«Grazie per la vostra disponibilità e per ciò che rappresentate. Mi pare che abbiate fierezza per la scelta di diventare ministri istituiti e trepidazione per quello che i parroci si aspettano da voi. Vi esprimo il mio ringraziamento e apprezzamento». Si è aperto con queste parole l’intervento dell’Arcivescovo presso il Centro pastorale di Seveso, dialogando con quanti il 19 ottobre verranno istituiti come ministri secondo quanto previsto da papa Francesco nel 2021, con le Lettere apostoliche in forma di Motu proprio, Spiritus Domini, circa l’accesso delle donne al lettorato (coloro che proclamano la Parola di Dio) e all’accolitato (a servizio dell’Eucaristia), e Antiquum Ministerium per l’istituzione dei catechisti quali animatori della comunità. Realtà sulle quali in questi anni si è andata intensificando e approfondendo la riflessione, a livello italiano con la nota della Cei e, per quanto attiene alla Lombardia, con il documento dei Vescovi lombardi «Lettori, accoliti e catechisti istituiti. Orientamenti per le diocesi lombarde».
Davanti all’Arcivescovo il gruppo dei 14 che hanno terminato il cammino biennale di formazione, quanti sono al primo anno del percorso, il responsabile del Servizio per la Catechesi della Diocesi don Matteo Dal Santo, monsignor Fausto Gilardi (responsabile del Servizio della Pastorale liturgica), don Davide Bertocchi (responsabile della Sezione per l’Apostolato biblico della Catechesi), don Martino Mortola (docente in Seminario) e alcuni laici tutti facenti parte dell’Équipe formativa presieduta dal vicario episcopale di Settore, don Giuseppe Como, di cui Dal Santo è segretario. Équipe che cura l’intero cammino con due colloqui formativi annuali e altri orientativi durante il biennio di preparazione. Interessante anche, per esempio, che per l’accolitato vengano proposti alcuni training negli ospedali o, per i catechisti, il loro coinvolgimento nell’organizzazione di convegni e appuntamenti diocesani.

Un servizio, non un ruolo di potere
Dal perché sia nata l’esigenza dei ministeri istituiti prende avvio la riflessione di monsignor Delpini: «Si trattava di superare quella specie di anacronismo che riservava i ministeri istituiti agli uomini, per cui il ministero dell’accolitato e del lettorato erano funzionali a diventare diaconi e preti. Poi, però, vi è il tema più interessante di chiedersi se la Chiesa abbia bisogno di tali ministeri. Forse nelle parrocchie potrebbe sembrare un fattore abbastanza relativo, invece io credo che vi sono dei bisogni nelle nostre comunità a cui non ci si dedica in modo abbastanza lucido e consapevole. Mi pare che l’istituzione dei ministeri indichi che quanto esiste già ha la necessità di una assunzione di responsabilità più chiara. È vero, si tratta di servizi già offerti, ma qualche volta in modo che ci lascia un poco perplessi. Questo deve interrogare i laici perché sono ministeri laicali».

Da qui il richiamo simbolico alla situazione, descritta nelle Scritture, delle tre città di Corinto, Gerusalemme, Antiochia: «A Corinto, Paolo ha indicato che tutti i doni sono importanti se servono al bene della comunità, per cui viene riconosciuto un servizio anche in vista di un ordine e di una regolamentazione. Quindi, un servizio piuttosto che un protagonismo, per dei ruoli che non devono definire poteri, rivendicazioni e incarichi, ma porsi come modo di interpretare la comunione».
Poi, il pensiero va a Gerusalemme con la scelta dei sette «uomini di buona reputazione» (Atti 6, 1-5) a cui gli apostoli, riconoscendo la necessità di far fronte a un bisogno, affidarono degli incarichi. «Chiaro, nel nostro caso, il richiamo all’istituzione dei ministeri».
Infine, Antiochia (come si dice in Atti 13), «con l’opera Barnaba che chiede che i doni siano utilizzati per la missione con un ministero vissuto quale vocazione e riconoscimento di una corresponsabilità fondata sul battesimo».
E tutto questo, aggiunge ancora l’Arcivescovo, sfuggendo la retorica «dei continui distinguo e sottolineature delle specificità dei ministeri stessi che hanno poco di evangelico». Sono, infatti, altre le domande che occorre porsi, anzitutto, relativamente a quali siano le insufficienze delle nostre comunità.
Andare oltre l’insignificanza
«Chiediamoci perché la Messa che, in sé, si svolge normalmente bene, non cambia il cuore delle persone e non si veda il formarsi di una Chiesa unita, lieta e missionaria. È il pericolo dell’insignificanza. Si annuncia la Parola, ma non si vede la sua forza tagliente. Potrà esserci di aiuto il ministero del lettorato? In che forma? Abbiamo bisogno di persone che sveglino la comunità, che osino», scandisce l’Arcivescovo indicando «un tipo di ragionamento che vale anche per la catechesi e per il catechismo che non pare portare a una vera formazione cristiana».
«La lamentela continua sul fatto che i ragazzi si allontanano perché la formazione degli adulti è scomparsa o stentata, chiede che vi siano persone che ragionino su questi temi e, forse, l’istituzione di catechisti può essere una provocazione per andare oltre l’inerzia e la rassegnazione dell’insignificanza».
Da ultimo, la domanda delle domande: «Come potranno funzionare questi ministeri e a quali condizioni?». Tre quelle evidenziate dal vescovo Mario. «La comunione, la competenza, l’autorevolezza».

Comunione, competenza, autorevolezza
«Noi cerchiamo gente di comunione, e non di rivendicazione, gente che faccia un cammino spirituale e non si fermi ai carismi ricevuti o ai ruoli». Secondo, la competenza: «La formazione e l’accompagnamento offerti alla Diocesi sono chiamati a mostrare l’effettiva incidenza – o, almeno, una forma di provocazione – della presenza del ministero istituito nell’affrontare le sfide della comunità». Terzo, l’autorevolezza: «Il mandato del Vescovo deve incontrarsi con il riconoscimento della comunità e l’umile, convinta, determinata disponibilità del ministro istituito».
Poi, il breve dialogo tra domande di presenti e risposte dell’Arcivescovo che spiega: «Come si fa a trasformare il convenire a Messa in una comunità? Magari con un rito di benvenuto iniziale e un segno che dica, al congedo, che da lì inizia la missione. O magari, curando il canto perché, mediamente è desolante vedere che la gente non canta. Si fanno tante cose, ma ve ne sono alcune che non fa nessuno, come riflettere su quanto abbiamo detto. Certamente un ruolo di riflessione critica, non è un compito affidato a un solo individuo, ma una responsabilità affidata all’interno del Consiglio pastorale, dove le criticità devono essere mese a tema con coraggio».





