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Esperienza

«Rifugiato in famiglia», aprire le porte anche contro la paura

Va al di là dei numeri il successo della sperimentazione voluta nel 2016 dal Comune di Milano e gestita dalla cooperativa Farsi Prossimo: a breve lo Sprar definirà le linee-guida per estenderla a livello nazionale. Enrico Maestri, coordinatore del progetto: «Tutte le famiglie ospitanti testimoniano come sia stato più semplice di quanto immaginassero»

24 Giugno 2018
Enrico Maestri, coordinatore dell'accoglienza in famiglia per Farsi Prossimo

Sono 18 i rifugiati ospitati dalle famiglie milanesi dal 2016 a oggi, con la sperimentazione voluta dal Comune di Milano e gestita dalla cooperativa Farsi Prossimo “Un rifugiato in famiglia”. Più del doppio, 45, sono state però le famiglie che hanno manifestato la propria disponibilità ad accogliere.

Le storie raccontano di famiglie giovani, professionisti, nuclei con figli già adolescenti, di chi aveva bambini piccoli o di famiglie monoparentali. Diversa anche la composizione degli ospiti, provenienti da Senegal, Costa d’Avorio, Pakistan, Somalia, Mali: tra loro anche una mamma con una bambina di un anno e mezzo. Una varietà che racconta dunque del successo di un’esperienza che va al di là dei numeri. Ora, spiega Enrico Maestri (coordinatore del progetto per Farsi Prossimo), l’iniziativa è ormai pronta per uscire dalla fase di sperimentazione (il bando prevedeva posti per 10 persone, con un contributo di 350 euro mensili a famiglia), tanto che il Servizio nazionale per i rifugiati (Sprar) dovrebbe a breve definire le linee-guida valide a livello nazionale per questa esperienza.

Le famiglie raccontano di una motivazione forte e di una scelta per l’accoglienza quasi spontanea, seppur con tutti i timori di chi, in fondo, apre la propria casa a uno sconosciuto. «Ho sentito che potevo fare qualcosa, anche contro la paura ora dominante», spiega un genitore. «Potevo ospitare qualcuno, ho sentito che quella che era una possibilità era anche un dovere», racconta un altro professionista. Maestri assicura che proprio la semplicità dell’esperienza può essere la chiave per le famiglie desiderose di accogliere. Tutto il percorso è infatti accompagnato da un’équipe di professionisti che seguono sia il migrante (per quanto riguarda tirocini, inserimento lavorativo e pratiche documentali), sia la famiglia ospitante. Così chi è accolto, continua Maestri, può immergersi nella nuova realtà, mentre la famiglia può sprigionare le proprie energie sul piano dell’accoglienza, godendosi anche la bellezza dell’incontro e della relazione interculturale. Il lavoro dell’équipe, infatti, fa sì che a incrociare le proprie vite siano le persone “giuste”. Come è stato per esempio per un adolescente del Senegal, ospitato da una famiglia in cui ha trovato due ragazzi suoi coetanei.

Vale anche l’opposto. «Chi arriva ha una personalità solida – ha raccontato una giovane coppia ospitante -, ed è animato dalla volontà di trasformare in positivo la propria esperienza». Così il supporto delle famiglie, con la loro rete amicale, può diventare un aiuto prezioso, «senza però che queste siano investite di una responsabilità specifica nel percorso di integrazione del migrante», sottolinea Maestri, che invita chi lo voglia a superare la paura di non essere all’altezza, perché «tutte le famiglie ci hanno raccontato come l’esperienza sia stata più semplice di come l’avessero immaginata prima di iniziare».

Chi volesse avere maggiori informazioni può scrivere a PSS.CentroCultureMondo@comune.milano.it

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