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Aveva abbandonato tutto, Alessandro. Da un giorno all�altro, senza guardarsi indietro, senza dare troppe spiegazioni. Alcuni amici gli avevano detto che era pazzo; altri, quelli pi� cari, non avevano saputo dirgli nulla. Sua madre piangeva, suo padre lo guardava con rancore. Come! Dopo tutto quello che aveva fatto per lui, dopo i soldi che aveva speso per farlo studiare� E le terre, ora, a chi le lasciava? E ai poderi, chi ci avrebbe badato?Andava a fare l�eremita, lui. �Bella roba��, commentavano alcuni in paese, con cattiva ironia. Se aveva davvero la vocazione, si bisbigliava, perch� non si era fatto prete? O frate? No, quell�Alessandro l� non doveva essere troppo normale. Aveva qualche problema, era chiaro! Uno mica lascia la famiglia e i denari per andare a rintanarsi in cima a una montagna, da solo, come un animale� A meno che non voglia nascondersi da qualcuno, a meno che non abbia fatto qualcosa di cui vergognarsi�Ma voci e pettegolezzi non riuscivano a salire fin lass�, tra le mura della chiesetta dedicata alla Vergine. Alessandro Carnizzari si sentiva in pace, con se stesso e con gli altri. Guardava le montagne davanti a lui, alte, forti, maestose, inondate da un cielo di luce, accarezzate da un azzurro pastoso. E pi� sotto il lago, tremulo di migliaia di stelle. S�, qui avrebbe trovato quel Dio che cercava. Quass� la sua sete d�infinito si sarebbe finalmente placata.Presso il santuario di Santa Maria sopra Olcio, all�interno della sponda lecchese del Lario, Alessandro rimase per tutto il resto della sua vita. Una vita lunga, e forse felice. Seduti sui gradini della cappella, ce lo immaginiamo intento a riparare il tetto e le mura dell�antico ospizio montano, a strappare al magro orto il poco per una zuppa, a pregare, a lodare, a invocare, con gli occhi colmi di letizia, con le braccia aperte al Creato.Oltre duecento anni sono passati da allora, ma poco � cambiato in questo luogo dove cielo e terra si incontrano. La salita da Sonvico, frazione di Mandello, non � lunga, n� difficile. Un sentiero di pietra, modellato da migliaia di piedi, accompagnato in principio da viti e ulivi, ombrato poi da fitti alberi che s�aprono a tratti, mostrando i monti e il sole. E ogni cento passi una croce, moderna, semplicissima via Crucis a indicare la strada, a fare di una passeggiata nel verde, per chi vuole, un cammino di fede.S�, Alessandro Carnizzari dovette darsi da fare, quando giunse qui in alto, attorno al 1750. La chiesa era antica, antichissima, ma abbandonata da tempo. Un papa, Enrico III, nel 1145 le aveva concesso privilegi straordinari, ricordandola come consacrata al nome di Maria, riconoscendole un ruolo significativo, fondamentale persino, quale luogo di culto e di ristoro per coloro che dalla Valsassina si spingevano al lago, e viceversa.Santa Maria sopra Olcio, dunque, era un punto di riferimento tra la Grigna e il Lario, modesta per dimensioni, eccezionale per importanza. Una piccola chiesa, alcuni raccolti edifici, un chiostro: un ospizio religioso di montagna, insomma, nato probabilmente nell�alto medioevo, attivo certamente gi� prima del Mille. Gestito, all�inizio, dai monaci di san Benedetto, che anche qui potevano dare piena applicazione alla loro regola, Ora et labora. Il viandante vi trovava riparo per la notte, il pellegrino vi riceveva il conforto di una pia parola. Per tutti un panorama incantevole, che si sarebbe portato nel cuore fino a casa: da una parte le cime innevate, dall�altra la distesa del lago.Ai benedettini seguirono forse i templari, i celebri monaci guerrieri che avevano votato la vita alla riconquista della Terrasanta e alla difesa dei pellegrini. � voce popolare a dirlo, ma, come spesso accade in simili circostanze, non vi � alcun documento a provarlo. Ma basta il nome per creare suggestione, per aggiungere il mistero della storia al fascino della natura. E ci si ritrova allora a fantasticare di bianchi mantelli crociati all�ombra della Grigna, a presidio di questo baluardo della fede e della piet�, nostalgici d�Oriente... Ma forse � davvero troppo, e bisognerebbe accontentarsi.Nel Cinquecento, e negli anni a venire, non cess� la devozione popolare, ma venne meno la presenza stabile nel santuario alpestre. L�apertura di nuove vie di comunicazione, pi� rapide, meno impervie, lasciarono pi� isolato che mai il vetusto ospizio, meta s� dei devoti pellegrinaggi della gente lariana, ma dalla cadenza periodica, stagionale, legata per lo pi� alle grandi celebrazioni mariane. Si trov� tuttavia l�occasione di dotarla di begli ornamenti e di un dipinto pregevole sull�altare, una soave Madonna col Bambino vegliata dai martiri Lorenzo e Giuliano, santi particolarmente venerati nel mandellasco.Per tutto ci� ci � cara la figura vaga e dispersa di Alessandro Carnizzari, che nel secolo dei Lumi torn� ad abitare il santuario, facendosi eremita, da ricco che era. Per fede profonda, per amore � ne siamo certi - delle sue montagne. Da qui il suo sguardo si posava sul Sasso Cavallo, accarezzava il pizzo Carbonai, s�arrampicava lungo i torrioni Magnaghi, la cresta Parascioli, la punta Malavello, e poi ancor pi� su, aggrappandosi alla cima aguzza della Grigna settentrionale... Una meraviglia che incanta i cuori e libera la mente. Allora come oggi ancora, per nostra fortuna.

23 Febbraio 2004

Santa Maria sopra Olcio, dunque, era un punto di riferimento tra la Grigna e il Lario, modesta per dimensioni, eccezionale per importanza. Una piccola chiesa, alcuni raccolti edifici, un chiostro: un ospizio religioso di montagna, insomma, nato probabilmente nell’alto medioevo, attivo certamente già prima del Mille. Gestito, all’inizio, dai monaci di san Benedetto, che anche qui potevano dare piena applicazione alla loro regola, Ora et labora. Il viandante vi trovava riparo per la notte, il pellegrino vi riceveva il conforto di una pia parola. Per tutti un panorama incantevole, che si sarebbe portato nel cuore fino a casa: da una parte le cime innevate, dall’altra la distesa del lago. Ai benedettini seguirono forse i templari, i celebri monaci guerrieri che avevano votato la vita alla riconquista della Terrasanta e alla difesa dei pellegrini. È voce popolare a dirlo, ma, come spesso accade in simili circostanze, non vi è alcun documento a provarlo. Ma basta il nome per creare suggestione, per aggiungere il mistero della storia al fascino della natura. E ci si ritrova allora a fantasticare di bianchi mantelli crociati all’ombra della Grigna, a presidio di questo baluardo della fede e della pietà, nostalgici d’Oriente… Ma forse è davvero troppo, e bisognerebbe accontentarsi. Nel Cinquecento, e negli anni a venire, non cessò la devozione popolare, ma venne meno la presenza stabile nel santuario alpestre. L’apertura di nuove vie di comunicazione, più rapide, meno impervie, lasciarono più isolato che mai il vetusto ospizio, meta sì dei devoti pellegrinaggi della gente lariana, ma dalla cadenza periodica, stagionale, legata per lo più alle grandi celebrazioni mariane. Si trovò tuttavia l’occasione di dotarla di begli ornamenti e di un dipinto pregevole sull’altare, una soave Madonna col Bambino vegliata dai martiri Lorenzo e Giuliano, santi particolarmente venerati nel mandellasco. Per tutto ciò ci è cara la figura vaga e dispersa di Alessandro Carnizzari, che nel secolo dei Lumi tornò ad abitare il santuario, facendosi eremita, da ricco che era. Per fede profonda, per amore – ne siamo certi – delle sue montagne. Da qui il suo sguardo si posava sul Sasso Cavallo, accarezzava il pizzo Carbonai, s’arrampicava lungo i torrioni Magnaghi, la cresta Parascioli, la punta Malavello, e poi ancor più su, aggrappandosi alla cima aguzza della Grigna settentrionale… Una meraviglia che incanta i cuori e libera la mente. Allora come oggi ancora, per nostra fortuna.