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Duomo di Milano

Il san Bartolomeo scorticato e… restaurato!

Dopo l’intervento di ripulitura, è tornato nella cattedrale ambrosiana il celebre capolavoro di Marco d’Agrate, che mostra l’apostolo privo della pelle per il martirio subito. Un saggio di bravura, del 1562, che ha sempre suscitato l’ammirazione dei visitatori, di ieri e di oggi. Collocato ora nel retrocoro, al suo posto, è stata messa un’altra statua straordinaria: il Cristo alla colonna di Cristoforo Solari detto il Gobbo, degli inizi del '500.

di Luca FRIGERIO

30 Maggio 2025

È la statua più nota e ammirata del Duomo di Milano (dopo la Madonnina, naturalmente). Stiamo parlando del san Bartolomeo scorticato, che da secoli attira l’attenzione dei visitatori della cattedrale ambrosiana, tra l’ammirazione per il virtuosismo scultoreo e l’impressione per i dettagli anatomici tanto esatti e «crudi».

L’apostolo, infatti, è ritratto a figura intera, mostrando la muscolatura e i tendini perché completamente privo di pelle, che porta con nonchalance sulle spalle e lunghi i fianchi, come un macabro mantello, con tanto di barba e capelli nella parte della testa.

Secondo la tradizione, del resto, Bartolomeo subì una terribile tortura, venendo scuoiato vivo in Armenia dove si era recato ad annunciare il Vangelo. Motivo per cui, anche nelle raffigurazioni più «tradizionali», questo apostolo è solitamente identificabile dal coltello che tiene stretto in mano, strumento del suo martirio, appunto.

Oggi la Veneranda Fabbrica del Duomo ha provveduto al restauro della celebre statua, che ora si può osservare ogni minimo dettaglio.

L’opera è considerata il capolavoro di Marco Ferrari d’Agrate, scultore nato nel 1491 e morto attorno al 1570, attivo nel cantiere della cattedrale di Milano alla metà del XVI secolo. Nativo di Parma, Marco realizzò il suo san Bartolomeo nel 1562, dando prova di grande maestria nel modellato e di una profonda conoscenza dell’anatomia umana, tanto che la statua fu presa a modello da generazioni di artisti.

Sulla base, infatti, si legge un’epigrafe in latino che recita: «Non mi ha fatto Prassitele, ma Marco d’Agrate». Un’iscrizione che a lungo è stata letta come autografa, e quindi come fiera rivendicazione delle proprie capacità, come se l’osservatore, meravigliato, potesse attribuire l’opera a uno dei più grandi scultori dell’antichità.

Il san Bartolomeo scorticato, esposto in origine sul fianco meridionale del Duomo, a metà del Seicento fu portato all’interno per essere meglio conservato e più agevolmente ammirato (e per non turbare i passanti, soprattutto donne e bambini, come diceva la voce popolare). Nel secolo scorso l’opera era situata vicino all’ingresso laterale (diventando uno dei punti di maggior attrazione della cattedrale), ma oggi, al termine del restauro, è stata posizionata nel retrocoro.

Al posto del San Bartolomeo è stata collocata un’altra scultura: quella che raffigura Cristo legato alla colonna per essere flagellato, opera degli inizi del 500 di Cristoforo Solari detto il Gobbo. Un altro gioiello del Duomo di Milano che oggi possiamo riscoprire.

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