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Reportage

A Mazabuka si lavora per costruire il domani

ultima tappa del tour della delegazione diocesana è stata nella comunità dove operano una missionaria laica ambrosiana e il marito. Tanti progetti rivolti soprattutto a offrire prospettive di futuro concreto alle giovani generazioni. E grazie a un contributo di Milano ora si mangia anche la pizza...

di Luisa BOVE Inviata in Zambia

5 Maggio 2011

A Mazabuka sono nati tanti progetti, grazie a don Maurizio Canclini, fidei donum per 10 anni nella parrocchia di Nostra Signora dell’Assunzione nella diocesi di Monze e rientrato in Italia nel 2010. Oggi tutte le attività sono gestite dall’associazione “St. Bakita Association”, nata due anni fa e presieduta da una donna zambiana. Ai progetti lavorano Letizia Antognazza, suo marito Morgan (zambiano), che si sta laureando in Scienze dell’educazione, e una dozzina di collaboratori. Letizia ha alle spalle diversi anni di servizio in Africa e ora è missionaria laica a Mazabuka.
Non è facile raccogliere e rilanciare l’eredità di don Maurizio, «figura carismatica e paterna», anche se la strada da lui tracciata ha solchi profondi e i primi risultati già si vedono. Gli stessi progetti, oggi ben avviati, erano partiti in via informale, ma ora sono più strutturati. Così per esempio la Community School (nata nel 2001) oggi è una scuola di 875 alunni, 16 classi e doppi turni di lezione. A tutti gli alunni (soprattutto orfani) è assicurata la merenda e a chi fa il tempo pieno anche un pasto completo. Chi può paga il prezzo simbolico di 15 mila kwacha (circa 3 euro) ogni trimestre. «Il nostro sogno – dice Letizia – è di non fermarci al biennio delle superiori, ma di aggiungere il triennio successivo, realizzando anche un laboratorio di scienze”. Questo permetterebbe di ricevere ulteriori finanziamenti dallo Stato, che al momento paga solo 11 docenti, mentre gli altri 14 sono a carico della scuola.
Nel 2002 è nato anche il progetto “Arche”: si tratta di 4 case-famiglia nel compound di Mazabuka, che ospitano adolescenti in difficoltà, abbandonati, abusati o con genitori in carcere, che spesso inviano le assistenti sociali. Responsabile del progetto, che oggi conta 35 minori, è Morgan, aiutato dagli “zii”, giovani volontari che si prendono cura degli ospiti. C’è anche una religiosa irlandese, suor Mary, che fa counselling e assistenza spirituale ai ragazzi che ne hanno bisogno. È stata aperta anche la Community House, a ridosso della parrocchia, per accogliere ragazzi più piccoli (8-15 anni) seguiti da due donne che insegnano loro la gestione della casa.
Le “Arche”, nate anch’esse in modo informale, hanno già ottenuto il riconoscimento per l’affidamento legale degli ospiti. Per autofinanziarsi le singole Community realizzano alcune attività come l’acquisto di pulcini da rivendere poi come polli. I ragazzi «devono capire che tutto va guadagnato» e non può essere ricevuto dall’esterno senza sforzi, oltre al fatto che oggi i giovani ospiti sono dei “privilegiati” rispetto a tanti loro compagni ed è giusto che comprendano il valore di tutto questo.
Grazie alla diocesi di Milano e in particolare al microprogetto sostenuto dai Cresimandi, spiega Letizia, «è nata la scuola d’arte, con avviamento professionale per i disabili. Si tratta di un biennio in cui si insegna scultura, ceramica e pittura. Vengono realizzate soprattutto bomboniere, statuette in legno e altri piccoli oggetti».
Nel 2005 poi, in occasione della visita del cardinale Tettamanzi in Zambia, i panificatori milanesi hanno voluto regalare strutture, macchinari e corso di formazione per aprire un panificio a che oggi conta 600 mila abitanti. Tre giovani sono stati in Italia per imparare a fare il pane, la pizza e la cremonese. La panetteria “Bethlehem Bakery”, aperta nel 2007, produce oggi oltre mille pani di grano al giorno: il 40% è venduto al dettaglio e il 60% a piccoli rivenditori. Attualmente vi lavorano 16 giovani, seppure con mansioni diverse, il ché significa garantire un reddito a 16 famiglie differenti. Una parte del profitto, seppure minimo, viene utilizzato per finanziare le case dell’Arca. Dal 1° luglio il nuovo direttore sarà lo zambiano Winstone Phiri, che gestirà anche la parte amministrativa. C’è un motto che esprime bene il senso del progetto: “Attraverso il nostro lavoro serviamo la comunità”.
L’ultimo progetto a Mazabuka, ancora molto in fieri, è quello della Farm (fattoria) con 30 ettari coltivati a mais. Il desiderio è di riuscire a coltivare anche prodotti come cipolle, cavoli, pomodori… oltre a realizzare un vivaio e un allevamento di pesci e galline. Questo terreno è lontano 40 chilometri dalla parrocchia di Mazabuka e per questo occorrerà costruire anche la casa del fattore, che in futuro potrebbe ospitare anche giovani alcolisti dopo il trattamento terapeutico e bisognosi di un periodo di recupero. La Farm anche per loro potrebbe diventare la via d’uscita dall’alcolismo e la porta d’ingresso per un pieno reinserimento sociale.
Quello del’alcol è un grosso problema anche a Mazabuka: per questo è stato aperto un centro giovanile per offrire ai ragazzi «un luogo positivo», dice Letizia, dove trascorrere le ore del tempo libero. Molti frequentano il bar anche per giocare a biliardo: ora però anche il centro giovanile ne possiede uno, oltre a una palestra, una sala lettura e campi di calcio e basket… Insomma, tante possibilità di divertimento alternative all’alcol.

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