Era l’estate del 1585 e fu la prima volta che i milanesi videro con i loro occhi degli uomini che venivano dall’altra parte del mondo: da Cipango, per l’esattezza, nelle Indie orientali, da quell’isola che oggi ci è nota come Giappone.
Tutto ebbe inizio, possiamo dire, con la missione di Francesco Saverio, il gesuita amico di sant’Ignazio di Loyola che per primo, nel 1549, era giunto in Giappone a predicare il Vangelo. La cristianizzazione del Sol Levante, pur tra molte difficoltà, aveva portato a risultati incoraggianti: in 30 anni erano sorte 200 chiese ed erano state battezzate oltre 200mila persone.
A questo punto i gesuiti ebbero l’idea di portare in Europa una delegazione di giapponesi cattolici, affinché quei due mondi così distanti potessero finalmente conoscersi. Furono scelti quattro giovani, il fiore della nobiltà giapponese che aveva abbracciato la religione cristiana. Con un viaggio per mare durato quasi due anni, il gruppo giunse a Madrid, dove avvenne l’incontro con il re di Spagna, Filippo II.
L’obiettivo reale della spedizione, tuttavia, era proprio l’incontro con il Papa a Roma. Ma proprio Milano rappresentò in qualche modo il culmine di questo «pellegrinaggio» in Italia. I giovani dignitari giapponesi vi giunsero nella serata del 25 luglio, accolti da una folla enorme, con le case e le chiese parate a festa.
Diverse cronache dell’epoca hanno raccontato quelle giornate, a cominciare da quella di Urbano Monti, scienziato e cartografo. È lui, infatti, a darci una descrizione dei visitatori giapponesi, che erano di statura piccola e vestivano di raso cremisi con pantaloni alla marinara e stivaletti trapunti d’oro.
I nipponici nei giorni a seguire furono accompagnati alla scoperta di Milano, tra basiliche e palazzi (la grandezza del Duomo in costruzione fu la cosa che più li colpì), con omaggi continui. San Carlo Borromeo era morto da pochi mesi, ma ovunque in città erano presenti i segni del suo episcopato. A tutti fecero l’impressione di giovani assai educati e religiosi, che partecipavano devotamente alle celebrazioni (tanto da cogliere le differenze fra il rito romano e quello ambrosiano, che confessarono di preferire), contenti soprattutto di poter vedere le reliquie dei santi.
Dopo otto giorni, il 3 agosto ripartirono per Genova, dove si sarebbero imbarcati per tornare a casa, carichi di doni, di ricordi e di speranze. Sembrava l’inizio di una nuova epoca di rapporti tra l’Europa e il Giappone. Ma purtroppo la storia prese presto un indirizzo opposto, con persecuzioni e chiusure che dureranno fino al secolo scorso. Tre di quei giovani divennero preti gesuiti. E uno, Giuliano, morì martire a Nagasaki nel 1633.



