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Il ritratto

Delors, l’eredità politica di un “padre” dell’Europa unita

Scomparso a 98 anni, il politico francese, fervente cristiano, era ispirato da una visione alta dell’Europa di pace, coesa e solidale, attenta alle fasce più deboli della popolazione, aperta al mondo

di Gianni BORSA Agensir

29 Dicembre 2023
Jacques Delors (foto Commissione europea)

C’è sempre la possibilità, e si corre sempre il rischio, di riconoscere solo post mortem alle madri e ai padri quei meriti che in vita si sono taciuti o disconosciuti. Perfino negati. Per Jacques Delors, da moltissimi stimato in vita, sta accadendo questo da parte dei cosiddetti sovranisti, cittadini o politici che siano, i quali credono ai confini chiusi e ai muri di separazione, confinati essi stessi nel passato.

La morte dello statista francese ed europeo, ministro di Mitterrand e poi per dieci anni presidente della Commissione europea (1985-1995), in un periodo cruciale per il vecchio continente, è stata accompagnata da grandi parole di riconoscimento da più parti e da vistosi silenzi di coloro che all’Europa unita continuano a non credere.

Socialista convinto, cristiano fervente, Delors ha dedicato la sua vita e il suo lavoro al “bene pubblico”: da funzionario di Stato, da amministratore pubblico, da uomo delle istituzioni della allora Cee, che divenne Unione europea proprio al tempo della sua guida dell’esecutivo di Bruxelles.

Un concreto visionario

Definirne il profilo e il pensiero politico non è semplice. Ma certamente è stato un concreto visionario, capace di unire vasti orizzonti a conseguenti scelte operative. Un “funzionalista” della costruzione europea, come si dice nelle sedi Ue: nel senso indicato sin dalla Dichiarazione Schuman del 9 maggio 1950: «L’Europa non potrà farsi in una sola volta, né sarà costruita tutta insieme; essa sorgerà da realizzazioni concrete che creino anzitutto una solidarietà di fatto».

Ispirato da una visione alta dell’Europa di pace, coesa e solidale, attenta alle fasce più deboli della popolazione, aperta al mondo, ha cercato le strade per rinnovare i trattati (a partire dall’Atto Unico, 1986), per rafforzare la stessa Cee con il mercato unico, i fondi sociali e regionali, l’Erasmus; ha immaginato l’Unione economica e monetaria, euro compreso (Trattato di Maastricht, 1991), dedicando particolare cura alla riunificazione tedesca e immaginando l’allargamento a est dopo la caduta del Muro di Berlino.

Sulla sua strada Delors ha incontrato leader europeisti, come Helmut Kohl, e ingombranti nazionalisti come Margaret Thatcher. Nel suo progetto europeista e nelle conseguenti scelte politiche – alcune azzeccate altre meno, non avendo certo il dono dell’infallibilità – Delors si è basato sul noto trittico che suona così: «concorrenza che stimola, cooperazione che rafforza, solidarietà che unisce». Parole d’ordine a ben pensarci di estrema attualità, utili forse per affrontare quelle sfide – economiche, geopolitiche, sociali e istituzionali – che oggi l’Ue con i suoi 27 Stati e popoli hanno di fronte. A questo livello si colloca l’eredità che lascia Delors.

 

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