«Sei giare, sei anfore, riempite d’acqua che Gesù trasforma in vino a Cana: riempite con l’acqua del tempo, delle relazioni, della preghiera, della sollecitudine, della scienza e del silenzio. Così anche noi, come Maria, ci rivolgiamo a Lui per avere il vino nuovo».
Dice così l’Arcivescovo che presiede la tradizionale celebrazione eucaristica avviata con la processione tra i malati nella basilica di Santa Maria di Lourdes che – nel 167esimo anno dell’apparizione della Madonna a santa Bernadette -, è come sempre l’11 febbraio, gremita di fedeli nella Giornata Mondiale del Malato, quest’anno la 33esima. Nelle prime file, molti non udenti e ipo-udenti, per cui l’intera Messa è tradotta nella lingua dei segni, Lis.
Con il vescovo Mario, i concelebranti tra cui il parroco, don Maurizio Cuccolo, don Marco Cannavò, cappellano del vicino Ospedale dei Bambini, “Vittore Buzzi”, don Luca Fontani, responsabile della Pastorale giovanile riunita nell’Unità pastorale “Sempione”.
«Penso di poter dire che ho sentito sussurrare a Maria, “benvenuti” e benvenuto al nostro carissimo Pastore», dice, nel suo saluto iniziale, il parroco. «Tutti noi siamo quel popolo che cerca il Signore: qui c’è soltanto il desiderio di incontrare Dio. Questo popolo vuole acquistare speranza», conclude don Cuccolo.
Le giare piene di acqua e il vino nuovo
La lettura del Vangelo di Giovanni con l’episodio delle nozze di Cana annoda, come un filo rosso simbolico, l’intera omelia del vescovo Mario.
«Quello che manca non è l’acqua, ma il vino. Tutto quello che noi possiamo fare è riempire le giare di quello che non serve: l’acqua, come fanno i servi, perché è solo la parola di Gesù che rende disponibile il vino, quello che è necessario per fare festa».
Ma di cosa si riempiono le nostre anfore? Anzitutto, di tempo. «I malati in particolare hanno tempo, di giorno e di notte e il tempo non passa mai. Ma questo tempo, che è come l’acqua, può essere – suggerisce monsignor Delpini – «il vino per la festa, se diventa occasione per amare, per sorridere, per ringraziare».

Poi, la «giara delle relazioni» vuote da riempire di senso.
«Abbiamo giornate piene di relazioni insoddisfacenti e abbiamo sempre l’impressione di non essere mai abbastanza amati. La parola di Gesù può trasformare le relazioni insoddisfacenti, come l’acqua, nel vino che dà gioia, cioè nella relazione che si prende cura della gioia dell’altro. Le relazioni sono l’arte di prendersi cura della gioia degli altri».
E, ancora le giare piene di preghiera. Quella, magari, «che pregano i credenti e, talora, anche i non credenti, quando sembra che sia finita la speranza». Di fronte alla quale è solo l’incontro con il Signore risorto a salvare veramente, perché «la preghiera è amicizia e affidamento a Gesù», come dice il Papa nel suo Messaggio per la Giornata del Malato di cui l’Arcivescovo cita uno stralcio.
Il pensiero va alla «sollecitudine e alla paura dei genitori davanti al dolore innocente dei piccoli, vissuto come impotenza». Ma «la parola di Gesù può rendere la sollecitudine impotente, un vino buono che permette di fare festa, se diventa un modo per rivelare il volto di Dio, per la libertà di desiderare l’essenziale. La sollecitudine è testimonianza dell’unico amore che salva, quello di Dio».
La scienza e il silenzio
Non manca la scienza «che ha fatto progressi straordinari, trovato cure per moltissime malattie, tecniche per interventi impensabili fino a qualche anno fa». Eppure, una scienza «che più progredisce e più si riconosce ignorante, più riconosce la sua impotenza, come l’acqua quando non serve. Ma la parola di Gesù può trasformare l’impotenza della scienza nel vino buono della giusta misura, nella gioia di godere il presente, nell’esperienza di alleviare il dolore, nella determinazione a continuare a cercare».
E il silenzio, quello che tutti conosciamo, malati nel fisico, o nell’anima, nel cuore, nella tristezza, nell’inquietudine.
«Anche se ci sono intorno tante persone, anche se non mancano le visite quando si è ammalati in casa, anche se in ospedale gli infermieri fanno miracoli per accudire e consolare, poi, ci sono i silenzi. Quando nessuno ti parla, quando la televisione diventa insopportabile, quando la musica suona invano, allora ci sono i silenzi e nei silenzi abitano le paure, i mostri che spaventano, i pensieri deprimenti. Ma la parola di Gesù può trasformare anche i silenzi in confidenze che si rivolgono a Gesù, anche in confidenze che in modo misterioso Gesù rivolge al malato, in ricordi del bene compiuto e ricevuto»,
Come a dire, «il silenzio è il terreno in cui il bene porta frutto», con quel linguaggio degli occhi, del gesto, del farsi prossimo che si rende evidente quando il vescovo Mario scende tra i malati per lo scambio della pace e, a conclusione della celebrazione, per l’attesa benedizione con il Santissimo Sacramento, prima del canto corale del Tantum Ergo.
«La preghiera per i malati riguarda tutti»
«Come prima cosa voglio dirvi che siamo tutti un po’ malati e fragili e che l’idea che, se si è giovani, questo non vi riguardi è falsa, perché ci sono vostri coetanei che stanno vivendo la malattia». L’Arcivescovo l’ha detto a conclusione della celebrazione, rivolgendosi a un gruppetto di ragazzi e ragazze dell’oratorio che, accompagnati dalla suora carmelitana di vita attiva Roberta De Gennaro, hanno posto una domanda sulla devozione mariana e la vicinanza ai sofferenti. «I malati hanno bisogno di persone che stiano loro vicine, quindi la preghiera per i malati riguarda tutte le età e le condizioni della vita».
«La seconda cosa che voglio dirvi – ha proseguito è che bisogna aiutare i malati ad andare a Lourdes, a non sentirsi soli con una solidarietà che anche voi potere sempre realizzare. E, infine, voglio raccomandarvi il tema della preghiera. Noi non abbiamo l’ambizione di guarire tutte le malattie e di risolvere ogni problema. La nostra vita è come riempire d’acqua le anfore quando, invece, serve il vino. Solo la preghiera in Gesù ci permette di ricavare il segreto della gioia anche da quello che sembra insufficiente».
Alla Messa è seguita la visita privata al delicato reparto di Terapia Intensiva Neonatale del “Buzzi”.




