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Medio Oriente

Una preghiera per la Siria

L’appello dei vescovi da Damasco e Aleppo

31 Luglio 2012

«Preghiera, preghiera, preghiera»: al telefono da Damasco Gregorios III Laham, patriarca di Antiochia dei greco-melkiti, riferisce di «una situazione tranquilla nella capitale, dove solo in lontananza si odono dei colpi. Aleppo, invece, è un campo di battaglia. Quanto sta avvenendo lì è terribile». Con voce rotta dall’emozione il patriarca racconta che «le comunità cristiane stanno abbastanza bene, i combattimenti avvengono lontano dal centro, dove vive la maggior parte dei fedeli, in località periferiche e di campagna. Sono in contatto con altri confratelli vescovi, si stanno organizzando aiuti per non farsi trovare impreparati se le cose dovessero volgere al peggio».

Da giorni l’esercito siriano e i ribelli del Free Syrian Army (Fsa) si danno battaglia nella più popolosa città della Siria, il più rilevante centro economico. Secondo la responsabile degli Affari umanitari delle Nazioni Unite, Valerie Amos, nel week-end sono scappate da Aleppo circa 200 mila persone dirette nei villaggi vicini e in Turchia. Non si conosce, invece, il numero di quanti sono bloccati nei luoghi dove si combatte.

Le parole del Papa

A mitigare la pena del Patriarca sono giunte le parole di Benedetto XVI domenica scorsa all’Angelus da Castel Gandolfo: «Riceviamo molta forza dal Pontefice che ha detto di seguire con apprensione “i tragici e crescenti episodi di violenza in Siria con la triste sequenza di morti e feriti, anche tra i civili, e un ingente numero di sfollati interni e di rifugiati nei Paesi limitrofi”. La sua vicinanza ci conforta e ci incoraggia ad andare avanti a ricercare il dialogo tra le parti, per fermare le violenze e permettere il rientro e l’assistenza di sfollati e rifugiati. Il suo pressante appello, “perché si ponga fine a ogni violenza e spargimento di sangue” ha avuto una vasta eco nel Paese, tutti i media lo hanno ritrasmesso. Chi ha responsabilità, ricordava il Papa ieri, non deve lesinare sforzi per aprire un negoziato e lo stesso deve fare la comunità internazionale».

«Molto apprezzata» da Gregorios III è stata anche la recente dichiarazione del Consiglio delle Conferenze episcopali europee (Ccee), in cui il presidente, cardinale Peter Erdo, e i suoi due vice, il cardinale Angelo Bagnasco e l’arcivescovo monsignor Jozef Michalik, ribadivano la necessità di far «cessare tutte le ostilità, deporre le armi e intraprendere la via del dialogo, della riconciliazione e della pace». «Siamo in pena per le sorti del nostro Paese – ammette Gregorios III -. Quando in alcuni Paesi occidentali si sente dire che il regime è alla fine, sta per crollare, questo non fa altro che accendere ulteriormente gli animi e rinfocolare il conflitto. Gli Usa, l’Europa e gli altri Paesi devono fare più pressione non per favorire il regime o l’opposizione, ma per metterli entrambi seduti a un tavolo a cercare il dialogo e soluzioni pacifiche. Devono calmare gli animi e non scatenare vendette. Il regime è molto forte, come l’opposizione – continua il patriarca -. Ciò che fa paura al popolo sono le bande di criminali che con rapimenti, omicidi, abusi e violenze seminano il panico. Un nostro sacerdote ha visto due suoi fratelli rapiti e da venti giorni non ha più notizie. Abbiamo paura di questa criminalità. La via negoziale è quella da intraprendere senza riserve. Musulmani e cristiani, insieme, devono impegnarsi in questa direzione. Nei prossimi giorni, precisamente l’1 agosto, i cristiani si uniranno nel digiuno ai musulmani, impegnati nel mese di Ramadan. Sarà per noi un digiuno in preparazione alla festa dell’Assunzione della beata Vergine Maria del 15 agosto e un momento di condivisione e preghiera per la Siria».

«Non mandate armi»

Da Aleppo giungono le parole di monsignor Jean-Clement Jeanbart, l’arcivescovo greco-melkita della città, che ribadisce la sua preoccupazione «per quello che sta accadendo. Chiediamo a tutti di pregare per una soluzione di dialogo. Le diverse comunità cristiane di Aleppo (ortodossi, cattolici e protestanti) hanno deciso di unire le loro forze per venire incontro alle necessità dei profughi e di tutti coloro che si trovano in difficoltà». «Nel centro della città la situazione appare tranquilla – racconta monsignor Jeanbart -, il conflitto coinvolge alcuni quartieri periferici. Molti abitanti sono andati via. Oggi si sentono meno spari rispetto a ieri».

La Caritas Siria è da tempo impegnata ad assicurare assistenza a centinaia di famiglia, non solo nella grandi città come Damasco, Aleppo e Homs, ma anche nei villaggi nelle campagne. Il numero di rifugiati siriani ormai supera le 120 mila unità – stando alle cifre dell’Unhcr – suddivisi tra Giordania, Libano, Turchia e Iraq. Nel solo Libano sono 30 mila, numero che non contempla quelli arrivati nelle ultime ore. «La riunione odierna ha visto riunirsi un gruppo di laici scelti da tutte le comunità religiose del Paese – spiega l’Arcivescovo – da questo incontro ha preso le mosse un comitato di emergenza per vagliare ogni passo da fare per fornire aiuto e assistenza alle nostre comunità. Dobbiamo fare in fretta perché la situazione peggiora ogni giorno di più». «Abbiamo bisogno di preghiere, ma anche dell’impegno degli Stati a spingere al dialogo le due parti in lotta, come chiesto dal Papa domenica».

Alla comunità internazionale l’Arcivescovo chiede di «non mandare armi, non istigare alla guerra. Dialogare non è impossibile come testimoniato dall’Appello di Roma dell’opposizione pacifica, siglato grazie alla Comunità di Sant’Egidio». «Nel prossimo futuro potremmo aver bisogno di cibo e medicine – conclude monsignor Jeanbart -. Per questo chiediamo la solidarietà di tutti gli uomini di buona volontà che si possono attivare usando i canali della Caritas. Potrebbe servire ad aiutare la popolazione in questo periodo di grave emergenza».