Juliet ha compiuto 21 anni da un mese quando, a Benin City, una donna la avvicina: «Posso portarti in Europa – le dice -, dove troverai lavoro e anche tu potrai permetterti di studiare». L’illusione fa breccia facilmente nella ragazza, segnata da un passato di maltrattamenti, lavoro minorile, povertà, studi superiori portati a termine tra mille difficoltà. «Ma non dirlo alla tua famiglia – si affretta a precisare la donna -, altrimenti ti tratterranno qui». È la menzogna che dà il via alla vita da schiava del sesso di Juliet (il nome è di fantasia, la vicenda purtroppo no).
«Anche oggi, nonostante la schiavitù sia stata abolita, in troppi vivono in questa condizione: 2,5 milioni l’anno, secondo le stime dell’Onu», spiega suor Claudia Biondi, attiva nell’Area Tratta e Prostituzione della Caritas Ambrosiana. Tra le principali forme di sfruttamento si trovano quello sessuale, il lavoro forzato, l’espianto di organi, l’accattonaggio forzato, la servitù domestica, il matrimonio forzato, l’adozione illegale. «Pregheremo per questi schiavi, martedì in Duomo a Milano, al mattino prima dell’incontro con i preti, alla sera prima di quello con i laici, entrambi presieduti dal cardinale John Onaiyekan, arcivescovo di Abuja, Nigeria, Paese dal quale arrivano in Italia migliaia di persone. In particolare giovani donne.
Juliet è una di queste. I suoi schiavisti le avevano prospettato un volo diretto per l’Europa, per poi costringerla a un viaggio in furgone verso le coste libiche. Non prima di averle comunicato che il tutto le sarebbe costato 40 mila euro, da restituire una volta in Italia. Una cifra che la ragazza neanche comprende: pensa a 40 mila naire nigeriane, un valore di circa 180 euro, e le pare accettabile. È la seconda menzogna, dalla quale ormai è impossibile tornare indietro. Sbarcata a Lampedusa senza documenti, senza contatti, senza conoscenze, Juliet non può far altro che affidarsi ai nuovi schiavisti a cui è venduta.
Diventa così una delle persone che rendono la tratta di esseri umani una delle attività illegali più lucrative: frutta 32 miliardi di dollari l’anno in tutto il mondo ed è il terzo business più redditizio dopo il traffico di droga e di armi. In Italia, ogni anno le donne straniere indotte a prostituirsi sono tra le 20 mila e le 35 mila. In Lombardia, una su tre proviene dalla Nigeria. Così come sono nigeriani migliaia di uomini che, soprattutto negli ultimi anni, sono schiavizzati per il lavoro nero.
«Per questo motivo – aggiunge suor Biondi – l’arrivo del cardinale Onaiyekan ci è sembrato una opportunità da cogliere per pregare sul tema. Inoltre oggi, 8 febbraio, è la festa di Santa Giuseppina Bakhita, schiava sudanese, canonizzata nel Duemila. E in questa ricorrenza, per la prima volta, la Chiesa mondiale ha indetto una Giornata internazionale di preghiera e riflessione contro la tratta di persone».
Il tema è davanti agli occhi di tutti e riempie, quando diventa tragico e si colora di sangue, le pagine di giornali, telegiornali e social network. «Ma è ancora necessario parlarne: la tratta è dimenticata – sottolinea la religiosa -. Non è riconosciuta la condizione di schiavitù in cui versano milioni di persone. Riguardo alle prostitute, troppi italiani pensano che abbiano scelto questo tipo di vita. È più difficile ammettere che sono schiave, arrivate al lato della strada dopo violenze, menzogne, costrizioni».
Juliet cerca di resistere, ma è costretta a mesi di marciapiede dopo essere stata quasi strangolata, dopo che le è stata rifiutata la richiesta di asilo politico, dopo che la sua famiglia in Nigeria ha ricevuto violenze e minacce, anche da uno stregone. Allora trova il coraggio che proviene dal terrore: si rivolge a operatori che la tolgono dalla strada e la portano in una Casa di accoglienza nel Milanese. Oggi, un anno dopo, Juliet ha frequentato dei corsi e ha iniziato a lavorare davvero.
Un lieto fine reso possibile anche dall’attività dei volontari che, la notte, avvicinano le prostitute per spiegare loro che si può uscire dalla schiavitù. Avenida (di Caritas), Segnavia (Padri Somaschi) e Lule, solo a Milano e hinterland, hanno incontrato nel 2014 1.683 donne (375 le nigeriane). La metà, avvicinate per la prima volta: segno di un forte ricambio e di una tratta che non ha fine.
«Schiave donne sulle strade, schiavi uomini nelle fabbriche e nei campi in Puglia, Sicilia, Lazio, Veneto, Piemonte. Spesso si riesce solo a dire “Accettano condizioni massacranti e ci portano via il lavoro” – rileva suor Biondi -. È segno di un abbassamento valoriale della società che non riesce, come dice papa Francesco, a considerare quelle persone come uomini. Altrimenti non potremmo fingere di non vedere che sono schiavi, costretti a vite inaccettabili».