Don Luca Manes ha 32 anni ed è originario della Comunità pastorale Giovanni Paolo II di Seregno. Dopo il liceo classico, si è iscritto alla facoltà di Lettere moderne dell’Università Statale di Milano, laureandosi nel 2018, anno in cui è entrato in Seminario.
Come gli studi classici hanno contribuito a farti nascere domande anche dal punto di vista spirituale?
Già alle scuole medie ho scoperto un interesse particolare per la letteratura, perché nell’incontro con gli autori e i loro testi ritrovavo me stesso, con le mie domande più profonde e i miei desideri. Devo ringraziare i professori che, negli anni, attraverso lo studio di grandi autori, mi hanno fatto entrare in consonanza con gli interrogativi e le intuizioni sulla vita che nei testi si esprimono. Mi accorgevo che era un mondo dentro cui mi ritrovavo con maggiore profondità, aprendo il mio sguardo a un orizzonte più ampio e affascinante. Sicuramente questo interesse ha inciso nel mio cammino spirituale, portandomi a una percezione viva del Mistero. Col tempo, grazie ad alcuni incontri decisivi, ho riconosciuto come quell’Oltre, di cui tutta la grande letteratura parla con nostalgia e anelito, sia una Persona viva, reale, in mezzo a noi.
Quali sono stati per te gli autori di riferimento?
Mi hanno segnato in modo particolare Eugenio Montale e Charles Baudelaire. In entrambi ho ritrovato una sorta di dialettica tra la percezione dell’insufficienza della realtà e la tensione all’Assoluto.
Come hai maturato la decisione di entrare in Seminario?
In questi anni, prima all’oratorio San Rocco di Seregno, poi nel cammino in università, ho incontrato tanti testimoni di fede, persone che mi hanno fatto capire che Gesù Cristo è una presenza reale, viva, proprio per la pienezza di vita che genera. Così ho assecondato l’intuizione e la scoperta che Gesù è l’Unico per cui vale la pena vivere.
È vero che hai pubblicato una raccolta di poesie?
Il libro si intitola Come una pietra dentro la visione (Minerva editore), pubblicato nella collana diretta dal poeta e studioso Giancarlo Pontiggia. Le poesie sono come attraversate dalla ricerca di Qualcosa che abbia la capacità di generare un nuovo inizio: la pietra è il simbolo di qualcosa su cui poter poggiare, di stabile e duraturo, che fa irruzione dentro la visione e lo sguardo che normalmente portiamo sulle cose, spesso limitato e mancante. Sono poesie, insomma, che rispecchiano una ricerca e un cammino di anni, senza essere tuttavia diaristiche e soggettiviste. Non uso mai la prima persona singolare, ma la prima plurale: volevo esprimere ciò che di vero gli uomini hanno in comune.
Anche il tuo motto personale, in vista dell’ordinazione, è letterario…
Sì, Egli è qui come il primo giorno, è un verso di un altro grande poeta: Charles Peguy. Dice tutto lo stupore perché Gesù Cristo è realmente presente e sperimentabile oggi, come il primo giorno.


