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Intervista

Ambrosini: «Riconoscere i simboli religiosi degli altri non significa rinnegare la tradizione cristiana»

La vacanza in occasione del Ramadan decisa dalla scuola di Pioltello fa a pugni con il no del Comune di Milano alla statua della maternità in piazza Duse perché troppo allusiva all'iconografia cristiana. “Politically correct” a senso unico? Ne abbiamo parlato con il sociologo della Statale

di Stefania CECCHETTI

11 Aprile 2024
Maurizio Ambrosini

Ha fatto discutere il no della commissione di tecnici del Comune di Milano alla collocazione in piazza Duse della statua di una madre che allatta, dono alla città della famiglia della scultrice scomparsa Vera Omodeo. La statua sarebbe stata potenzialmente divisiva in quanto «espressione di valori certamente rispettabili, ma non universalmente condivisibili da tutte le cittadine e i cittadini» anche a causa della «continuità iconografica» con soggetti della tradizione cristiana.

A parte il fatto che non si riesce a pensare a niente di più universale dell’esperienza della maternità, lo scrupolo sui simboli cristiani ha suscitato molte critiche e questo a pochi giorni dalle polemiche sulla decisione della scuola di Pioltello di concedere un giorno di vacanza per la chiusura del Ramadan. Ne abbiamo parlato con un esperto di processi di integrazione: Maurizio Ambrosini, docente di Sociologia dell’ambiente e del territorio alla Statale di Milano.

La vicenda di Pioltello, così come quella della scultura della maternità “respinta” perché allusiva alle Madonne con bambino, lascia l’impressione che a volte, in Italia, il “politically correct” sia inteso a senso unico, non trova?
In generale, di politically correct in Italia ne vedo ben poco, mi sembra che la preminenza della tradizione culturale derivante dal cattolicesimo, sebbene sempre più svincolata da una pratica religiosa effettiva, sia un dato di fatto. Quindi, per esempio, è un dato acquisito che il calendario scolastico sia quello delle principali festività cattoliche, senza contemplare festività di altre religioni. È vero che nel nostro dibattito pubblico ogni tanto viene fuori qualche questione, che chiama in causa gli immigrati e le tradizioni religiose diverse, ma questo avviene per ragioni principalmente politiche. Certe battaglie di apparente difesa del pluralismo culturale, come le battaglie contro il crocefisso nelle scuole o i canti natalizi, sono condotte o comunque ispirate da italiani, che hanno i loro motivi politici di contestazione nei confronti della tradizione cattolica. Non sono a conoscenza di immigrati che si siano resi protagonisti di crociate di questo genere. Loro danno per scontato che l’Italia sia un paese di tradizione culturale cattolica, semmai chiedono, giustamente, un po’ di spazio anche per le loro tradizioni, simboli e pratiche religiose. Ricordo quando il cardinale Scola disse che il crocifisso nei luoghi pubblici risponde a una lunga tradizione e va rispettato, però possiamo ospitare anche i simboli di altre religioni se ci sono alunni e famiglie che lo richiedono. Mi sembra una posizione molto condivisibile.

Quali sono invece, secondo lei, le argomentazioni non ideologiche che possono favorire una reale integrazione delle culture, anche religiose?
Anzitutto le motivazioni pratiche, come quella di Pioltello, che a me è sembrata molto comprensibile. Le scuole, anche se il ministro Valditara e qualche altro suo collega sembra non ricordarselo, hanno a disposizione alcuni giorni di vacanza che possono disporre nel calendario didattico liberamente. Credo che la scuola di Pioltello, esercitando questa sua facoltà, abbia fatto una scelta pragmatica, più che ispirata a una questione di pluralismo religioso. Il Consiglio di Istituto ha preso atto che i ragazzi di religione islamica, molto numerosi nella scuola, alla fine del Ramadan, avendo festeggiato nottetempo, raramente si presentano a scuola, o comunque non sono in grado di seguire adeguatamente le lezioni. Un secondo criterio che può favorire l’integrazione è quello che citavo prima, con riferimento alla posizione del cardinal Scola: anche chi viene da gruppi di minoranza ha il diritto di sentire le istituzioni pubbliche come la propria casa, dunque ha il diritto di non sentirsi semplicemente tollerato, ma di poter chiedere di vedere anche i simboli della propria religione accanto a quelli della religione maggioritaria. Credo che una società multietnica abbia solo da imparare nel dare un certo spazio anche alle religioni e culture delle minoranze, senza per questo rinnegare le sue tradizioni, le sue radici, la sua storia.