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MARIO DELPINI
ARCIVESCOVO DI MILANO

KYRIE, ALLELUIA, AMEN

Pregare per vivere, nella Chiesa come discepoli di Gesù

24 Giugno 2022

Proposta pastorale per l’anno 2022-2023

 

INTRODUZIONE

Un nuovo inizio? Una ripartenza?

Le parole che descrivono il momento che stiamo vivendo delineano una possibilità, un’aspettativa. Forse trovano un’umanità che porta segni di stanchezza, piuttosto che di slancio; di esitazione, piuttosto che di entusiasmo; travolta da una fretta di risentito recupero, piuttosto che attratta da una promessa affascinante, incerta più che disponibile.

Come sarà possibile conservare la gioia nei giorni tribolati della storia umana? Come sarà possibile sostenere il logoramento dei tempi faticosi, senza perdere la speranza? Quali vie si dovranno percorrere per camminare insieme, decidere insieme, vivere in comunione con persone, storie, culture così diverse?

Il Signore Gesù, in un momento di frustrazione per sé e per i suoi, rivolge il suo invito: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro» (Mt 11,28).

 

La prima indicazione pastorale che il venerato cardinale Carlo Maria Martini ha offerto alla Chiesa di Milano è stata La dimensione contemplativa della vita (1980). Quella lettera pastorale è stata sorprendente e provvidenziale e ha segnato l’inizio del suo episcopato. Celebrando in questo anno il decimo anniversario della morte, mi sono offerte molte occasioni per ripensare al ministero del cardinale Martini, alla memoria grata di noi tutti e al riferimento costante alle sue parole e ai suoi gesti.

Anche per questo mi sento incoraggiato a offrire alla nostra Chiesa diocesana un invito a ritornare su quell’inizio per approfondire le motivazioni, riconoscere la necessità, determinarsi a una particolare cura comunitaria e personale della dimensione contemplativa della vita. Mi sembra un’attenzione poco esercitata.

Papa Francesco indica come essenziale la preghiera per rendere possibile e feconda la missione di annunciare il Vangelo nella gioia.

Scrive in Evangelii Gaudium:

 

Evangelizzatori con Spirito significa evangelizzatori che pregano e lavorano. Dal punto di vista dell’evangelizzazione, non servono né le proposte mistiche senza un forte impegno sociale e missionario, né i discorsi e le prassi sociali e pastorali senza una spiritualità che trasformi il cuore. Tali proposte parziali e disgreganti raggiungono solo piccoli gruppi e non hanno una forza di ampia penetrazione, perché mutilano il Vangelo. Occorre sempre coltivare uno spazio interiore che conferisca senso cristiano all’impegno e all’attività. Senza momenti prolungati di adorazione, di incontro orante con la Parola, di dialogo sincero con il Signore, facilmente i compiti si svuotano di significato, ci indeboliamo per la stanchezza e le difficoltà, e il fervore si spegne. La Chiesa non può fare a meno del polmone della preghiera, e mi rallegra immensamente che si moltiplichino in tutte le istituzioni ecclesiali i gruppi di preghiera, di intercessione, di lettura orante della Parola, le adorazioni perpetue dell’Eucaristia. Nello stesso tempo «si deve respingere la tentazione di una spiritualità intimistica e individualistica, che mal si comporrebbe con le esigenze della carità, oltre che con la logica dell’Incarnazione». C’è il rischio che alcuni momenti di preghiera diventino una scusa per evitare di donare la vita nella missione, perché la privatizzazione dello stile di vita può condurre i cristiani a rifugiarsi in qualche falsa spiritualità.         (EG 262)

 

Propongo quindi di vivere nel prossimo anno pastorale, ma con lo scopo che diventi pratica costante, una particolare attenzione alla preghiera.

 

Abbiamo bisogno di riflettere sulla preghiera per comprendere il significato, l’importanza, la pratica cristiana, in obbedienza a Gesù nostro Signore, modello e maestro di preghiera. Non intendo proporre una enciclopedia della preghiera, ma incoraggiare a verificare il modo di pregare delle nostre comunità. Ho l’impressione che sia una pratica troppo trascurata da molti, vissuta talora come inerzia e adempimento, più che come la necessità della vita cristiana. Cioè della vita vissuta in comunione con Gesù, irrinunciabile come l’aria per i polmoni.

 

Abbiamo bisogno di pregare, di metterci alla presenza del Signore per ascoltare la sua Parola, aprirci al dono del suo Spirito, entrare con confidente abbandono in comunione con il Padre.

Se non ci raduniamo perseveranti e concordi nella preghiera insieme a Maria (cfr. At 1,14), non ci è possibile ricevere il dono dello Spirito.

Il cammino verso una Chiesa sinodale che ci raduni da provenienze diverse – «Chiesa dalle genti» – rischia di essere un’impresa logorante e dispersiva se non ci rendiamo docili allo Spirito Santo, esercitandoci in un ascolto umile, intelligente, condiviso.

Il Gruppo Barnaba in ogni decanato sta dando forma a una promettente Assemblea Sinodale Decanale. Ho raccolto lo stupore per il bene presente nella nostra Chiesa, ma anche la fatica di entrare in contatto con manifestazioni così numerose dell’intraprendenza, sapienza ed efficienza della generosità ambrosiana e con le domande sui passi da compiere. Il percorso avviato continuerà attenendosi alle indicazioni della Chiesa italiana e ai percorsi diocesani proposti per i diversi decanati.

Tutti abbiamo bisogno di pregare, di una preghiera che non sia solo formale “inizio dei lavori”, ma sostanziale docilità allo Spirito, che non mancherà di produrre i suoi frutti per una Chiesa unita, libera, lieta.

La verifica e il ripensamento delle comunità pastorali esistenti e di quelle in formazione intendono richiamare le condizioni per vivere la pastorale di insieme con evidente ardore missionario, giungendo a formulare un quadro condiviso perché le comunità pastorali stesse siano riconoscibili, nella diversità dei territori della diocesi, come un progetto diocesano. Abbiamo bisogno di pregare, di pregare tutti, di pregare insieme, di pregare molto.

La vita personale diventa un giogo pesante e uno smarrimento se non ascoltiamo la Parola che chiama e non viviamo la grata accoglienza della nostra vocazione a essere pietre vive nella santa Chiesa, la speranza invincibile che si affida alla promessa di Gesù, Vita eterna, gioia piena, visione di Dio faccia a faccia.

 

Abbiamo bisogno di pregare, di imparare a pregare, di insegnare a pregare, perché la grazia di Dio operi e sia anima della missione, della carità, dell’impegno a vivere nel mondo, per il mondo, senza diventare sale insipido, presenza insignificante.

Abbiamo bisogno di pregare per attingere ogni giorno, insieme e personalmente, a un principio di pace e di fortezza. È un bisogno presente in tutte le culture e in tutte le epoche. «Senza la preghiera sarei impazzito più volte» scriveva Gandhi.

Forse qualche aspetto del disagio sociale, delle patologie che affliggono tante persone, in questa stentata e lenta uscita dalla pandemia, ha una radice anche nel fatto che la nostra società ha censurato la preghiera, dichiarandone l’inutilità e confinandola in un privato eventuale e quasi imbarazzante.

La sollecitudine per la preghiera è una forma di carità e ogni fratello e sorella dovrebbe prendersi cura anche della preghiera degli altri. I preti devono chiedere alla gente: come pregate? Quando pregate? In che modo posso aiutarvi a pregare? E la gente deve chiedere ai preti: come pregate? Quando pregate? In che modo possiamo aiutarvi a pregare? Infatti nessuno – neppure i preti, neppure i cristiani impegnati, neppure i consacrati e le consacrate – è al riparo dalla tentazione di trascurare la preghiera, cioè quel dimorare in Gesù che è la condizione irrinunciabile per portare molto frutto, secondo i criteri di Dio.

Non riesco a non pensare che la tristezza, il grigiore, il malcontento possano avere una radice anche nel fatto che preghiamo troppo poco e in modo troppo diverso da come prega Gesù, sempre vivo per intercedere a nostro favore (cfr. Eb 7,25).

 

Propongo quindi di riflettere su alcuni temi e pratiche che riguardano la preghiera e invito ogni comunità e ogni fedele a verificare il proprio modo di celebrare, di pregare, e a introdurre attenzioni, proposte, occasioni per offrire a tutti percorsi di preghiera che siano l’anima, il respiro, la forza della vita cristiana.

 

 

I

«Per Cristo, con Cristo, in Cristo»

La grazia della preghiera cristiana

 

 

Se uno è in Cristo è una nuova creatura (cfr. 2Cor 5,17). Il battesimo rigenera l’uomo e la donna e opera quella rinascita dall’alto che Gesù chiede a Nicodemo e a tutti. Ogni aspetto della vita riceve la grazia di partecipare alla vita di Gesù, ai suoi sentimenti, alla sua relazione con il Padre. Si diventa figli nel Figlio: «È in lui che abita corporalmente tutta la pienezza della divinità, e voi partecipate della pienezza di lui» (Col 2,9-10).

La preghiera cristiana è il tempo, il rito, le parole, i sentimenti, i pensieri con cui «per Cristo, con Cristo, in Cristo» i cristiani esprimono quello che vivono, il loro essere figli nel Figlio.

Il dono dello Spirito è la grazia che rende possibile la preghiera cristiana: «Allo stesso modo anche lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza; non sappiamo infatti come pregare in modo conveniente, ma lo Spirito stesso intercede con gemiti inesprimibili; e colui che scruta i cuori sa che cosa desidera lo Spirito, perché egli intercede per i santi secondo i disegni di Dio» (Rm 8,26-27).

 

 

  1. Per Cristo: la conversione della spiritualità alla relazione trinitaria

 

Anche nella città secolare, anche nella società confusa e smarrita, anche nella vita frenetica e distratta sembra che sia riconosciuta l’importanza della spiritualità.

Talora si ha l’impressione che la spiritualità sia una specie di lusso raffinato, accessibile a coloro che hanno tempo e risorse per dedicarsi a esperienze di evasione dalla quotidianità deprimente, giorni per luoghi d’incanto.

Talora si ha l’impressione che la spiritualità sia una sorta di consuetudine anacronistica per gente devota, cresciuta in altri tempi e in altri luoghi.

Talora dice di un bisogno, una sete che strugge ogni uomo e ogni donna, un irresistibile e confuso affacciarsi sul mistero come su un enigma senza parole.

Forse capita a tutti di sentirsi prendere da un’emozione intensa e inquieta, uno strazio e un sospiro che si chiude presto come una parentesi, se non proprio come una distrazione, come quando si partecipa al funerale di un giovane amico.

Forse tutti sono, in un certo senso, “assetati di assoluto” per quanto l’espressione suoni generica e un po’ incomprensibile.

 

La spiritualità assume l’aspetto di una sorta di disciplina del benessere spirituale, una pratica per stare bene con se stessi. E come il benessere fisico si coltiva con esercizi e regimi alimentari, così il benessere spirituale è propiziato da parole, musiche, sguardi, silenzi. Ci può essere la tendenza a cercare solo un momento di sollievo dallo stress e dalle frustrazioni della vita ordinaria. La spiritualità è ridotta a servizio dell’individuo, una ricerca del benessere individuale attingendo a dimensioni della persona, talora troppo trascurate, che si rivelano invece preziose per affrontare la vita. Emergono energie che aiutano a reagire anche nelle malattie, a vincere anche nelle sfide, a essere più efficienti anche nel lavoro.

 

I discepoli di Gesù hanno imparato a dare un nome all’inquietudine, a riconoscere la dimensione spirituale come essenziale per la vita, ma la interpretano come un’invocazione. Citiamo spesso sant’Agostino, un uomo così antico che offre una parola per leggere vicende di ogni tempo: «Ci hai fatti per te e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te» (Le confessioni, 1,1,1). La spiritualità non si riduce a una ricerca di quello che mi fa star bene, ma diventa itinerario, ricerca. Uomini e donne intuiscono che la via per “stare bene” non è quella che conduce a ripiegarsi su di sé, ma quella che porta a un incontro.

Coloro che sono mossi da quell’indefinibile desiderio di “un dio ignoto” si rendono conto di non saper pregare in modo conveniente. Dove trovano risposte? Le molte forme della religione, che segnano da sempre la storia dell’umanità, insegnano a pregare, offrono testi, edificano luoghi di culto, indicano pratiche ascetiche. I discepoli di Gesù apprezzano tutto quello che è bene, bello, nobile. Imparano le lingue degli uomini e dei tempi in cui vivono. Ma, come i primi discepoli, riconoscono che Dio rimane inaccessibile. «Dio, nessuno lo ha mai visto; il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato» (Gv 1,18).

 

 

  1. Con Cristo: Gesù modello e maestro di preghiera

 

Perciò i discepoli chiedono a Gesù: «Signore, insegnaci a pregare».

Gesù vive la sua preghiera come figlio del suo popolo, con i salmi e i riti che hanno nutrito la spiritualità del popolo dell’alleanza, celebrando le feste giudaiche secondo la liturgia praticata nel tempio e nelle case. Questa preghiera che legge le Scritture in sinagoga e medita i salmi trova in Gesù un’interpretazione unica, che diventa in qualche caso provocatoria, che offre immagini e parole per spiegare la sua missione.

Gesù prega il Padre in modo personale, esprimendo i suoi sentimenti nell’esultanza dello Spirito, nella gratitudine per la sua opera, nell’angoscia che lo tormenta. In ogni momento la sua comunione con il Padre è tutta la sua verità, tutto quello che ha da insegnare, tutto quello che ha da fare.

I discepoli riconoscono in Gesù il maestro per la loro preghiera, ma la loro richiesta non è solo per la lezione di un maestro, ma per condividere l’intimità che Gesù vive con il Padre, Colui che lo ha mandato. Gesù, per rispondere alla loro richiesta, insegna a entrare in relazione con il Padre, a chiamare Dio con lo stesso nome della sua confidenza e obbedienza, a parlare al Padre come lui stesso, il Figlio unigenito, si confida e si affida.

Gesù suggerisce le parole della preghiera: «Padre».

Nel Vangelo secondo Matteo Gesù insegna il Padre nostro. Insegna non solo le parole, ma anche il modo del pregare dei discepoli. Mette in guardia dall’immaginare la preghiera come un’insistenza che pretende di essere esaudita e dal vivere la preghiera come un’evasione dai rapporti dell’esistenza quotidiana. Invita a praticare il perdono per essere perdonati.

Autori di ogni tempo, fin dai primi secoli della storia della Chiesa, hanno commentato il Padre nostro come sintesi adeguata dell’insegnamento cristiano sulla preghiera. Può essere una proposta attraente che in ogni comunità sia offerto un commento al Padre nostro come un aiuto per imparare a pregare.

I percorsi per imparare e insegnare a pregare conducono a convertire alla relazione trinitaria il desiderio di pregare.

 

 

  1. In Cristo: l’aridità del deserto e la grazia
    dei «fiumi di acqua viva» (Gv 7,38)

 

Nel nostro tempo, insieme con la necessità di “una spiritualità” che molti avvertono, sembra di dover registrare anche una diffusa indifferenza, una tranquilla estraneità rispetto ai temi della preghiera e della ricerca di Dio. Nessuno, certo, può leggere quello che in verità è scritto nel cuore di ciascuno.

Quello che tuttavia crediamo fermamente è che Dio vuole che tutti siano salvati e giungano alla conoscenza della verità (cfr. 1Tm 2,4) e che Gesù, innalzato da terra, attira tutti a sé (cfr. Gv 12,32). Solo il Padre conosce come porterà a compimento la sua volontà di salvare tutti, come figli adottivi nel Figlio unigenito.

A servizio dell’attrattiva di Gesù elevato sulla croce e nella gloria, tutti i battezzati, cioè la Chiesa, percorrono le vie del mondo, chiedendo di essere aiutati a vivere la vita dei figli di Dio e a pregare, offrendo quello che sanno, quello che hanno capito, quello che fanno perché giunga a tutti il Vangelo.

Attraverso la testimonianza dei battezzati lo Spirito di Gesù scende come rugiada che feconda la terra e rende possibile contemplare il miracolo dell’aridità che si rivela feconda, della desolazione che si veste di gloria, dell’estraneità e dell’indifferenza che si aprono alla speranza.

«“Se qualcuno ha sete, venga a me, e beva chi crede in me. Come dice la Scrittura: Dal suo grembo sgorgheranno fiumi di acqua viva”. Questo egli disse dello Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui: infatti non vi era ancora lo Spirito, perché Gesù non era ancora stato glorificato» (Gv 7,37-39).

Non è dato a noi di conoscere i tempi e i momenti, ma non possiamo sottrarci alla responsabilità di annunciare il Vangelo e di invitare tutti a riconoscere la vocazione a essere figli di Dio, a essere santi e immacolati di fronte al Padre nella carità (cfr. Ef 1,4).

Perciò vorremmo che le nostre comunità si riconoscessero anzitutto per essere case della preghiera, oltre che case della carità, scuole di preghiera, oltre che offerta di doposcuola.

Perciò vorremmo essere uomini e donne di preghiera che insegnano a pregare «per Cristo, con Cristo e in Cristo», in famiglia, in comunità, dentro le attività ordinarie e anche in momenti personali desiderati e cercati con determinazione.

 

 

II

Celebrare pregando

Il rito che trasfigura

 

 

La celebrazione liturgica, in particolare la celebrazione eucaristica, introduce nella comunione con Gesù per potenza di Spirito Santo. Perciò «osiamo dire: Padre nostro…».

È per noi così abituale e “facile” partecipare alla celebrazione eucaristica, che corriamo il rischio di viverla come un adempimento scontato. Può essere che a proposito della messa ci sia persino una pretesa: che essa sia in un orario comodo, vicino a casa, celebrata senza lungaggini, da un prete che corrisponda alle nostre aspettative. Per noi non è pericoloso andare a messa, come capita a tanti cristiani in diversi Paesi del mondo. La messa non è un evento raro, riservato a quando “arriva il Padre”, come si usa dire in tanti luoghi in cui i cristiani sono dispersi in ampi territori e la capillarità delle parrocchie è impossibile per scarsità di clero e di risorse.

Deve diventare abituale e condiviso imparare a celebrare l’eucaristia come una grazia, «perché la presenza del Figlio tuo in questo sublime sacramento doni pienezza alla nostra fede» (Preghiera Eucaristica VI).

Il rito che celebriamo non è la ripetizione di parole e gesti che si riduce a un doveroso adempimento. È piuttosto la grazia di entrare nel mistero come popolo santo di Dio, che nell’eucaristia riceve vita e forma. È la grazia di ricevere il dono dello Spirito che nel cuore di ciascuno e nell’insieme dell’assemblea eucaristica configura a Gesù, per essere l’unico santo corpo del Signore. È il memoriale della Pasqua che diventa principio di vita nuova, trasfigurata dalla partecipazione alla morte e risurrezione di Gesù.

 

  1. La sospensione della pandemia: occasione per un nuovo inizio?

 

I mesi della pandemia e i protocolli per il contenimento del contagio hanno condizionato pesantemente le celebrazioni comunitarie. La ripresa di una normale scioltezza dovrebbe essere un’occasione propizia per una riflessione critica sulla prassi tradizionale e una interpretazione intelligente delle possibili, promettenti innovazioni.

Alcune famiglie – sono forse ancora poche – hanno vissuto momenti di preghiera e di celebrazione in casa nei mesi del lockdown. La famiglia, piccola Chiesa domestica, deve sentirsi autorizzata a crearsi forme di preghiera adatte alla propria casa e situazione. È quindi necessario offrire sussidi, far conoscere buone prassi e soprattutto incoraggiare la preghiera in famiglia. Non si tratta di cercare una sorta di surrogato e di alternativa alla celebrazione comunitaria, ma di creare condizioni per quella grazia unica del pregare insieme che è provvidenziale per condividere la gioia, la preghiera di intercessione, la pratica del perdono e della riconciliazione. «Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro» (Mt 18,20).

 

La celebrazione comunitaria dell’eucaristia e della Liturgia delle ore rimane il centro della vita della comunità. Non possiamo però non essere interrogati e impensieriti dalla riduzione numerica della partecipazione, dall’assenza vistosa di alcune fasce di età, dal rarefarsi dei coristi. Non si può condividere che “guardare la messa in televisione” sia una forma equivalente alla partecipazione in presenza. Gli strumenti di comunicazione sono piuttosto di grande aiuto per chi non può uscire di casa per motivi di salute o difficoltà di movimento. Certo un servizio di trasporto che aiuti anche i malati, i disabili, gli anziani a essere presenti fisicamente nella vita della comunità è un rimedio più incisivo alla solitudine, come del resto il servizio encomiabile dei ministri straordinari della comunione ai malati.

In ogni caso la celebrazione dell’eucaristia non può essere un’inerzia che riprende consuetudini come se fossero tradizioni intoccabili. Metto in evidenza il tema della celebrazione eucaristica, ma riflessioni, verifiche, tentativi devono essere fatti anche per quanto riguarda la celebrazione del battesimo, della confermazione, dell’unzione degli infermi. Una particolare attenzione si deve dedicare alla celebrazione del sacramento della riconciliazione, disatteso da troppi fedeli, celebrato in modo troppo individualistico da alcuni. La disaffezione al sacramento della riconciliazione è un segno di molte e profonde problematiche che non possiamo lasciar cadere. Sarebbe opportuno che, in particolare nel tempo di Quaresima, la diocesi offrisse sussidi e proposte e in ogni comunità fossero avviate riflessioni e nuove prassi con fiducia, prudenza e insistenza.

 

 

  1. L’educazione alla preghiera e gli incaricati
    della preghiera

 

La preghiera è, in un certo senso, una pratica spontanea che ha sempre caratterizzato l’umanità; tuttavia le consuetudini del nostro tempo l’hanno resa una manifestazione troppo individualistica, quasi da nascondere nell’intimo della vita personale, e hanno estraniato molti dal linguaggio liturgico. Le parole e i segni delle celebrazioni sono diventati per molti incomprensibili.

Le comunità sono chiamate a essere case di preghiera e scuole di preghiera, non per ridurre le celebrazioni a spiegazioni, né per semplificare o complicare il celebrare immaginando che cambiando le parole antiche e accumulando interventi di animazione si possa facilitare la percezione del mistero e l’intima e fruttuosa partecipazione alle celebrazioni.

Solo per fare un esempio, può essere sorprendente e forse anche scoraggiante constatare che “i bambini non sanno fare neppure il segno della croce”. Ma la constatazione deve indicare la responsabilità degli adulti dediti all’educazione dei più piccoli. “Il segno della croce” è un gesto in cui si riassume il mistero pasquale e il mistero trinitario: come potranno viverlo i bambini se non viene insegnato con pazienza e sapienza? L’Amen che conclude il segno della croce può essere la quotidiana professione di fede, che diventa segno di speranza per ogni momento della giornata.

 

Per curare la preghiera comunitaria e per aiutare tutti a pregare è necessaria una formazione specifica e permanente di coloro che la guidano e vi prestano servizio.

Anche i ministri ordinati, preti e diaconi, hanno bisogno di imparare a pregare, a presiedere, a vivere la celebrazione con intima partecipazione.

Si deve però provvedere alla formazione di alcuni battezzati, laici, consacrati e consacrate che si facciano carico della preghiera della comunità, collaborando con i ministri ordinati o con propria diretta responsabilità. Le comunità, i gruppi spontanei devono essere invitati e aiutati a pregare anche quando non è possibile la presenza di un ministro ordinato e i fedeli devono trovare le chiese aperte negli orari opportuni.

L’indicazione di papa Francesco per promuovere l’Accolitato e il Lettorato dovrà tradursi nell’istituzione di persone per un servizio qualificato che coordini, promuova, incoraggi una collaborazione e una corresponsabilità per favorire la preghiera della Liturgia delle ore, l’adorazione eucaristica e le manifestazioni della devozione popolare come il Rosario, la Via crucis, la preghiera a Maria e ai santi, espressioni delle tradizioni dei popoli presenti nella nostra Chiesa.

 

 

  1. La cura per le condizioni del celebrare

 

Lo Spirito soffia dove vuole, ma abbiamo tutti il dovere di favorire le condizioni perché il soffio dello Spirito vivifichi le comunità e ciascuno di noi.

Servono certo anche lezioni teoriche e persone che si facciano carico della celebrazione. Invito perciò a creare e incoraggiare gruppi di animazione liturgica e musicale delle celebrazioni che siano disponibili a percorsi di formazione e a curare le attenzioni necessarie perché si celebri bene e in modo fruttuoso.

Qui posso proporre solo un indice allusivo di alcuni aspetti che, a mio parere, meritano particolare attenzione: l’accoglienza e il congedo dell’assemblea, il luogo del celebrare, gli arredi, i paramenti, i vasi sacri, l’animazione musicale, il servizio liturgico, le letture, il silenzio. Da quanto tempo questi argomenti non sono oggetto di confronto, di verifica e di attenzioni operative specifiche da parte di coloro che li vivono e animano?

È doverosa la riconoscenza per tutti coloro che si prestano a curare questi aspetti e che offrono un servizio non sempre adeguatamente riconosciuto e talora non sufficientemente istruito: sacristi, persone che curano la pulizia e il decoro della chiesa, animatori musicali, coristi, organisti, chierichetti, lettori, accoliti.

 

 

  1. Entrare nel mistero

 

Si tratta dunque di entrare nel mistero: non tanto assistere allo svolgimento di un rito, non ascoltare una predica, non essere istruiti con un insegnamento.

Entrare nel mistero è la grazia di accogliere l’invito alla comunione con Gesù risorto, vivo, presente nella forma del sacramento. Quindi segni, parole, rapporti che danno vita all’unione con Gesù, nel corpo mistico della Chiesa. La celebrazione è infatti il rito che la Chiesa vive nel suo insieme. Non solo il ministro ordinato, ma tutti coloro che vivono il sacerdozio battesimale, nel loro ordine e grado, offrono a Dio il culto spirituale che nella celebrazione liturgica giunge a un particolare compimento.

Perciò tutta la comunità è chiamata a vivere l’entrare nel mistero e a curare che la celebrazione aiuti tutti a edificarsi nella comunione con la santità di Dio che si è manifestata in Gesù.

Il rito consente un’esperienza singolare di relazione con il mistero trinitario nella comunione dei santi: chiede perciò di essere vissuto nella sua verità e ogni comunità deve sviluppare le attenzioni che propiziano questa esperienza singolare. È un’esperienza antropologica universale: culture meno malate di intellettualismo e di soggettivismo possono offrire esempi e provocazioni opportuni.

La partecipazione al celebrare coinvolge tutte le dimensioni della persona: le sensazioni, le emozioni, il pensiero, la memoria, tutti i sensi: vista, udito, tatto, la voce, il movimento. L’umanità intera è trasfigurata. Un segno particolarmente significativo è il canto: quando una persona canta durante la celebrazione segnala in un modo intenso di essere presente, partecipe, emozionata e illuminata dal mistero che si celebra. Come mai in molte nostre comunità la gente canta così poco e così male?

 

La presenza tra noi di persone originarie di altre culture, con modi diversi di esprimere la fede, con «la loro liturgia, la loro teologia, la loro spiritualità e la loro pastorale sono un dono prezioso per la nostra Chiesa locale» (cfr. Chiesa dalle genti: responsabilità e prospettive, par. 5) e sono un’opportunità per imparare a vivere il dialogo e la relazione con Dio in forme nuove. Una spiritualità più contemplativa propria di alcune culture, o più gioiosa per altre, comunicata anche attraverso il linguaggio del corpo, può suggerire forme di condivisione che contribuiranno, come speriamo, a rendere le celebrazioni della Chiesa dalle genti ancora più inclusive, partecipate e festose.

 

Il silenzio non è meno significativo del canto nell’affacciarsi al mistero di quel Dio ineffabile per cui il discorso più adatto è il silenzio. La preparazione della celebrazione nelle sacrestie, nell’assemblea e là dove è collocato il coro richiede anche una cura per il silenzio che contribuisce a celebrare con intensità e consapevolezza.

Insieme a una disciplina del silenzio è necessaria una disciplina dell’attenzione: infatti le parole della Scrittura e le parole delle preghiere sono come una vocazione del pensiero e del cuore a orientarsi nel mistero che si celebra. Ma se, mentre si legge o si ascolta, la mente è altrove, come potrà il pensiero aprirsi alla rivelazione della verità di Dio e dell’umanità nella gloria di Dio?

Se per partecipare al rito tutti i sensi devono contribuire alla preghiera, la cura per la celebrazione impone un’attenzione particolare a coloro che per una qualche ragione non possono usare tutti i sensi. Come ascolteranno, se sono sordi? Come vedranno i segni se sono ciechi? Come parteciperanno al canto se sono muti? Come potranno unirsi all’assemblea se per entrare e sentirsi accolti in chiesa ci sono scale inaccessibili per chi non può camminare?

Ogni comunità deve prendere atto dei limiti dei fedeli e, per quanto possibile, abbattere le barriere che escludono quelli con disabilità. Le risorse della tecnologia offrono possibilità impensate: non si può essere indifferenti a chi per partecipare alla preghiera della comunità deve superare particolari ostacoli.

 

 

III

Kyrie, alleluia, amen

La celebrazione ispira la vita

 

 

Il celebrare è l’evento comunitario nel quale il Signore Gesù si rende presente: rende possibile a tutte le generazioni, in ogni tempo e in ogni luogo, accedere alla Pasqua che salva, alla comunione con la sua morte e risurrezione per vivere la vita dei figli di Dio.

La scelta di affidare all’evento del celebrare l’accesso al mistero induce a molte riflessioni, a costante attenzione. La comunità deve imparare ed esercitarsi nell’ars celebrandi, tutti sono chiamati a vivere una actuosa partecipatio. Queste parole misteriose invitano a umili, costanti percorsi di apprendistato e di disponibilità alla potenza dello Spirito, sono principio di inesauribile stupore, gratitudine e intimo desiderio di conversione.

 

Trovo nelle parole della celebrazione la rivelazione di irrinunciabili forme di preghiera che nella celebrazione sono costantemente presenti e insegnano a pregare nella vita delle comunità e nella preghiera personale.

 

 

  1. Kyrie: la professione di fede in forma
    di invocazione

 

Kyrios (Signore) è il primo annuncio di Maria di Màgdala della sua esperienza di incontro con il risorto: «Ho visto il Signore!» (Gv 20,18).

Kyrios (Signore) è la professione di fede del discepolo che Gesù amava. Riconosce il risorto sulla riva del mare di Galilea: «È il Signore!» (Gv 21,7).

Nella celebrazione liturgica la professione di fede è espressa in forma di preghiera, invocazione: «Signore (Kyrie)!». La fede non è in primo luogo affermazione della verità, ma dialogo, preghiera, incontro.

Nell’invocazione credente che ricorre con tanta frequenza nella liturgia ambrosiana la comunità dice e vive la sua gratitudine e il riconoscimento della signoria di Gesù, il crocifisso risorto, che offre salvezza al cielo e alla terra: «A me è stato dato ogni potere in cielo e sulla terra. Andate dunque…» (Mt 28,18-19).

La signoria di Gesù, crocifisso e risorto, raccoglie tutte le dimensioni e tutte le vicende che le persone vivono, nella terra della prova e negli inferi della desolazione, e tutto avvolge con la sua gloria. Riconoscere la signoria di Gesù permette di aprire ogni situazione, ogni dramma, ogni motivo di festa e ogni motivo di pianto a comprendere che tutto, tutto è salvato.

Perciò spesso preghiamo: Kyrie, eleison, «Signore abbi pietà». Invochiamo il perdono, perché Gesù è Signore e conosce la nostra vita, anche ciò che nessuno sa, anche le ferite di cui nessuno si accorge, anche quello di cui noi ci vergogniamo e tutto, tutto avvolge con la sua misericordia.

L’atto penitenziale con cui inizia ogni celebrazione eucaristica è l’invito a raccogliere tutta la propria vita, tutta la giornata, tutta la settimana per consegnare ogni cosa alla misericordia. È opportuno ricordarlo e suggerire una particolare attenzione all’atto penitenziale della messa. La consapevolezza di una vita chiamata a conversione e il sincero pentimento dei peccati invocano da Dio il perdono e predispongono a celebrare in pienezza l’eucaristia.

 

La prassi penitenziale deve essere oggetto di riflessione e di prudenti scelte pastorali. Il fatto che molti non si accostino mai o molto raramente al sacramento della riconciliazione per confessare i loro peccati e chiedere l’assoluzione forse rivela una certa superficialità che deve essere invitata a serietà e sincerità nel considerare la propria situazione di coscienza. Si deve però riconoscere che anche la pratica devota di chi si accosta spesso alla confessione per poter accedere alla comunione deve essere illuminata da una catechesi attenta a distinguere l’opportunità della confessione frequente, per chiedere perdono e insieme un accompagnamento personale, da una sorta di scrupolo che induce a considerarsi sempre troppo peccatori per accostarsi alla comunione.

Si deve ribadire che il sacramento della riconciliazione richiede una riflessione e un rinnovamento per essere sottratto a una deriva troppo “psicologica” o troppo individualistica, per essere recuperato come riconciliazione con la Chiesa.

Kyrie, eleison: «Signore, Figlio del Dio vivente, abbi pietà di me» è anche una formula per la “preghiera del cuore”. Merita molta attenzione e può essere di grande aiuto la formula semplice e intensa di quella preghiera che suggerisce di ripetere sempre, in ogni momento possibile, le parole vere che richiamano alla mente la presenza di Gesù. Insieme con la professione di fede che riconosce che Gesù è Signore, il fedele riconosce la propria condizione di peccatore, di miserabile e invoca misericordia.

 

 

  1. Alleluia: la gioia della Pasqua in forma
    di cantico corale

 

L’esultanza cosmica che scuote la terra e abbatte le porte degli inferi, la salvezza di tutta la storia che fa sorgere da morte i giusti in quella tragica ora nona fanno risuonare il cantico dell’umanità rinnovata. Alleluia è il canto di Pasqua, la festa che dà origine a tutte le feste.

La risurrezione di Gesù è il principio della gioia piena, lo scopo di tutta la missione di Cristo: «Perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena» (Gv 15,11).

Il mistero della gioia sembra diventato un enigma piuttosto che una grazia. La vita è segnata da troppo soffrire, da troppe preoccupazioni per sé e per gli altri, da troppi motivi di tristezza: come è possibile la gioia?

I discepoli avviliti e delusi che sono in cammino verso Emmaus raccontano l’esperienza del loro incontro: hanno riconosciuto Gesù allo spezzare del pane. Come quel pomeriggio di Pasqua, i discepoli di sempre camminano portando il peso della vita, le delusioni, i drammi e le ferite di ogni storia personale, familiare, comunitaria. Senza che l’esistenza sia diventata più facile, senza che i problemi siano risolti, portando in chiesa la loro vita, offrendola come povero gemito sull’altare, nella forma di un po’ di pane e di vino mescolato con acqua, incontrano il principio della gioia quando la Parola della Scrittura fa ardere il loro cuore e riconoscono Gesù «allo spezzare del pane».

 

Il canto dell’Alleluia è l’espressione della fede che riconosce Gesù. La gioia cristiana non è una consolazione solitaria, un’esperienza individuale. Diventa acclamazione e cantico perché è intrinsecamente comunitaria e sempre festosa.

Durante il tempo austero della Quaresima, l’Alleluia si prepara a risuonare per diffondere dappertutto il lieto annuncio. Il tempo liturgico conduce la fede della comunità a diventare cammino di conversione e cantico di gioia. La celebrazione eucaristica e la celebrazione della Liturgia delle ore si popolano di Alleluia nel tempo di Pasqua; questa continua a essere l’acclamazione che introduce il Vangelo e interpreta molti salmi di lode.

È quindi un segno che offre un richiamo e un messaggio di gioia: merita di essere cantato. La cura per il canto liturgico è un servizio importante per la preghiera della Chiesa e ringrazio coloro che se ne fanno carico – animatori musicali, coristi, musicisti, solisti, direttori del coro e dell’assemblea – e incoraggio tutti a curare il canto e che l’assemblea vi partecipi. Cantare insieme è accogliere la gioia misteriosa della Pasqua e diffonderla perché conforti, allieti, renda intensa e “sentita” la comunione.

 

 

  1. Amen: la professione di fede in forma
    di obbedienza

 

L’Amen che conclude la preghiera eucaristica è la professione di fede che diventa disponibilità personale a unire la propria vita a quella di Gesù, per Cristo, con Cristo e in Cristo, come culto spirituale gradito a Dio.

«Amen» dice ogni fedele, ricevendo il corpo di Cristo, ricevendo la benedizione, partecipando alla preghiera di chi presiede la celebrazione eucaristica e la Liturgia delle ore. «Amen» dice e canta il popolo cristiano celebrando la nuova ed eterna alleanza.

La Parola di Dio che è proclamata nell’assemblea liturgica, meditata nella lectio personale, condivisa nei Gruppi di ascolto, non è letta solo come il racconto di una storia, come l’esposizione di una sapienza e di una visione del mondo, come una legge da osservare, come un testo da pregare. È piuttosto la Parola che chiama, l’invito alla sequela, l’annunciazione di una missione da compiere. E l’Amen è la dichiarazione dell’adesione, della disponibilità, la risposta personale alla vocazione, la risposta corale alla proposta di alleanza.

I discepoli di Gesù intendono la vita come una vocazione e ricevono dal mistero celebrato, dalla Parola proclamata e dalle confidenze segrete che lo Spirito fa risuonare nella preghiera personale la rivelazione che la vita non è un caso, non è un destino, non è una disgrazia, ma la vocazione a essere figli nel Figlio, santi e immacolati al cospetto di Dio nella carità. E perciò l’Amen è la risposta in cui si esprime lo stupore, la gratitudine, la fierezza, la trepidazione di essere figli e figlie di Dio.

Nella risposta di Maria all’annuncio dell’angelo è offerto il modello insuperabile di quel complesso di pensieri, sentimenti, domande, affidamento che è la storia di ogni vita cristiana vissuta come risposta alla vocazione.

 

 

  1. La grazia della conformazione a Cristo

 

Ho raccolto solo tre parole che ricorrono con frequenza nella celebrazione liturgica. Molti altri temi e approfondimenti possono ispirare la nostra vita e la nostra preghiera. Kyrie, eleison, Alleluia, Amen possono indicare percorsi che lo Spirito suggerisce e che la liturgia richiama con frequenza per alimentare la partecipazione consapevole, affettuosa, intensa ai santi misteri, alla preghiera della Chiesa e a tutte le manifestazioni della preghiera cristiana.

La ripetizione frequente, la pratica personale e comunitaria scrivono nella storia di ciascuno la storia di quella conformazione a Cristo, di quella “divinizzazione”, che è la grazia dei sacramenti. La conformazione si distende nel tempo perché ogni frammento, ogni vita sia avvolta dalla luce della gloria di Dio e niente vada perduto.

Da questa grazia di divinizzazione prende forma la vita cristiana, prende forza e slancio la missione di portare il Vangelo a ogni creatura. La missione, infatti, non è un’opera umana che intende fare proseliti, non è un’organizzazione per distribuire servizi e pensieri, non è una sfida a un mondo che si pensa ostile e abbandonato da Dio. La missione è intima esigenza accesa dallo Spirito nei discepoli perché si riveli l’amore di Dio per tutti gli uomini e le donne di ogni popolo e lingua, la volontà di Dio che tutti siano salvati.

Non si può ritenere di aver celebrato bene la messa, di aver pregato bene la Liturgia delle ore se i fedeli non mostrano i frutti dell’incontro con Gesù: la gioia, la comunione fraterna, la missione.

 

 

IV

Come «terra arida, assetata, senz’acqua» (sal 62,2)

La Parola illumina, accende, ferisce il cuore di chi prega

 

 

Il magistero del cardinale Martini ha insistito costantemente nel proporre, insegnare, richiamare alla familiarità con le Scritture raccolte nella Bibbia. La lectio delle pagine bibliche proposte nella liturgia o scelte per un percorso tematico o sistematico è diventata per molti pratica quotidiana per accogliere, conoscere, annunciare il mistero che si rivela per orientare il cammino del popolo cristiano.

La pratica della lectio è stata descritta, attuata e insegnata in molte occasioni dal cardinale Martini, che ha dato vita alla Scuola della Parola. A questa scuola abbiamo imparato molto e molti sono diventati maestri.

Altre proposte di accostamento alle Scritture come parola di vita sono presenti nelle nostre comunità e convocano persone desiderose di ascoltare il Signore che parla e di seguirlo.

Con il passare degli anni le diverse proposte (Scuola della Parola, Gruppi di ascolto, Le dieci Parole, Parola di vita, Scuola di comunità eccetera) possono conoscere un logoramento, un declino e un continuare stentato, una fedeltà vissuta più come adempimento doveroso che come ardente desiderio e sete di incontro con il Signore.

 

 

  1. La Scuola della Parola e percorsi di ascolto

 

Nelle scelte personali, nel discernimento comunitario, nelle inquietudini che rendono incerti e smarriti a proposito del futuro dell’umanità e del pianeta, desideriamo momenti di ascolto della Parola che illumina i nostri passi, che tiene viva la nostra fede. È opportuno proporre a tutti la Scuola della Parola e le diverse forme di ascolto del Signore che è sempre con noi e spiega le Scritture in modo che anche discepoli delusi e scoraggiati possano accedere con nuovo ardore e intima commozione alla rivelazione del mistero di Dio.

Ci sono attenzioni da avere e pericoli da evitare.

C’è il pericolo di una pratica troppo scolastica e intellettuale. Anche se si chiama “scuola”, non si tratta però soltanto di imparare un metodo, di applicare un procedimento: si tratta piuttosto di accostarsi al “roveto ardente”. La Parola di Dio è potenza e sapienza che cambia la vita di coloro che ascoltano con semplicità e disponibilità. La vita di alcuni santi racconta di scelte radicali come risposta all’annuncio del Vangelo “sine glossa”. La Parola di Dio è tagliente come la spada e concreta come la carne di Cristo.

D’altra parte, si deve evitare anche il pericolo di una reazione troppo segnata dall’emotività e da atteggiamenti superficiali che possono incontrare la sensibilità delle persone ma esporre la Parola a una manipolazione che distorce e confonde le intenzioni del testo. Non si può, infatti, sottovalutare la pazienza di esercitare il metodo per una lettura critica che valorizzi il contributo di “insegnanti” che si siano preparati per acquisire competenze specifiche.

 

 

  1. I Gruppi di ascolto della Parola

 

I Gruppi di ascolto sono presenti in molte comunità e meritano di essere proposti anche là dove non sono mai stati attivati o si sono dissolti in tempo di pandemia.

Vorrei sottolineare la grazia particolare che si riceve in questa forma di ascolto comunitario della Parola di Dio nelle case vissuta come preghiera. Non si tratta, infatti, solo di un fraterno ritrovarsi di persone che mettono in comune esperienze e sentimenti, ma di un momento di preghiera condivisa ispirato da un testo biblico e condotto con un metodo familiare e sapiente. Invito pertanto a raccogliere con attenzione e riconoscenza le proposte dell’Apostolato biblico della diocesi.

Gli animatori dei Gruppi di ascolto si troveranno arricchiti dai percorsi di formazione, dai sussidi preparati, dal confronto con specialisti e fratelli e sorelle che si rendono disponibili per questo servizio e potranno a loro volta offrire ai membri del gruppo indicazioni, attenzioni, stimoli e correzioni.

È importante che l’incontro del gruppo si svolga in un clima di preghiera intenso e familiare e che la vita quotidiana e le domande di ciascuno interroghino il testo invocando luce, consolazione, docilità per la conversione.

La metodologia del gruppo di ascolto richiede l’esercizio di una promettente responsabilità laicale che fa riferimento al magistero della Chiesa e al contributo degli esperti, ma non diventa semplice ripetizione della lezione imparata, bensì testimonianza fatta di pensiero e di storia vissuta.

Metodo e passione tengono vivo questo percorso di formazione e contribuiscono a delineare un “volto di Chiesa” che vive tra le case e che impegna ogni battezzato a lasciarsi condurre dallo Spirito che abita nel cuore dei credenti, per ascoltare quello che lo stesso Spirito ha scritto nelle antiche pagine ispirate.

 

 

V

Pregare per chiedere

La preghiera di domanda

 

 

Con grande insistenza sale al Padre l’invocazione dei figli perché venga in soccorso alla loro debolezza, provveda con la sua potenza ai bisogni della vita quotidiana, soccorra nei momenti in cui l’animo è più tribolato, manifesti nella vicenda delle persone e dei popoli l’efficacia della sua presenza che salva.

In particolare, nei momenti della malattia si prega per la salute, di fronte alle difficoltà della vita si prega per trovare il lavoro, per trovare l’uomo, la donna con cui condividere la vita, per avere figli.

La preghiera di domanda è talora avvertita come una “preghiera povera”.

Alcuni se ne rammaricano come fosse una preghiera egoistica e incompleta: «Prego poco e sempre per chiedere. Non mi ricordo mai di ringraziare».

Alcuni confidano la loro delusione: «Continuo a pregare per la mia salute, per i problemi di casa mia, per la mia mamma che soffre tanto, ma non ottengo nulla. Il Signore non mi ascolta».

Alcuni criticano la preghiera di domanda come una preghiera infantile e inadeguata: «Come puoi immaginare che Dio sia il tappabuchi della tua inadeguatezza? Prenditi le tue responsabilità e accetta i limiti e la precarietà della vita e cerca di farvi fronte!».

Gesù, nostro maestro di preghiera e di vita, mette in guardia dalla pratica della preghiera come un’espressione di pretese: «Non sprecate parole come i pagani: essi credono di venire ascoltati a forza di parole» (Mt 6,7). Nello stesso tempo, Gesù insegna a chiedere il pane quotidiano, a chiedere con insistenza, a chiedere anzitutto lo Spirito Santo.

La preghiera cristiana conosce e pratica la preghiera di domanda: la vive però secondo lo Spirito e non secondo un immaginario “pagano”. Questo significa che il cristiano in ogni preghiera riconosce anzitutto che Dio è Padre e invoca lo Spirito per vivere da figlio. Accoglie lo Spirito e ne diventa dimora: così ogni preghiera è nel nome di Gesù. La preghiera per chiedere è quindi alimentata dalla fiducia che Dio sa quello di cui abbiamo bisogno: noi abbiamo bisogno di pregare per vivere ogni situazione secondo la sua volontà, rendendo grazie in ogni cosa, confidando al Padre le nostre necessità e avendo fiducia che il Padre ascolta, esaudisce, non abbandona mai.

E il Padre esaudisce la preghiera dei suoi figli, così come ascolta quella del Figlio. Non secondo le aspettative e l’immaginario di chi geme e prega, ma  accompagnando anche nelle prove della vita, anche nelle situazioni che non si modificano, alla pienezza di Cristo, fino all’uomo perfetto.

Preghiamo quindi con insistenza per chiedere quello di cui abbiamo bisogno e desiderio; e accogliamo con docilità i doni dello Spirito per constatare in quale modo Dio venga in soccorso alla nostra debolezza.

Desidero raccomandare in particolare due intenzioni di preghiera da condividere.

  1. La preghiera per le vocazioni

 

L’allarme

La terminologia che per inerzia abita i discorsi ecclesiastici si presta per lanciare allarmi, segnalando la clamorosa e inquietante riduzione del numero di coloro che intraprendono e compiono percorsi verso il ministero ordinato o verso la vita consacrata. Si dice infatti: «Viviamo una grave crisi di vocazione. Nel nostro istituto non abbiamo più vocazioni da anni. Le vocazioni in seminario sono troppo poche» e così via.

L’allarme è avvertito in modo drammatico da quasi tutte le forme antiche e nuove di vita consacrata, maschile e femminile, con poche eccezioni.

E in questi contesti il termine “vocazioni” indica in realtà i candidati all’ingresso nell’istituto di vita consacrata o nel ministero ordinato. È un’espressione alla quale siamo abituati, ma rischia di applicare il termine “vocazione” solo ad alcune scelte di stati di vita, relegando altre scelte, in particolare quella del matrimonio cristiano, in una sorta di livello secondario, nonostante l’insistenza in puntigliose rettifiche. Per restare nell’ambito della “speciale consacrazione” si constata che l’assenza o la drastica riduzione dei candidati impone un ridimensionamento spesso doloroso della presenza nel territorio di comunità e persone consacrate, quindi una chiusura di case, di opere, persino di speranze.

 

La delega

Di fronte alla constatazione, i luoghi comuni diffusi in ambienti ecclesiastici suggeriscono la preghiera come una sorta di delega. «È il Signore che chiama. Noi non possiamo fare altro che pregare. Del resto è quello che Gesù stesso raccomanda. “Diceva loro: ‘La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe, perché mandi operai nella sua messe!’.” (Lc 10,2)».

Un senso di impotenza e di rassegnazione si diffonde poi in coloro che fanno di questa preghiera una pratica frequente, fino a concludere: «Il Signore non ci ascolta». È evidente che questa descrizione è molto banalizzata.

C’è invece tanta fede sincera, tanta purezza di cuore e amore per la Chiesa e per la propria comunità e il proprio istituto nella “preghiera per le vocazioni”. E tuttavia non si può non rilevare che molti aspetti di questa dinamica meritano una riflessione più attenta. Infatti il presupposto che sia Dio a chiamare forse è la dichiarazione di un immaginario piuttosto miracolistico, di un intervento così spicciolo dello Spirito che chiamerebbe una persona a intraprendere quella precisa strada, rappresentata proprio da quella determinata forma di vita consacrata. Inoltre, la valutazione quantitativa risulta per molti aspetti arbitraria: che cosa significa la parola di Gesù: «Gli operai sono pochi»? Quanti dovrebbero essere? Come si può definire quanti preti, consacrati e consacrate siano necessari alla Chiesa? Inoltre: come definire a quale opera siano chiamati gli operai? Mancano operai per il raccolto o per la semina?

L’atteggiamento di chi delega a Dio di provvedere agli operai che gli servono mi sembra un modo di pregare da integrare meglio nella vita delle comunità e forse anche da correggere.

La preghiera nel percorso di discernimento

Propongo di intendere la preghiera per le vocazioni come un’esperienza spirituale, cioè un’espressione della fede che pratica la docilità allo Spirito. Vivere la preghiera come quel tempo in cui l’espressione raccomandata da Gesù, «Sia fatta la tua volontà», si traduce in una personale disposizione all’obbedienza: Signore che cosa vuoi che io faccia?

Sarebbe quindi un modo di leggere la propria persona, la propria storia, la propria visione del futuro alla luce della parola di Gesù, nell’ascolto delle emozioni che lo Spirito suscita in ciascuno, nella disposizione a interpretare i propri desideri, le proprie responsabilità per praticare il discernimento che conduce alla decisione. Nel percorso di discernimento, che ciascun credente è chiamato a compiere, si traduce in decisione e vita personale il presupposto che tutti siamo chiamati, con una vocazione santa, a essere santi e immacolati al cospetto del Padre nell’amore. Nella traduzione personale della vocazione a essere figli di Dio i desideri sono chiamati a convertirsi in docilità al comandamento di Gesù.

La dinamica del desiderio è complicata e non è questo il luogo per approfondirla. Mi sembra però che il desiderio sia la forza che conduce alle decisioni, a quelle piccole e ordinarie e a quelle che possono segnare profondamente la vita di una persona. Lo Spirito si serve di molti fattori per aiutare a tradurre il desiderio in scelta: la storia di ciascuno, il contesto in cui si vive, le persone vicine che possono essere testimoni esemplari e incoraggianti o figure problematiche e scoraggianti, il consiglio di persone amiche, sagge e ispirate da Dio, le proprie doti, i propri limiti, le esperienze vissute.

In questa dinamica complicata e sostanzialmente indecifrabile la preghiera è il tempo in cui lo Spirito di Dio aiuta, illumina, incoraggia, corregge. «Il mio desiderio è di diventare prete. Il mio desiderio è di entrare in questo istituto di vita consacrata. Il mio desiderio è di sposarmi con la mia ragazza, il mio ragazzo. Ma questo desiderio è cristiano? È il desiderio di seguire Gesù e di vivere come lui, oppure altre motivazioni inquinano di ambiguità questo orientamento?»

Sono pertanto ragazzi e ragazze, adolescenti, giovani che devono pregare per le vocazioni, in primo luogo perché le proprie scelte siano dentro una ricerca sincera del dono dello Spirito nel dialogo con Gesù e la sua Parola, così che le scelte desiderate prendano la forma di risposta alla chiamata e si possano definire, secondo il linguaggio ecclesiale, vocazioni.

Chi vuole bene ai giovani, chi si prende cura di loro sa che il servizio più importante da rendere è accompagnarli all’incontro con Dio perché diventino adulti, rispondendo al Signore che li chiama. Perciò genitori, educatori, pastori del popolo cristiano devono proporre, insegnare, sostenere la preghiera di ragazzi e ragazze, adolescenti e giovani per la loro vocazione.

Tutti dobbiamo pregare per la nostra vocazione. Chi ha già compiuto la sua scelta definitiva in obbedienza allo Spirito non si è sistemato in una posizione garantita e statica, ma ha deciso la sequela del Signore in una forma di vita che è sempre pellegrinaggio, scelta quotidiana di fedeltà, percorso tra le tentazioni del deserto e la gioia dell’appartenenza al popolo in cammino. Perciò tutti dobbiamo pregare per la perseveranza e la fedeltà, per la conversione e la resistenza alle tentazioni. Tutti dobbiamo ancora e sempre pregare per la nostra vocazione.

 

La preghiera per le vocazioni nell’esercizio della

responsabilità adulta

Gli adulti sono coloro che hanno responsabilità per gli altri, talora importanti ruoli educativi come genitori, come educatori nei diversi ambiti della vita ecclesiale e civile, sempre come testimoni della loro fede nella comunità cristiana e negli ambiti professionali e civili.

Anche gli adulti pregano per le vocazioni, non però nella forma della delega a Dio perché provveda gli operai che servono, ma nella forma della docilità allo Spirito che con i suoi doni illumina e sostiene l’esercizio della responsabilità.

Lo Spirito, infatti, infonde nei credenti il dono della sapienza e del consiglio, rende possibile avere gli stessi sentimenti di Cristo Gesù. Nella preghiera per le vocazioni lo Spirito risponde alla domanda che gli adulti dovrebbero porsi a proposito delle persone che sono affidate alla loro responsabilità: «Che cosa devo fare per aiutare ciascuna delle persone che mi sono affidate a rispondere al Signore? Il Signore chiama questi miei figli, i giovani del mio oratorio, gli studenti della mia scuola, gli apprendisti della mia azienda, i ragazzi che abitano nel mio stesso condominio, a seguire Gesù, a vivere la loro vita come vocazione, a prendere decisioni che siano risposte al Signore?».

La preghiera per le vocazioni per gli adulti significa quindi un’esperienza spirituale che rende l’esercizio della responsabilità educativa un servizio al cammino di fede, conoscenza di sé, di discernimento e di decisione. Insomma, induce a praticare la pastorale giovanile come pastorale vocazionale.

«Quale parola devo dire o tacere, quale proposta devo fare, quale ascolto devo praticare, quali consigli devo dare per aiutare questa persona in età giovanile a vivere in docilità allo Spirito e a portare a compimento la sua vocazione?» Per cercare risposta a questa domanda gli adulti pregano per le vocazioni.

La preghiera per le vocazioni nell’impotenza

La percezione dell’impotenza è una dura prova. Di fronte alle necessità della comunità cristiana, di fronte alle ferite del mondo, persone amiche del bene sono visitate dalla desolazione quando devono constatare: «Ecco, io non posso fare niente!». Anche in questa desolazione lo Spirito di Dio effonde i suoi doni, anche su persone impedite dall’età, dalla condizione di salute, dalla situazione concreta di “rendersi utili”.

«Il frutto dello Spirito invece è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé» (Gal 5,22). Lo Spirito rende possibile in ogni situazione ospitare la sua consolazione e conformarsi all’umanità di Gesù.

Si potrebbe dire che da mezzogiorno alle tre di quel pomeriggio il Figlio dell’Onnipotente sia stato ridotto all’impotenza, nella condizione di non poter fare niente. Ma Gesù dichiara e grida che proprio in questo la sua missione giunge a compimento, nell’amore, sino alla fine: «È compiuto!». E perciò tutti «volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto» (Gv 19,30.37), perché il Figlio dell’uomo innalzato da terra attira tutti a sé.

Chi, come Gesù, può dire di sé: «Sono in croce, non posso fare niente» è chiamato a pregare per le vocazioni. Credo che si debba intendere questa preghiera come quell’esercizio spirituale che apre il cuore e il tempo e la libertà a rivelare che anche la condizione dell’impotenza partecipa dell’attrattiva di Gesù. Anche i giorni del dolore, della solitudine, della dipendenza dalle cure degli altri possono essere vissuti con i doni dello Spirito e dare testimonianza che vale la pena di accogliere la Parola di Gesù, di seguirlo, di vivere come lui, per portare a compimento la propria vocazione.

Perciò i malati, gli anziani pregano per le vocazioni: chiedono la grazia di vivere la loro situazione portando a compimento la propria vocazione nella conformazione al Signore Gesù. Chiedono in preghiera di offrire la testimonianza di un tempo, di una prova, di tutta una vita che trova il suo significato nell’obbedienza al Signore che chiama. Pregano per le vocazioni, per entrare nella logica del seme, che muore e produce frutto in modo imprevedibile e gratuito.

 

 

  1. La preghiera per la pace

 

Lo sconcerto per la guerra “nella nostra terra”

La guerra ha fatto irruzione nella nostra vita, nei nostri discorsi, nelle nostre emozioni e nelle nostre preghiere. La guerra aggressiva, disastrosa, tra Paesi di antica tradizione cristiana, vicini e conosciuti per le molte persone ucraine e russe che vivono tra noi e frequentano la nostra terra, ha suscitato forti emozioni, preoccupazioni, interrogativi. La guerra ha seminato morte, spavento, danni incalcolabili, ferite profonde nei corpi e nelle menti di popoli fratelli. La guerra ha creato allarmi per l’economia, per l’alimentazione, per il benessere al quale molti tra noi si sono abituati come a un’ovvietà, un diritto, persino.

 

L’esempio di papa Francesco

Di fronte all’evento sconcertante si sono diffusi un senso di impotenza, l’impressione di paralisi nei rapporti diplomatici, la paura per sé, per le prospettive future. In questo contesto la parola, il dolore, le opere di papa Francesco sono diventati un messaggio e una testimonianza proposti con un’autorevolezza unica a livello mondiale. L’insistenza del Papa nel pregare e nel chiedere la preghiera per la pace è stata raccolta con intensa partecipazione in tutte le nostre comunità.

Ci siamo spesso ritrovati a pregare nelle nostre chiese e non c’è incontro in cui non si preghi per la pace. Abbiamo pregato per la pace con cristiani di altre confessioni. La guerra è una ferita e uno scandalo per le comunità cristiane.

 

L’intenzione dimenticata

Il tema della pace è costantemente raccomandato alla preghiera cristiana dalla ricorrenza nell’ordinario della celebrazione eucaristica: «Liberaci, Signore, da ogni male, concedi la pace ai nostri giorni […] tuo è il Regno». E tuttavia si ha l’impressione che le parole ordinarie scorrano via senza l’attenzione e la partecipazione che ne fanno preghiera partecipata con il cuore e con la mente. La celebrazione della Giornata mondiale per la pace e la caratterizzazione del mese di gennaio come mese per la pace si sono come sfuocate nella pratica delle nostre comunità. Per molti la pace è diventata un’intenzione dimenticata, nonostante il dramma di tante guerre tormenti sempre la terra.

 

Generare il popolo della pace

Il dramma della guerra in Ucraina ha richiamato a tutti l’importanza di questo pregare. Ma che cosa significa pregare per la pace? Quale animo richiede? Quali frutti si possono sperare?

Talora la preghiera per la pace è più una forma di protesta contro la guerra, che pratica della fede. Talora la preghiera per la pace è un’espressione di solidarietà con i popoli tribolati dalla guerra, più che l’invocazione rivolta al Padre di tutti e al Principe della pace.

Lo Spirito di Dio deve ispirare la preghiera per la pace. E chi prega in spirito e verità esprime la fiducia che Dio opera nel cuore delle persone e nei rapporti tra i popoli e ascolta la preghiera dei suoi figli, consola le loro lacrime, rassicura, illumina, chiama tutti con una vocazione santa a essere operatori di pace. Beati gli operatori di pace, i figli di Dio!

 

Uomini e donne di pace

La preghiera non è mai una delega a Dio perché faccia quello che noi non facciamo. È invece ascolto, docilità, fiducioso dialogo: è il tempo in cui il dono dello Spirito ci rende conformi al Figlio e ci fa essere quindi uomini e donne di pace.

Perciò ci rende fiduciosi nella speranza, sapienti nelle parole, rigorosi nei pensieri, coerenti nelle scelte.

Intorno al tema pace e guerra, economia e guerra, aggressione e difesa, produzione di armi, non violenza, si aggrovigliano posizioni diverse, riflessioni complicate, schieramenti contrapposti. La dottrina sociale che il magistero della Chiesa ha elaborato nei secoli si trova ad affrontare domande provocatorie in un contesto inedito. Anche per questo è necessaria la preghiera e non solo la discussione, la preghiera e non solo le citazioni, la preghiera e non solo le emozioni.

La preghiera è il contesto propizio per diventare uomini e donne di pace, miti e umili di cuore, come Gesù, abitati dallo Spirito di sapienza e di fortezza, lo Spirito di Gesù, per invocare il regno di Dio, regno di pace e di giustizia, e preparare le strade al Principe della pace.

 

 

VI

Le preghiere

 

 

Alcune forme di preghiera sono particolarmente raccomandabili e sono praticate in modo edificante nelle nostre comunità e nella preghiera personale di molti. In questo contesto desidero solo offrire qualche indicazione per insistere sulla fedeltà delle persone, delle famiglie, della comunità a momenti di preghiera qualificati.

 

 

  1. Le preghiere del giorno

 

L’inizio della giornata, i pasti, la conclusione della giornata sono momenti per volgere il pensiero a Dio, affidarsi, ringraziare, intercedere per i vivi e per i morti. La Liturgia delle ore suggerisce un ritmo quotidiano. Nella vita di molte persone di fede non è sempre praticabile.

Alcune forme di preghiera (ad esempio: Ti adoro, mio Dio; Padre nostro; Ave Maria) possono favorire i buoni propositi del mattino, ringraziare e benedire la mensa, accompagnare un momento serale per rendere grazie, chiedere perdono, invocare aiuto.

 

 

  1. L’adorazione eucaristica

 

La sosta prolungata di fronte all’eucaristia esposta solennemente è un momento di grazia per prolungare la partecipazione alla celebrazione della messa, per approfondire i testi della Scrittura da pregare secondo il metodo della lectio, per lasciare che lo Spirito di Dio preghi in noi e ricevere le ispirazioni provvidenziali per le scelte importanti, per le decisioni che danno forma alla vita.

 

  1. Il Rosario

 

La contemplazione dei misteri di Cristo con l’animo di Maria è la via più sapiente che il credente può praticare per comprendere i sentimenti di Gesù e condividerli.

La forma semplice della ripetizione si presta anche a un meccanicismo che inaridisce la preghiera. Ma se la ripetizione è vissuta con attenzione e amore può rendere più intensa la contemplazione.

La forma semplice della ripetizione permette di pregare facilmente insieme: nelle famiglie, nella preparazione alla messa, nel ringraziare dopo la celebrazione, nel condividere il lutto pregando per i defunti, nel condividere l’invocazione straziata di fronte alle prove della vita che affliggono le persone care: «Prega per noi! Prega per noi!». E Maria non abbandona nessuno.

 

 

  1. L’Apostolato della preghiera: la “Rete mondiale di preghiera del Papa”

 

L’Apostolato della preghiera, oggi “Rete mondiale di preghiera del Papa”, è la proposta di una pratica quotidiana di condivisione delle intenzioni di preghiera che il Papa affida per ogni mese. È offerto un servizio per far conoscere queste intenzioni di preghiera e raccoglierle in una forma semplice di offerta della giornata.

Ogni formula è un aiuto e ogni comunità deve valutare come nella pratica quotidiana, settimanale, mensile e annuale sia opportuno proporre e favorire la preghiera secondo le modalità più adatte. La costituzione di persone che siano “ministri della preghiera” favorisce che sia garantita la possibilità della preghiera, che le chiese siano aperte e accessibili anche quando il prete non può essere presente. La preghiera della Liturgia delle ore e le altre forme qui ricordate, come anche altre espressioni di spiritualità di associazioni e movimenti, devono entrare con semplicità e regolarità nella vita di ogni comunità.

È opportuno che ci sia anche una verifica periodica per custodire la buona qualità della preghiera comune.

Ogni famiglia che voglia essere piccola Chiesa domestica deve trovare le formule praticabili con attenzione agli orari, ai luoghi, ai diversi tempi dell’anno e all’età, alle condizioni di salute dei membri della famiglia.

 

 

VII

Indicazioni pastorali per ogni comunità e per la Chiesa diocesana

 

 

  1. Il Gruppo liturgico delle comunità pastorali e delle parrocchie

 

Propongo che in ogni comunità sia operante il Gruppo liturgico per preparare e curare in modo particolare la celebrazione eucaristica domenicale, tenendo presenti i diversi orari e le specificità delle assemblee. Il gruppo sarà composto da persone che si fanno carico dei diversi aspetti della celebrazione, disponibili a partecipare a momenti di formazione, comprendente animatori liturgici, animatori musicali, sacrestano e addetti alla sacrestia, responsabile dei chierichetti.

Il Servizio diocesano per la Pastorale liturgica deve offrire proposte, occasioni, strumenti, sussidi per la formazione dei membri del Gruppo liturgico.

Si devono acquisire competenze, valorizzare esperienze per curare i diversi momenti della celebrazione e la caratteristica dei tempi dell’anno liturgico: l’accoglienza e il congedo, il luogo della celebrazione, gli arredi, i paramenti, i vasi sacri, l’animazione musicale, le letture, il silenzio, il servizio liturgico.

L’attenzione del Gruppo liturgico deve essere posta anche all’invito a partecipare e a contribuire alla celebrazione rivolto a tutte le persone e i gruppi presenti, in particolare ai gruppi di fedeli provenienti da altre terre e portatori di diverse culture, perché arricchiscano la celebrazione della comunità e sentano di essere “nella loro Chiesa”, la Chiesa dalle genti.

 

 

  1. La celebrazione accessibile a tutti

 

Richiamo l’attenzione di ognuno a favorire che tutti, anche i portatori di disabilità, possano partecipare con frutto alle celebrazioni della comunità.

L’interazione con la Consulta diocesana Comunità cristiana e disabilità può offrire suggerimenti preziosi per creare le condizioni per una celebrazione inclusiva.

 

 

  1. La celebrazione dei sacramenti

 

Propongo che, in occasione della celebrazione comunitaria di alcuni sacramenti – penso in modo particolare alla celebrazione dei battesimi comunitari, alle celebrazioni del sacramento della penitenza, ma anche alle celebrazioni periodiche o annuali del sacramento degli infermi per gli ammalati e le persone anziane –, si evidenzi e si sottolinei, per quanto è possibile e le circostanze lo permettano, il significato dei diversi momenti e gli atteggiamenti spirituali che vi si ispirano: Kyrie, Alleluia e Amen.

 

 

 

  1. Pregare in ascolto della Parola di Dio

 

La cura, la promozione, la proposta convinta dei Gruppi di ascolto nelle case e nelle comunità offrono uno strumento prezioso per imparare e praticare la preghiera. Può essere utile che si radunino come Gruppi di ascolto anche i Gruppi Barnaba e altri gruppi che hanno assunto particolari responsabilità per contribuire a praticare lo stile sinodale nelle nostre comunità. Un clima di preghiera e docilità alla Parola salverà l’impegno a servizio delle comunità dal rischio di essere una logorante trattativa o un impegno solo organizzativo.

L’Apostolato biblico diocesano si fa carico di formare gli animatori dei Gruppi di ascolto, di suggerire un metodo, di offrire tematiche e sussidi.

La Scuola della Parola possa diventare una proposta offerta a tutti, in ogni decanato o comunità pastorale. In particolare, la Scuola della Parola, preziosa eredità dell’episcopato del cardinale Martini, è un itinerario di introduzione per “imparare” a leggere le Scritture e per esercitarsi nel meditarne il messaggio e farne luce per il cammino, per la scelta vocazionale, per il discernimento nel quotidiano.

 

 

  1. Animatori della preghiera della comunità

 

Si deve avviare la formazione e la costituzione di animatori della preghiera comunitaria che si facciano carico di promuovere e condurre momenti di preghiera condivisi anche quando non si celebra l’eucaristia. Si curi che le chiese siano aperte e gli animatori della preghiera, in accordo con il Consiglio pastorale, propongano la preghiera della Liturgia delle ore, l’adorazione eucaristica, la Via crucis e altre forme di preghiera secondo le opportunità. 

 

 

  1. L’insistenza nella preghiera per le vocazioni e per la pace

 

Nella programmazione della proposta del calendario di ogni comunità devono trovare posto momenti di preghiera per le vocazioni entro l’itinerario di formazione di ragazzi, adolescenti, giovani e di tutta la comunità.

La preghiera per la pace deve essere programmata e curata in momenti specifici dell’anno liturgico, in particolare nel mese di gennaio.

 

 

  1. La celebrazione e la preghiera in famiglia

 

Propongo che nelle case, nelle famiglie, si impari a pregare, si insegni a pregare. La diocesi offre proposte e strumenti, ogni comunità elabora suggerimenti specifici riferendosi ai diversi tempi dell’anno liturgico, evidenziando qualche momento particolarmente significativo. È opportuno praticare diverse forme in rapporto alla composizione e alla storia della fede di ogni famiglia nelle diverse stagioni della vita: letture della Parola di Dio, commenti, comunicazioni, condivisioni di intenzioni di preghiera, il Padre nostro, il modo di pregare di Gesù, la preghiera dei salmi, le preghiere del mattino e della sera, il Rosario. Potrà aiutare la preghiera in famiglia un sussidio che la diocesi prepara come una sorta di “breviario dei laici e delle famiglie”.

 

 

  1. Preghiera e preghiere

 

Le pratiche di preghiera che alimentano la devozione popolare non sono ripetizione di una consuetudine, ma aiutano a pregare se sono inserite in modo attento nel calendario della parrocchia e accompagnate da un’educazione alla preghiera cristiana. Intendo raccomandare, secondo le consuetudini e le opportunità di ogni contesto, l’adorazione eucaristica, il Rosario della beata vergine Maria, la Via crucis, il pellegrinaggio nelle sue varie forme.

Propongo che sia valorizzata in diocesi la “Rete mondiale di preghiera del Papa. Apostolato della preghiera” per una pratica quotidiana di condivisione delle intenzioni di preghiera che il Papa affida per ogni mese. Sia offerto un servizio per far conoscere queste intenzioni di preghiera e raccoglierle in una forma semplice di offerta della giornata.

Ogni famiglia che voglia essere piccola Chiesa domestica cerchi di trovare le formule praticabili con attenzione agli orari, ai luoghi, ai diversi tempi dell’anno, all’età e alle condizioni di salute dei membri della famiglia.

 

 

CONCLUSIONE

Per chiedere la grazia della preghiera cristiana

 

 

«Io sono nel Padre mio

e voi in me e io in voi» (Gv 14,20)

 

Padre del Signore nostro Gesù Cristo,

donaci il tuo Santo Spirito,

perché possiamo vivere, amare, pregare,

in Cristo, con Cristo, per Cristo

e darti gloria in ogni cosa

e trovare in te salvezza e pace.

 

Signore Gesù,

donaci il tuo Spirito

che ispiri la nostra preghiera

e possiamo celebrare i santi misteri

per annunciare il tuo Regno,

per rimanere in te e portare molto frutto.

 

Donaci il tuo Spirito

perché possiamo pregare il Padre

come tu ci hai insegnato,

e comprendere di quale grazia viviamo,

a quale speranza siamo stati chiamati,

e per quale via possiamo portare a compimento

la nostra vocazione.

 

Donaci il tuo Spirito

perché possiamo condividere i tuoi sentimenti

e provare compassione

per ogni fratello e sorella che soffre

e contribuire a trasfigurare l’umanità

in una fraternità universale

e custodire la casa comune nella giustizia e nella pace

e ancora ci possiamo stupire per i gigli del campo

e il seme che germoglia e cresce e porta frutto,

parabola del Regno che viene.

Maria, madre di Gesù e madre della Chiesa,

prega per noi, prega con noi, insegnaci a pregare.

 

+ Mario

Arcivescovo

Milano, 24 giugno 2022

Sacratissimo Cuore di Gesù