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Sirio 09 - 15 dicembre 2024
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Migranti

Perché la paura dell’invasione è infondata

I numeri dell’immigrazione sono stazionari in Italia da una dozzina d’anni, intorno ai 5,3 milioni di residenti regolari, più 4-500.000 soggiornanti irregolari stimati. I flussi in ingresso non si sono mai ripresi dalla crisi economica del 2008

di Maurizio AMBROSINI (*)Agensir

28 Settembre 2023

La roboante richiesta di fermare a tutti i costi i flussi di profughi che approdano in Italia via mare si regge su due premesse accettate da gran parte dell’opinione pubblica: che si tratti di un fenomeno eccezionale, tale da comportare numeri enormi d’ingressi, e che non esistano di fatto alternative al suo contenimento, ricorrendo a misure drastiche, eventualmente anche lesive dei diritti umani. Entrambe le premesse sono infondate.

I dati

Consideriamo anzitutto i dati. Potrà stupire qualcuno, ma i numeri dell’immigrazione sono stazionari in Italia da una dozzina d’anni, intorno ai 5,3 milioni di residenti regolari, più 4-500.000 soggiornanti irregolari stimati. I flussi in ingresso non si sono mai ripresi dalla crisi economica del 2008.

In più, la maggior parte dei residenti sono donne, quasi la metà sono europei, e la religione nettamente prevalente è quella cristiana nelle varie denominazioni, con gli ortodossi in testa. Rifugiati e richiedenti asilo arrivavano a fine 2022 a quota 340 mila, compreso un 40% di profughi ucraini. Oggi saranno forse 400 mila o poco più: meno di decimo del totale. Sempre con una robusta componente ucraina. L’Ue, nel complesso accoglie meno del 10% dei rifugiati del mondo, ucraini a parte.

Gli sbarchi dal mare sono un fatto molto visibile e drammatico, ma non sono una novità. Si verificano da una trentina d’anni, con alti e bassi, tanto è vero che già negli anni Novante Lampedusa ricevette la medaglia d’oro al valor civile per il suo impegno nell’accoglienza. Tra il 2015 e il 2017 gli arrivi dal mare sono stati più o meno in linea con quelli attuali, superando i 150 mila all’anno.

Negli altri Paesi

Inoltre, altri Paesi ospitano molti più rifugiati dell’Italia, compresi quelli che transitano attraverso il nostro territorio. Nel 2022, l’Italia ha ricevuto 77 mila domande di asilo su 965 mila in tutta l’Ue, circa l’8%, la Germania più di 200 mila, la Francia e la Spagna oltre 100 mila.

L’emergenza quindi è nel nostro affanno, nel nostro sguardo carico di apprensione e di paura, nella nostra incapacità di allestire un sistema di accoglienza ordinato, in grado di svuotare rapidamente l’approdo di Lampedusa per redistribuire le persone accolte. Stride la reazione verso i rifugiati in arrivo dal Sud del Mediterraneo con l’accoglienza generosa verso i profughi ucraini: 4 milioni in Europa, circa 170 mila in Italia.

Le alternative al caos

È’ importante poi perseguire delle strade alternative alla caotica accoglienza attuale.

La prima consiste nel far transitare nella categoria dei lavoratori i profughi idonei al lavoro, opportunamente formati: si risolverebbe sia il problema delle aziende a caccia dei lavoratori, sia quello dei rifugiati in cerca di una vita dignitosa.

La seconda soluzione riguarda il potenziamento di altri dispositivi di ingresso: reinsediamenti, sponsorizzazioni private o comunitarie, corridoi umanitari. Tutte soluzioni già sperimentate e funzionanti a livello internazionale, ma con numeri ancora insufficienti. Consistono nel far arrivare le persone oggi precariamente ospitate nei campi profughi del Sud del mondo, in altri paesi disponibili ad accoglierli, in base a una lista di priorità. Lo possono e devono fare anzitutto gli Stati, (100 mila reinsediamenti all’anno, in media, a livello mondo), ma potrebbero contribuire anche associazioni, comunità religiose, enti locali, imprese. E auspicabilmente, alleanze tra soggetti pubblici e privati. In Canada con queste formule sono state accolte nel tempo 300 mila persone, tra cui negli scorsi anni 40 mila profughi siriani.

I corridoi umanitari organizzati dalle Chiese cattolica e protestante hanno accolto in Italia e in Europa 5.000 persone: un seme ancora piccolo, ma promettente. Si tratta di farlo crescere, contrastando i megafoni di un’emergenza che non c’è nei numeri, ma nei nostri atteggiamenti politici e mentali.

(*) Docente di Sociologia delle migrazioni (Università degli Studi di Milano)