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Fondazione Ambrosianeum

Una generazione
da conoscere e valorizzare

I trentenni al centro del “Rapporto sulla città 2013” nella analisi della curatrice Rosangela Lodigiani

di Pino NARDI

4 Luglio 2013

«I trentenni a Milano sono una generazione molto differenziata e poco conosciuta. In questi mesi sentiamo richiamare l’allarme per i giovani. In realtà ci sono anche gli "adulti giovani": sono in difficoltà negli anni più delicati nella transizione alla vita adulta e fanno fatica a trovare percorsi di stabilizzazione lavorativa, affettiva, abitativa dentro il cuore cittadino. Milano è comunque un contesto ricco di opportunità e migliore di altre realtà, ma in ogni caso emergono elementi di difficoltà. Il principale è l’incapacità della nostra società di comprenderne i bisogni e di accompagnarli con politiche adeguate». Rosangela Lodigiani, sociologa dell’Università cattolica, è la curatrice del Rapporto sulla città 2013 promosso dalla Fondazione Ambrosianeum e pubblicato da FrancoAngeli. Un osservatorio che da oltre 20 anni aiuta a comprendere la complessa realtà della metropoli, individuando anche strade di impegno. Quest’anno è stato scelto di accendere i riflettori su una generazione che molti definiscono in “cerca d’autore” o “invisibile”.

Sono i trentenni, che non sono più giovani, ma neanche adulti. Oggi finiscono assimilati in modo improprio ai “giovani” under 30 o addirittura agli under 25, o del tutto ignorati: «Dimenticati in quanto non più portatori di una propria specificità o indebitamente accomunati ad altri, il risultato non cambia: è il misconoscimento dei loro bisogni, risorse e aspettative», sottolinea Lodigiani. E poi quando se ne parla vengono etichettati come “generazione perduta” (l’ex premier Mario Monti qualche mese fa). Eppure la situazione così articolata porta a sottolineare anche un altro aspetto, una sorta di reazione a questa poca considerazione sociale: «I trentenni hanno soprattutto dato mostra di essersi “ritrovati”, di aver recuperato coscienza di un sentimento generazionale, di rifiutare cliché che tarpano loro le ali», afferma la sociologa.

Nella Milano multietnica c’è anche lo spaccato di una realtà tra coetanei di provenienza diversa. «Da un lato, i trentenni stranieri sono più esposti dei coetanei autoctoni alla disoccupazione e al lavoro irregolare, all’espulsione dal mercato in fase di recessione; dall’altro sono i più rappresentati (in termini relativi) nel lavoro autonomo e imprenditoriale», sottolinea Lodigiani. Inoltre, «le imprese individuali straniere presentano una migliore capacità di tenuta rispetto a quelle italiane, specie nei settori più etnicizzati, a elevata intensità di lavoro e a basso contenuto tecnologico (servizi alle imprese e costruzioni, commercio al dettaglio e servizi di alloggio e ristorazione)».

Milano e trentenni, un rapporto di odio e amore: una città «polo attrattore per un verso e respingente per un altro». Questa polarità emerge soprattutto nei fenomeni della «circolazione dei talenti» e delle «famiglie dislocate», entrambi significativi nel capoluogo, ma emerge in generale tra i trentenni che cercano una stabilizzazione esistenziale. Afferma ancora Lodigiani: «Milano se per un verso è vista come una città da lasciare perché ostica, costosa, caotica, frenetica, rumorosa, intasata, inquinata, per l’altro è fonte di identificazione, riconoscimento e appartenenza».

In ogni caso, per Lodigiani «nonostante tutto, questa generazione sta contribuendo in modo cruciale alla tenuta economica, sociale e demografica di Milano». Anche se, come sottolinea il cardinale Scola nel suo contributo specifico al volume emergono «le difficoltà di un quotidiano scandito dall’incertezza, dalla paura di perdere le sicurezze acquisite (per chi le ha raggiunte), dalla disillusione e dall’impossibilità di pensarsi nel lungo periodo, dalla percezione di solitudine e dalla mancanza di sostegno nelle politiche locali (per chi vede tali sicurezze come un traguardo ancora lontano). Fatiche che possono portare, nelle esperienze più dure, a sentirsi sopraffatti dal “mestiere di vivere”».