del totale dei rifugiati. Meno del 10% dei rifugiati arriva in Europa, e di questi meno del 3% arriva in Italia.
Nel 2014 la via del cosiddetto Mediterraneo centrale, che va dalle coste della Libia a quelle dell’Italia, è stata la principale rotta verso l’Europa per le persone in fuga dall’Africa e dal Medio Oriente: più di 170mila migranti hanno raggiunto la sola Italia, 4 volte di più di quello che è avvenuto nel 2008. Nel 2015 invece gli arrivi hanno interessato tutta l’area del Mediterraneo coinvolgendo anche la Grecia che ha registrato 288.020 arrivi, contro i 121.500 dell’Italia e i 1.935 della Spagna (dato aggiornato al 14 agosto). Ultimamente si è aggiunta la rotta balcanica. Nel 2014 avevano attraversato le frontiere dei paesi di questa regione europea 43.360 persone, più del doppio dell’anno precedente. Numero già superato nei primi sei mesi del 2015 con oltre 102mila passaggi.
Tra le principali nazionalità arrivate in Europa sono i siriani (51%), afgani (14%), eritrei (8%), nigeriani (4%), somali (3%), pakistani (3%), iracheni (3%).
Secondo il Rapporto i migranti forzati sono costretti a fuggire da guerre: 33 quelle in corso a fine 2014, cui si devono aggiungere 13 situazioni di crisi, 16 missioni Onu attive. Ma si è costretti a lasciare il proprio paese anche a causa del fenomeno del land grabbing: nei paesi africani più poveri da cui provengono i flussi migratori che si riversano in Europa 560 milioni di ettari di terra sono stati strappati ai piccoli coltivatori per essere ceduti alle multinazionali.
Fra chi è costretto a una migrazione forzata, il Rapporto considera anche la particolare categoria delle persone sfollate per motivi legati a disastri ambientali. Si stima che siano 22,4 milioni i migranti vittime di disastri climatici, come alluvioni, tempeste, incendi, accadimenti sempre più frequenti negli ultimi anni in conseguenza dei cambiamenti climatici. Persone oggi non protette dal diritto internazionale.
Il rapporto si può scaricare dal sito www.caritas.it