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264 - giancarlo Redazione Diocesi

4 Luglio 2003

Parlando alla sessione della prima Assemblea plenaria della Pontificia Commissione per i Beni Culturali della Chiesa nel settembre 1995 Giovanni Paolo II ha detto: «Ben presto la parola conservazione… è apparsa chiaramente inadeguata, perché riduttiva e statica; se vogliamo inserire i beni culturali nel dinamismo della evangelizzazione, non ci si può limitare a mantenerli integri e protetti; è necessario attuare una loro organica e sapiente promozione per inserirli nei circuiti vitali dell’azione culturale e pastorale della Chiesa». Il perché risulterà evidente riflettendo su quanto ha scritto il card. Martini: «L’opera d’arte è, di fatto, la risposta a una presenza sconvolgente e incredibile, che desta stupore e diventa testimonianza. Così, ogni opera (…) è testimonianza di altro, icona di una Bellezza che nessuna storia e nessuno stile può giustificare, se non penetrando nel mistero di Dio…». Il punto di maggior forza del museo diocesano è quello di essere strumento della chiesa locale. Diocesano, il museo, non solo in rapporto alla proprietà, che è ecclesiale, ma ai contenuti che ospita e che andrà ad ospitare, opere che provengono in gran parte da tutta la diocesi; diocesano perché si propone di essere struttura esemplare per la visualizzazione e la valorizzazione del voluminoso e ricco “libro d’arte” compaginatosi nei secoli sul suolo ambrosiano; diocesano perché, superando i confini parrocchiali, decanali e zonali, ambisce a rapportarsi con le strutture museali locali già esistenti e a diventare una sorta di volano per valorizzarle, così che diventi più efficace la rete capillare di custodia e di promozione del patrimonio della nostra Chiesa ambrosiana. A differenza degli altri musei, che solitamente sono statici e definiti nella loro identità dalle opere che possiedono, il museo diocesano di Milano potrebbe invece configurarsi come una vetrina che periodicamente si rinnova – se non tutta almeno in parte -, attingendo alla ricchezza artistica, spesso nascosta, di tante parrocchie non raramente piccole e disperse. Ai contenuti che precisano l’identità della struttura diventata attiva nei Chiostri di Sant’Eustorgio hanno contribuito innanzitutto l’Arcivescovo, poi numerose parrocchie, ma anche privati. I visitatori potranno infatti osservare opere di collezioni dell’arcivescovado depositate al Museo Diocesano perché abbiano migliore e più larga fruizione; molte opere di parrocchie che hanno risposto all’invito del Cardinale e imitato il suo esempio; ci sarà una collezione di “fondi oro” offerta da un privato che, per qualità e numero dei pezzi, è senza dubbio significativa fra quante se ne possono osservare fuori da Toscana e Umbria. Il 5 novembre scorso è finito il tempo degli auspici e dei preparativi ed è cominciata l’attività di una istituzione diocesana fino ad ora mancante che vuol farsi carico di rappresentare quanto i beni culturali hanno segnato la storia secolare della Chiesa milanese e con essi dire qualcosa della sua ricca tradizione di fede alla gente che ancora viene alla chiesa e a quella, numericamente sempre più crescente, che non ne varca più la soglia. «Sono beni di tutti – ha detto Giovanni Paolo II – e quindi devono diventare cari e familia ri a tutti». Conservare la memoria è un compito ecclesiale primario. Non è un immobilismo che ci ferma al passato, ma proposizione di un fattore generativo di sviluppo armonico: «nessuno può saggiamente guardare avanti senza confrontarsi seriamente con il proprio passato» (Comunicare il Vangelo in un mondo che cambia, n.° 42). Siamo coscienti dei tanti limiti con cui nasce il museo diocesano. Ammetterlo proprio nel momento in cui comincia la sua storia diventa d’obbligo, perché non si coltivino spropositate illusioni e non si scatenino ingenerose critiche. Si partiva da zero, non abbiamo potuto esporre come nostri – perché la diocesi non li possiede – né dei Giotto, né dei Raffaello, né dei Caravaggio. Si cammina coi piedi di cui si è dotati. Il museo diocesano di Milano solo negli anni potrà dare piena ragione di sé. Ora è appena un bambino che ha cominciato a muovere i suoi primi passi. È un azzardo, che per continuare ha bisogno di fiducia, di idee, di mezzi. Il Museo apre, dunque, per vivere e vivrà nella misura in cui l’intera diocesi lo farà proprio; vivrà a condizione che clero e laici lo sposino, mettendolo in dialogo con tutti – soprattutto i cresimandi e gli adolescenti, ha detto ripetutamente il card. Martini – perché la storia religiosa e cristiana che abbiamo alle spalle possa fare memoria attraverso l’arte e l’espressione artistica. Aiutarli a leggere il sacro artisticamente e visivamente rappresentato rientra in quella operazione che papa Gregorio Magno riconosceva doverosa nella difesa che faceva del culto delle immagini: «perchè il popolo fedele vi incontri emotiva memoria e istruttiva catechesi».