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Morimondo: l’abbazia cistercense

11 Marzo 2003

Mangerà pane, ma i tozzi neri e ruvidi con cui si sfama la povera gente.
E per guadagnarsi quel pane lavorerà con le proprie mani, per non dipendere da nessuno, per non pesare sui fedeli, per essere servitore e non servito.
Con il passare del tempo, quest’ansia di rinnovamento e di fedeltà al Vangelo sarà duramente messa alla prova.
Ma nella prima metà del XII secolo, negli anni colmi d’entusiasmo in cui andava nascendo questa nuova comunità, la croce e l’aratro erano davvero gli strumenti quotidianamente nelle mani dei cistercensi di Morimondo.
Il territorio attorno cambiava aspetto, con le bonifiche, con i campi sottratti alla sterile boscaglia e coltivati. E con il mutare dell’ambiente, anche gli uomini trovavano una nuova fiducia: là dove era il buio delle tenebre, ora brillava una luce di speranza.
Non fu la grande chiesa che ancor oggi ammiriamo, il primo edificio della neonata abbazia.
E la cosa non deve sorprendere. Innanzitutto vennero costruiti i laboratori, i depositi dove raccogliere gli attrezzi agricoli e le fienagioni, la fornace dove cuocere i mattoni, la fucina dove forgiare il metallo. E contemporaneamente si edificarono i luoghi in cui i monaci avrebbero trovato riparo.
Una semplice cappella, per il momento, sarebbe bastata al piccolo gruppo di religiosi. Anche l’arte cistercense, insomma, incominciava dal lavoro, dalla sistemazione degli appezzamenti, dalla definizione dei confini.
Iniziava cioè con il creare la radura, perché respingere ciò che è oscuro, riportare all’ordine ciò che è informe o confuso, è anche far trionfare l’armonia, restaurare la primitiva bellezza. Il resto verrà da sé, spontaneamente, naturalmente.

Era stato assai duro, san Bernardo , con le inutili ostentazioni di lusso nelle chiese, con quelle decorazioni esuberanti che volevano stupire, più che aiutare a riflettere. E ciò nonostante, il monaco di Clairvaux non era un iconoclasta.
Per lui, per tutta la sensibilità cistercense delle origini, l’arte aveva una funzione importantissima, fondamentale: far sorgere lo spirito cieco verso la luce, risuscitarlo dalla sua sommersione interiore.
L’arte è strumento di rivelazione, di rinascita, di una conversione che, come l’atto del Creatore, non è concluso nell’istante di un avvenimento puntuale, ma fluisce nella durata ininterrotta di un destino.
Il complesso di Morimondo non farà eccezione.
continua…