Fra una fine e un inizio, fra bilanci di momenti ormai trascorsi e prospettive per un futuro che in un batter d’occhio diventerà prossimo. È in questo intermezzo, in questo tempo quasi sospeso che si è inserita la nostra particolare esperienza: dal 30 dicembre all’1 gennaio abbiamo vissuto un breve periodo di vita comune presso la Casa della Carità di Lecco con l’obiettivo di ampliare il nostro sguardo verso l’altro, provando a scorgere e accogliere sogni e bisogni, molto spesso nascosti o inespressi.
La Casa della Carità è una struttura destinata alla pronta accoglienza e al ricovero per le situazioni di emergenza, sia dei senza dimora, sia di persone con altre tipologie di bisogno temporaneo. È dotata di un rifugio con 39 posti letto (attualmente 30 occupati), una mensa, un emporio per la distribuzione di generi alimentari e prodotti igienico sanitari, spazi destinati ad esperienze di fraternità, come la nostra.
Durante l’intero percorso di vita comune siamo stati costantemente affiancati da Fabio e Matteo, rispettivamente diacono ed educatore presso la struttura. La loro guida si è rivelata essenziale nel focalizzare il senso della nostra presenza nella Casa. A momenti di riflessione più teorici, si sono alternate attività molto concrete, utili a empatizzare il più possibile con quelle alterità con cui saremmo entrati poi in relazione.

30 dicembre. Per entrare nel vivo della situazione, ci è stato proposto una sorta di gioco di ruolo: immedesimarsi negli ospiti della Casa o nei volontari che se ne prendono cura, vestire i loro panni e le loro storie, dando vita a un momento di interazione. A cena, la situazione simulata è divenuta significativamente reale: abbiamo incontrato per la prima volta gli ospiti che soggiornano nella struttura e abbiamo cominciato a conoscerli, grazie anche al momento di svago vissuto in serata.
31 dicembre. «Vai incontro alle persone dove sono realmente, non dove vuoi che siano o dove pensi debbano essere». Altrimenti detto, non pensare che un semplice sguardo possa darti l’idea di chi hai davanti, dei suoi desideri, dei suoi bisogni. Occorre conoscere. A questo è servito il secondo esercizio di immedesimazione: nella diversità che caratterizza ogni storia, anche un gesto estremamente pratico come la spesa all’emporio non è più un semplice pacco da riempire con pasta, latte o biscotti; diventa, invece, indagare le reali necessità, bisogni, abitudini culturali di chi ne beneficerà.
Nel pomeriggio ci siamo dedicati ai preparativi per la serata, ognuno con le mansioni alle quali si sentiva più avvezzo: abbiamo allestito la sala pranzo, preparato i premi della tombola, creato delle tovagliette personalizzate per ogni ospite cucinato l’antipasto per la cena. Abbiamo trascorso il “Veglione” nel più classico dei modi: cibo, tombola con premi per tutti (ma proprio tutti!) canti e balli, con melodie pop o dal sapore più “indie”. Un tempo e uno spazio più sereno per ciascuno; anche per chi, nella parte della Casa adibita a rifugio, ha potuto trascorrere al riparo una notte, come tante, di “emergenza freddo”.
1 gennaio. Essere doni, senza un motivo. Durante il primo pasto dell’anno, abbiamo conosciuto altre persone che non alloggiano nella Casa, ma che vi transitano solamente per il pranzo. La percezione è quella di un via vai abbastanza frenetico, una routine da giorno feriale; arricchita però dalla sorpresa ( in alcuni casi perplessità) di trovarsi, all’uscita, con la possibilità di scegliere un piccolo regalo: una felpa, una sciarpa, un paio di guanti. «Ma non è Natale, siete in ritardo!», commenta qualcuno, che probabilmente meglio di noi sa il grande valore di un piccolo dono. Le cucine poi chiudono; gradualmente il salone si svuota. Qualcuno fatica a uscire. Noi stessi rimaniamo un po’ disorientati e, nel silenzio che rimane in Casa, cerchiamo di iniziare a dare ordine a pensieri ed emozioni.
Fin dal primo giorno, l’incontro con gli ospiti della Casa di Carità ha reso tangibile il significato della solidarietà. La distribuzione dei pasti, la consegna dei vestiti, la cura dei dettagli nel creare dei momenti di gioia e condivisione, sono stati per noi occasioni per entrare in relazione, per ascoltare storie di vita spesso invisibili e per donare un po’ di sé agli ospiti della Casa. Ogni incontro è stato un invito a guardare oltre le apparenze, a comprendere che la povertà non è solo materiale: la condivisione di cibo, tempo ed emozioni ci ha permesso di scoprire il vero significato di carità. Da questa esperienza, ognuno di noi ha compreso come una chiacchierata, un gesto di attenzione o la semplice vicinanza possano diventare segni di speranza, forse molto più di quanto la donazione di beni materiali possa fare. Infatti, un ospite, durante il momento dei saluti, si domandava cosa avesse fatto di tanto speciale per meritarsi i nostri sorrisi, la nostra gioia e il nostro affetto gratuiti.
Il nostro impegno si è trasformato in un dono per noi stessi: la consapevolezza che, nell’aiutare gli altri, si riceve molto più di quanto si possa immaginare.
Un grazie di cuore va a tutti coloro che, all’interno della Comunità Pastorale, hanno contribuito alla donazione sia di beni materiali che di offerte, le quali sono state devolute in parte alla “Casa della Carità” e in parte alla Caritas di Oggiono.
I giovani della Comunità



