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Percorsi ecclesiali

Il Natale ambrosiano 2025

Sirio 22 - 31 dicembre 2025
Radio Marconi cultura
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In Duomo

«Natale, occasione di grazia per entrare in comunione con Gesù e vivere da figli di Dio»

Silenzio, preghiera, gratitudine, contemplazione, mitezza: questi gli atteggiamenti che aiutano a fuggire la banalità e a entrare nella luce della gloria del Verbo fatto carne, richiamati dall'Arcivescovo nell'omelia della Messa di mezzanotte

di Annamaria BRACCINI

25 Dicembre 2025
L'Arcivescovo in preghiera davanti al Bambino (foto Andrea Cherchi)

La banalità fatta di «capricci e di presunzioni» che «avvolge come una nebbia e che scolorisce la vita». La banalità a cui, forse, si può sfuggire in un Natale capace di essere immagine della «luce che splenderà oggi su noi, poiché per noi è nato il Signore», come indica la Kalenda e il brano evangelico del Prologo del Vangelo di Giovanni, nel quale si proclama: «Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo». E così come suggeriscono le parole dell’Arcivescovo che, in un Duomo gremito di fedeli, presiede la Veglia e la celebrazione eucaristica nella Notte santa.

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Quella in cui tutto parla del Dio che si fa uomo: l’accensione della grande stella sospesa sopra l’altare maggiore, i canti solenni natalizi eseguiti dalla Cappella musicale del Duomo – accompagnata, in alcuni passaggi, da un ensemble di 8 ottoni dell’Orchestra da camera “Canova” di Milano -, la Parola di Dio, le Letture, tra le quali la tradizionale, ambrosianissima, «Esposizione del Vangelo secondo Luca» di Sant’Ambrogio, proclamata nella Veglia di preghiera che precede la Messa.

L’Arcivescovo con la raffigurazione lignea di Gesù bambino nella processione iniziale (foto Andrea Cherchi)

Nella processione iniziale monsignor Delpini porta tra le mani l’artistica raffigurazione lignea di Gesù bambino che depone ai piedi dell’altare. Accanto a lui concelebrano i Canonici del Capitolo metropolitano con l’arciprete, monsignor Gianantonio Borgonovo e il Moderator Curiae, monsignor Carlo Azzimonti,

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La banalità

Con un gesto che si ripete, negli stessi momenti, in tante parti del mondo – nelle grandi Cattedrali della millenaria storia cristiana e nei piccoli presepi domestici -, invocando la pace sulle guerre che non si fermano mai, nemmeno nella Notte santa, ma anche, appunto più banalmente, di fronte alle «parole vecchie, stanche, grigie che invadono i discorsi con luoghi comuni, quando, forse si può imparare il silenzio», scandisce, infatti l’Arcivescovo nell’omelia. Quel silenzio dove «la Parola si fa carne, la verità si rivela come luce, la vita risplende come vocazione a diventare figli di Dio» che sanno pregare.  

L’omelia (foto Andrea Cherchi)

«Quando si trovano insopportabili i desideri piccoli, allora forse si può imparare la preghiera. Nella preghiera prendono voce i grandi desideri, quelli che non trovano soddisfazione nei prodotti a disposizione. La preghiera, infatti, non è una ripetizione di parole, ma è piuttosto quell’accogliere la gloria di essere figli di Dio», dice ancora l’Arcivescovo che, per spiegare meglio quale sia la banalità a cui allude, parla anche della presunzione.   

La presunzione ridicola

«La presunzione ridicola è il volto scettico di chi non crede a niente, perché non ha bisogno di niente; la presunzione ridicola è la maschera gentile di chi partecipa alla conversazione, ma non ascolta nessuno perché sa già tutto. Quando si trova insopportabile la presunzione ridicola, allora forse si può imparare la gratitudine. Quando si trovano insopportabili gli occhi bassi della timidezza, allora, forse, si può imparare la contemplazione. La contemplazione è lo sguardo rivolto alla luce vera».

Quindi, se non proprio la banalità del male assoluto, il richiamo è all’atteggiamento quotidiano che fa diventare le «persone suscettibili, sgarbate e violente», con l’attitudine «al risentimento e a un desiderio di rivincita e di vendetta che diventa come una ossessione». Ma proprio «quando si trova insopportabile la suscettibilità, allora, forse, si può imparare la mitezza del Signore e addirittura apprendere la magnanimità del perdono».

I fedeli in raccoglimento (foto Andrea Cherchi)

Il Natale come occasione di grazia

Insomma, si può «imparare a fare Natale». Quello vero, non quello della «ripetizione che è l’obbligo sociale di andare dove vanno tutti e comprare quando ci sono i mercatini, andare a sciare, ad abbuffarsi», come conclude monsignor Delpini, con un augurio.

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«Fare Natale è l’occasione di grazia per entrare in comunione con Gesù e vivere da figli di Dio, proprio qui, proprio oggi, nella pratica della carità, nell’esperienza della gioia, nella serenità della fiducia, nell’avventura sorprendente di vivere la vita come vocazione. Quando si trova insopportabile la banalità, si dissolve la nebbia che rende tutto grigio e risplende la luce che illumina ogni uomo e si vive nella contemplazione della gloria del Verbo fatto carne».