Il semestre filtro del primo anno di Medicina arriva alla prova dei fatti. Se qualche mese fa, da queste pagine, il dottor Alberto Cozzi, presidente della sezione milanese dell’Associazione Medici Cattolici (Amci), invitava a una «vigile attesa», tanto per dirla con un termine medico, ora, dopo la prima prova, i risultati degli studenti non inducono all’ottimismo.
La «bestia nera» si è rivelata essere la prova di Fisica. A seconda degli Atenei, hanno ottenuto la sufficienza solo il 15% circa degli studenti. Ma nemmeno Chimica e Biologia sono andate benissimo. Adesso gli aspiranti medici hanno solo un’altra chance, il 10 dicembre: per passare ci vogliono almeno tre 18, ma sicuramente di più per rientrare nella graduatoria dei circa 22 mila studenti che entreranno in una delle dieci sedi che hanno dovuto indicare all’atto dell’iscrizione.
Non è stupita Valentina Massa, professore associato di Biologia applicata alla Facoltà di Medicina della Statale di Milano, polo San Paolo: «È la prima volta – afferma – che si chiede agli studenti di preparare tre esami da 6 Cfu in tre mesi e di sostenerli tutti e nello stesso giorno, con solo un appello per riprovarci, a brevissima distanza dal primo. È un carico insostenibile».
Per questo Massa ha firmato – insieme ad altri colleghi dei tre insegnamenti interessati, di diversi atenei italiani – un ricorso al Tar, depositato a settembre, per chiedere la sospensione del Decreto legislativo che ha istituito il semestre. Perché, sostiene, si dice esame ma si legge test di ingresso: «È stato fatto un lavoro sulla semantica, ma questo non è un esame come hanno voluto farci credere. In quale corso universitario il docente non può scegliere autonomamente gli argomenti del programma, come approfondirli e come verificare la preparazione degli studenti?». Nell’esame del 20 novembre invece è accaduto proprio questo: «Le domande sono arrivate da un ente ministeriale, uguali per tutti gli Atenei. E non erano affatto “aperte”, come si sperava: la metà erano a risposta multipla, a “crocette” per capirsi, e l’altra metà a riempimento».
Insomma, un Decreto che secondo i docenti, lede l’autonomia degli Atenei e la libertà di insegnamento. Ma che, soprattutto, è poco funzionale al percorso formativo dei ragazzi, some spiega ancora Massa: «Chi non riuscirà a entrare in una delle dieci sedi di Medicina indicate, potrà iscriversi a gennaio a uno dei “corsi affini” scelti all’atto dell’iscrizione, per esempio Biologia o Infermieristica. Le Facoltà interessate hanno riservato una percentuale di posti per questi ingressi di gennaio, ma non sono comunque Facoltà a numero chiuso, potrebbe quindi capitare di essere assegnati in una sede lontanissima da casa. E, attenzione, stiamo parlando comunque di chi avrà superato tutte e tre le prove con almeno un 18. Per gli altri, l’anno sarà perso. Eventualità che non capitava nemmeno a chi, con il vecchio test di ingresso, non raggiungeva il punteggio minimo richiesto».
Massa lamenta anche i problemi organizzativi che il semestre filtro ha generato, e soprattutto il rischio di fallire nell’obiettivo primario, cioé formare medici veramente preparati, cosa di cui si ha più che mai bisogno oggi: «In Statale abbiamo avuto 3800 iscritti, contro i 400 che selezionavamo con i test. Ci siamo impegnati a erogare il più possibile i corsi in presenza, ma si è trattato di lezioni comunque poco interattive, perché sono arrivati ragazzi con una preparazione mediamente più bassa del solito e che, temo, arriveranno al secondo semestre con grosse lacune nelle tre materie».
Dunque, è una chimera pensare a un accesso a medicina democratico, salvaguardando la qualità dell’insegnamento e della preparazione? «No, è possibile – conclude Massa -, ma è necessario fare dei correttivi all’attuale Decreto. Cosa che noi docenti universitari, di tutta Italia, chiediamo da maggio. Se vogliamo togliere il numero chiuso, facciamolo, ma per davvero. Il che significa destinare risorse per reclutare nuovi docenti e trovare nuovi spazi per le lezioni. E prevedere anche attività di tutoraggio, almeno per i primi tempi. Ma soprattutto, per qualsiasi riforma si dovrebbero coinvolgere nelle decisioni anche gli Atenei».




