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27 Ottobre 2003

Testo e foto di Luca Frigerio

…E poi la quiete, il silenzio di una reclusione colma di luce e di pace. Che invita a pensare, che porta a contemplare. Laggiù, appoggiata a una colonna, legge una giovane. Qui passeggia un anziano, il naso all’aria, le mani dietro la schiena, un sorriso sul volto. E presto arriverà una coppia di sposi freschi di nozze, perché nei loro ricordi a bellezza si aggiunga bellezza. Voltorre è un piccolo paese, una frazione di Gavirate, quasi affacciato sul lago di Varese. Non sappiamo quando e perché i monaci benedettini scelsero proprio questo luogo per dare vita a una loro cenobio. Quel che pare certo, tuttavia, è che i figli di san Benedetto non partirono dal nulla, ma svilupparono la loro fondazione su strutture già esistenti, longobarde forse, o ancora più antiche. La dedicazione stessa della chiesa che ancor oggi sorge accanto al chiostro sembra confermarlo: San Michele, l’arcangelo guerriero, uno dei patroni della gente di Teodolinda. Ma anche senza date certe, per la nascita del monastero benedettino di Voltorre si deve pensare all’inizio del XII secolo, sotto l’egida del potente ordine riformato di Cluny, nella sua “versione” italiana di Fruttuaria. La qual cosa spiegherebbe anche quel certo gusto borgognone – appena percettibile, in verità – del complesso e, soprattutto, la qualità davvero notevole dei lavori. Compiuti, come sempre in ambito cluniacense, secondo un preciso programma dettato dai teologi dell’ordine stesso. Non grande, non piccolo, il monastero di Voltorre ebbe una certa importanza tra il Duecento e il Trecento, quando rivestì un ruolo di primo piano nelle vicende religiose dell’area varesina. Ma, come avvenne per molti altri centri monastici della Lombardia, dal XV secolo si assistettè a una crisi progressiva del priorato voltorrese, che portò prima a una assegnazione in commenda (una sorta di “commissariamento” che, come sempre, ebbe esiti disastrosi), poi alla cessione ai canonici lateranensi di Santa Maria della Passione a Milano. Gli agostiniani della Passione allargarono, ampliarono, restaurarono. Eppure la situazione non cambiò molto. Tanto che nel 1797, con le disposizioni napoleoniche, il monastero varesino cessò del tutto di esistere. I suoi beni furono alienati, i possedimenti ceduti, la stessa struttura monastica smembrata e venduta a privati.