L’Ospedale di Niguarda, sorto negli anni Trenta nella periferia settentrionale di Milano, è uno dei più grandi d’Italia. Durante la seconda guerra mondale medici e infermieri fecero tutti il loro dovere con coscienza e professionalità. Ma qualcuno fece ancora di più, non limitandosi a curare, ma cercando in tutti i modi di salvare i perseguitati dalle mani dei nazifascisti. L’eroismo della carità: della carità cristiana.
Esemplare in questo senso è stata la figura di suor Giovanna Mosna, dell’Ordine di Maria Bambina. Nata nel 1916 in Trentino, di famiglia numerosa e contadina, suor Giovanna giunse a Niguarda alla vigilia della guerra, dopo il noviziato a Bergamo, come infermiera e caposala.
Con le incursioni aeree del 43 e 44 la situazione a Milano si fece particolarmente pesante. Ma tra i moltissimi feriti che giungevano all’ospedale di Niguarda, ve ne erano alcuni particolari, considerati pericolosi e da guardare a vista: si trattava di partigiani e antifascisti che, feriti e catturati dai tedeschi, venivano portati nel padiglione Ponti di Niguarda, trasformato in una sorta di ospedale «militare».
Responsabile infermieristica di questo reparto era proprio suor Giovanna Mosna. Che con coraggio ammirevole, prontezza e intelligenza, riuscì a salvare dalla deportazione e dalla morte certa decine di prigionieri, facendo da tramite con le forze della Resistenza ed escogitando rischiosi stratagemmi per togliere dalle mani dei carnefici le loro vittime. Il tutto con grave rischio personale, minacce e persecuzioni, a cui seppe far fronte con una serenità e una lucidità impressionanti.
Tra i molti episodi noti, si può ricordare quello che vide coinvolto Gastone Piccinini, comandante partigiano, medaglia d’oro al valor militare. L’uomo fu portato a Niguarda il 6 giugno 1944 dalle SS, gravemente ferito. Fin dall’inizio suor Giovanna non solo si prodigò nell’assistere Piccinini, ma si fece «staffetta» tra lui e i partigiani. E per evitare la sua dimissione dall’ospedale, in accordo con i medici dell’ospedale non esitò a falsificarne la cartella clinica e perfino a inoculare forti dosi di vaccino, per tenere alta la febbre: espedienti estremi per una situazione estrema. Fino alla sua liberazione, per mano dei partigiani, favorita proprio da suor Giovanna.
E lo stesso si ripeté numerose altre volte, con altri feriti, malati, prigionieri, perseguitati. Con suor Giovanna che, insieme ad altre sorelle, infermiere e medici (e l’allora parroco di Niguarda, l’indimenticato monsignor Macchi), organizzava la raccolta di medicinali e di generi di prima necessità da destinare ai partigiani e alle organizzazioni clandestine che portavano in salvo i ricercati.
Per questo, quando morì prematuramente il 14 marzo 1963, suor Mosna fu ricordata con infinita gratitudine da tutti coloro, ed erano moltissimi, che furono salvati grazie al suo impegno eroico. A cominciare dall’onorevole Piero Malvestiti, che dichiarò: «Se mai al mondo ho conosciuto una eroina e una santa, quella era suor Giovanna». Alla memoria le fu tributata la medaglia d’oro al valore.










