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Sirio 09 - 15 dicembre 2024
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Le religioni alla prova della globalizzazione

Una tavola rotonda organizzata da ResetDOC con esperti ed esponenti di diverse tradizioni religiose è stata la tappa milanese del progetto scientifico internazionale V-Theo.net, che vuole analizzare il pluralismo sotto il profilo teologico

di Annamaria BRACCINI

24 Settembre 2024
Il tavolo dei relatori

Un grande progetto di ricerca sulle teologie del pluralismo nelle diverse religioni. È quello che, promosso da ResetDOC, con il titolo V-Theo.net, è stato presentato a Milano, presso l’Auditorium di San Giorgio al Palazzo, in una Tavola Rotonda alla quale hanno preso parte esperti del panorama internazionale ed esponenti religiosi di diverse tradizioni. L’incontro è parte di un progetto scientifico di vasto raggio, appunto, V-Theo.net (www.resetdoc.org), che analizza il pluralismo sotto il profilo teologico ed esplora i cambiamenti indotti nella religione dalla globalizzazione. Avviata due anni fa, l’iniziativa ha già dato luogo a seminari dedicati all’Islam – tenutisi a Birmingham e a Sarajevo, di cui Milano ha rappresentato il terzo e ultimo appuntamento -, al Cristianesimo Ortodosso, tenutosi a Volos in Grecia, e sarà seguito da altri eventi dedicati al Protestantesimo e all’Ebraismo a Washington nel febbraio del 2025. 

Comprendere il pluralismo religioso

A presentare l’iniziativa è stato il giornalista Giancarlo Bosetti co-fondatore, nel 2004, di ResetDOC-Reset Dialogues on Civilizations, associazione internazionale indipendente, senza scopo di lucro e apartitica.

«In tutte le religioni ci sono nemici del dialogo, perché questo può essere in contrasto con l’annuncio di cui si fa portatrice ogni singola fede. A noi interessano il dialogo e i suoi fautori, ma anche i suoi negatori, perché questo ha una grande influenza sulla vita pubblica. Ci sono progressi e regressi, ma vogliamo esplorare questi temi con lo strumento della conoscenza», ha spiegato Bosetti, seguito da José Casanova dell’Università statunitense di Georgetown e da Jocelyne Césari – impegnati entrambi nel progetto e membri del Comitato scientifico – anch’ella docente nello stesso Ateneo e presso l’Università di Birmingham. «Il nostro scopo», ha sottolineato, «è vedere come le religioni si interfacciano tra loro su diverse questioni. Per questo guardiamo tutte le fedi dal punto di vista comparativo».

Il pubblico presente all’incontro

Dal riferimento al Vaticano II e alla Dichiarazione conciliare Nostra Aetate, ha preso le mosse il breve intervento di Casanova. «Il pluralismo religioso è inevitabile nelle diverse società e il modo di rispondervi riguarda le nostre fedi. Riconoscere gli altri ha che fare con la differenza tra religioni vere e false».

«Il tema del destino dell’altro e di chi possa accedere alla salvezza, ha un impatto profondo sul modo di costruire le società», ha spiegato Martino Diez, professore associato di Lingua e Letteratura araba in Cattolica, direttore scientifico della Fondazione Oasis voluta dal cardinale Angelo Scola 20 anni fa per comprendere gli Islam e avviare dialoghi proficui tra le due sponde del Mediterraneo e che collabora con ResetDOC.  

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La visione ebraica

«Il dialogo interreligioso è una novità degli ultimi decenni: una volta non solo non si dialogava, ma si andava molto più in là. Dopo il Concilio, il dialogo tra ebrei e cristiani ha prodotto frutti importanti, primo tra tutti svelare i pregiudizi che hanno dato luogo a esperienze terribili, ma nel dialogo non c’è niente di definitivamente dato e superato. I pregiudizi riemergono», ha evidenziato Alfonso Pedatzur Arbib, rabbino capo della comunità ebraica di Milano.

Alfonso Pedatzur Arbib

«Un detto rabbinico dice che un po’ di luce scaccia il buio, e quindi basta un po’ di luce, ma il Mussar (il movimento educativo, etico e culturale fondato nel XIX secolo dal rabbino e talmudista Israel Salanter nell’Europa orientale n.d.r.), predica che il buio non se ne va, semplicemente si nasconde. Stiamo vivendo un momento terribile di guerra e questo incide sul dialogo interreligioso: molti non sono convinti che vi possa essere un dialogo dal punto di vista teologico, ma semmai che esso è possibile sul “Tikkun Olam”, traducibile con il miglioramento del mondo».

E così, ha proseguito Arbib, «se la preghiera, in tutte le religioni, è profondamente identitaria per cui quella comune è molto complicata», si può, tuttavia, «collaborare sulle “opere d’amore” occupandosi del prossimo e tentando di capire di cosa hanno bisogno gli altri».

Come a dire, mettersi in contatto è fondamentale, secondo quello stile che il rabbino capo definisce dell’«empatia».

«Per noi ebrei questo è stato un anno temendo nel quale abbiamo sentito una scarsità di empatia, con una rinascita dell’antisemitismo che non credo abbia avuto un’attenzione sufficiente e che è grave perché ripropone i pregiudizi in Europa e in Italia. Questo ci pone delle domande sul dialogo che non è solo teologico o per fare del bene, ma che dovrebbe portare a sentire la gioia e la sofferenza dell’altro».

Bressan: il dialogo e le sfide del cambiamento 

Due le sfide che propone il vicario episcopale e presidente della Commissione Ecumenismo e Dialogo della Diocesi, monsignor Luca Bressan.

Mons. Luca Bressan

«Dal punto di vista della Chiesa cattolica ambrosiana, si tratta di aiutare i cristiani, a partire dalle pratiche, a comprendere come la città sia cambiata e stia cambiando, e che linguaggio costruire di fronte a pregiudizi riferiti alle religioni che emergono, però, in un contesto senza fede».

Quattro le pratiche suggerite. «La conoscenza reciproca e il riconoscimento – come vicario episcopale ho imparato che si tratta di frequentarci -; costruire eventi insieme, come quello promosso dal Forum delle Religioni presso la Statale, dopo il Covid per comprenderne la tragedia; sviluppare il dialogo culturale e teologico e organismi quali il Forum delle Religioni stesso». Il ricordo va a don Giampiero Alberti, cofondatore del Forum e grande tessitore del confronto con l’Islam, scomparso il 5 settembre scorso. «Al momento del saluto ci siamo accorti come la sua vita abbia creato una rete di dialogo straordinaria», spiega monsignor Bressan alludendo alla partecipazione di tanti amici musulmani alle esequie.

Il riferimento è anche alla Consulta interreligiosa promossa a livello regionale «che ci permette di far vedere la forza delle religioni» e alla scelta di uno spazio nell’area Mind dedicato alle fedi e al dialogo.  

E tutto questo con tre compiti: «imparare a ricomprendersi, come la Diocesi sta facendo riconoscendosi Chiesa dalle genti; lavorare insieme per capire come incontrarsi, interrogandosi sulla nostra identità nel quotidiano e annunciare Dio e la sua importanza dentro le differenze».

Basti pensare – aggiunge, infine, Bressan – che «nel IV secolo anche Ambrogio, trovandosi vescovo di una città che conosceva un cristianesimo frammentato, ha costruito legami che ancora oggi fanno la nostra identità: quella di una Chiesa che porta il suo nome».

Il confronto sul pluralismo oggi

Dalla «perversa corrente in atto di delegittimazione del pluralismo e della pari dignità delle persone» si avvia l’intervento di Yahya Pallavicini, imam della moschea milanese Al-Wahid e vicepresidente della Coreis-Comunità Religiosa Islamica Italiana. «Oggi si misconosce la dignità del credente in un’altra religione, lo si tollera come figlio di un Dio minore o, addirittura, lo si considera un selvaggio da educare e un essere inferiore».

Yahya Pallavicini

Altrettanto pericolosi, secondo Pallavicini, «il relativismo e il sincretismo» vissuti con indifferenza per le specificità «per cui occorre negarle per volersi bene».

«Tutto questo ha a che fare con l’incapacità di comprendere il pluralismo che, nell’Islam, è un riflesso misterioso ed evidente della dimensione dell’unità. Ci sono linguaggi differenti all’interno di una lingua e ci sono diverse lingue e diversità nell’interpretare fatti e figure, ma bisogna riuscire a cogliere ciò che ci avvicina, rispettando ciò che è differente senza usare il metodo perverso del giudizio e della sentenza. Il confronto sul pluralismo è utile a tutti», scandisce l’imam che porta l’esempio di alcuni allarmanti segnali «che giungono dal nostro interno sunnita e che dicono che non si deve più dialogare con ebrei e rabbini, con gli sciiti o i non credenti, altrimenti non siamo più buoni musulmani. La diversità diventa sentenza di delegittimazione anche all’interno di una singola fede. Il compito dei religiosi e dei teologi è distinguere i piani portando avanti un obiettivo di pacificazione e cogliendo la profondità dello Sirito con rispetto per l’altro».

L’articolo 8 della Costituzione

Chiarissima anche la posizione espressa da Sophie Langeneck, pastora della Chiesa metodista di Milano. «Siamo, come protestanti, una comunità con una forte vocazione interculturale e su questo ci interroghiamo anche al nostro interno. Il dialogo interreligioso è la rete dei pescatori che deve essere ripulita e rammendata se ha degli strappi. Il primo passo pratico del dialogo è stare insieme e adoperarsi per trovare spazi in cui si possa comunque parlarci e questo è ciò che avviene nel Forum delle Religioni di Milano», osserva la Pastora che indica «un altro passo da fare: svolgere il ruolo di advocacy per un Paese plurale» che applichi l’articolo 8 della Costituzione italiana. «Noi vorremmo persino un superamento di questo articolo – “Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge” – che apra più ampiamente alla libertà religiosa. Una quarta pratica è la lotta al fondamentalismo, non quello degli altri, ma il nostro». 

«Qualcosa» non funziona

Al termine sono Paolo Branca, docente di Storia dell’Islam in Cattolica e Mohamed Baghdad, fisico atomico impegnato in varie realtà di confronto interreligioso, a portare le loro testimonianze di dialogo concreto con Branca che subito osserva. «Si impara più da chi ci si oppone che dagli amici, da uno schiaffo che da una carezza e non passa giorno in cui non parlo arabo con qualcuno per strada senza problemi». Questo è il mio punto di vista personale, ma da quello istituzionale c’è qualcosa che non funziona. Un “qualcosa” dietro al quale, se analizziamo oltre la superficie, ci sono singoli, e sempre più anche gruppi, concentrati sui temi identitari e che vogliono che non esistessero nemmeno alcune categorie di persone».