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Medio Oriente

Bagnasco: «Vicini ai cristiani perseguitati»

Il presidente della Cei in questi giorni è in Terra Santa, dove si tiene l’assemblea plenaria dei vescovi e cardinali presidenti delle Conferenze episcopali europee (Ccee). «Noi vescovi europei siamo qui per dare un segnale umile, discreto ma concreto»

di Gianni BORSA e Daniele ROCCHI Korazim

14 Settembre 2015

Migrazioni e persecuzioni dei cristiani: sono questi i principali temi che stanno facendo da sfondo all’assemblea plenaria dei vescovi e cardinali presidenti delle Conferenze episcopali europee (Ccee) in corso in Terra Santa, tra Korazim, Gerusalemme e Betlemme (fino al 16 settembre). Un evento storico poiché è la prima volta che i vescovi, presidenti di 35 Conferenze episcopali in rappresentanza di 45 Paesi europei, si ritrovano nella terra di Gesù per la loro assemblea annuale. «Siamo qui per dare un segnale umile, discreto ma concreto di vicinanza, di ammirazione e gratitudine per la Terra Santa – spiega il presidente della Conferenza episcopale italiana (Cei), cardinale Angelo Bagnasco – di grande stima per i cristiani che qui vivono e presidiano i luoghi santi cari a tutta l’umanità, cattolica e cristiana, e che sono in forte difficoltà. Tornare alle radici della nostra fede cristiana è una grande grazia che noi vescovi riceviamo».

Ha citato le comunità cristiane in grande difficoltà e il pensiero corre anche a quelle perseguitate in Siria e in Iraq. All’Angelus, papa Francesco ha voluto ricordare la «testimonianza di tanti fratelli e sorelle nostre, giovani, anziani, ragazzi, bambini, perseguitati, cacciati via, uccisi per confessare Gesù Cristo». È possibile fermare queste persecuzioni e come?

«Intanto con la preghiera, come papa Francesco ci invita a fare. In secondo luogo è necessario che i riflettori del mondo e dei media non si spengano su questa tragedia continua della persecuzione religiosa ed etnica. Altro punto importante è aiutare i cristiani a non essere costretti ad abbandonare il proprio Paese aiutandoli sul piano dei bisogni, come casa, lavoro, istruzione. Non è facile ma è un aiuto concreto».

La Cei a riguardo ha promosso diversi progetti…

«La Chiesa italiana recentemente ha stanziato circa due milioni di euro per permettere a 1400 bambini figli di rifugiati cristiani accolti in Giordania di tornare a scuola. I vescovi di qui mi riferiscono che è stato un grande segno di incoraggiamento anche per i genitori la cui vita riprende una certa normalità nel vedere i figli in classe».

Tornando alle persecuzioni, preghiera e solidarietà di certo non bastano per fermarle. Servirebbe un impegno maggiore, concreto, da parte della comunità internazionale, non crede?

«La cosiddetta comunità internazionale a mio avviso, se volesse, potrebbe mettere la parola fine. Non attraverso particolari azioni di forza ma per mezzo di altri canali. Intendo dire che se si isolassero coralmente tutti i soggetti tirannici e violentatori che sono contro le libertà e la vita di tanta gente, con una continua condanna morale, ripetuta e universale – tagliando nel contempo ogni rapporto commerciale – io credo che le cose potrebbero cambiare».

Stiamo assistendo a un vero e proprio esodo di massa di migranti verso l’Europa. Ultimamente si è registrata un’altra strage di migranti nell’Egeo, molti erano neonati e bambini. Nel frattempo il ministro dei Trasporti tedesco, Alexander Dobrint, ha denunciato il “fallimento totale” dell’Ue nella difesa dei suoi confini esterni, sollecitando l’applicazione di misure urgenti per arrestare l’afflusso record di migranti dal Medio Oriente…

«Cosa significa che l’Europa non ha saputo difendere i suoi confini esterni? Vuol dire forse che si dovevano erigere muri o fili spinati? Non è questa la logica di un’Europa civile. Inutile che ci si aspetti in Europa che questo fenomeno si dissolva. Il Sud del mondo si è messo in movimento verso uno spiraglio di vita migliore e nessuno lo fermerà. Per questo non solo l’Europa deve muoversi – e si è mossa molto tardi -. Ricordiamo che l’Italia è stata la prima che si è mobilitata, con grande generosità, e meglio che ha potuto. Ma anche l’Onu deve prendere seriamente in considerazione il fenomeno a livello internazionale».