13/03/2008
di Cristina CONTI
Liti condominiali, furti, rapine, incidenti stradali e atti di violenza. Storie che appaiono ogni giorno sulla pagina della cronaca nera di Milano. Metropoli multietnica che anno dopo anno modifica e ampia i suoi confini. Questo tema è stato al centro del convegno su “La sicurezza nella città e le possibili risposte”, svoltosi ieri alla Fondazione Ambrosianeum.
La situazione, comunque, non è allarmante. «I nostri dati su Milano, per esempio, non sono allarmanti, ma i cittadini si sentono ugualmente insicuri perché aumentano le rapine, i furti d’auto e negli appartamenti», spiega Ernesto Savona, docente di criminologia dell’Università Cattolica.
Ormai sotto la Madonnina convivono italiani e stranieri. Alcune minoranze sono ben integrate, hanno un lavoro e una casa. Ma molti vivono per strada e sono clandestini. «Nell’America Latina le città hanno le favelas al loro esterno – spiega don Virginio Colmegna, presidente della Casa della Carità -. Certo, Milano ha una dialettica stretta tra centro e periferia. Ma le aree dimesse invocano iniziative di rivitalizzazione e danno l’immagine cruda dell’emarginazione. Fatta di cinquemila persone, italiane e straniere, che vivono per strada e che pernottano in quegli edifici fatiscenti. Sono luoghi di pericolo per la città. Il problema non si risolve solo dal punto di vista della sicurezza, dell’ordine pubblico. L’emigrazione non va aiutata solo come emergenza».
E per incrementare gli sforzi a favore di una maggiore vivibilità del territorio, la Provincia di Milano ha promosso nel 2007 lo sviluppo di progetti di “Sicurezza partecipata”: hanno preso corpo ben «14 progetti finalizzati al coordinamento e al potenziamento dei servizi di Polizia locale, interessando un totale di quasi un milione di abitanti», come ha sottolineato Alberto Grancini, assessore provinciale alla Sicurezza e polizia.
Secondo Savona, però, la richiesta di agenti sarebbe solo un provvedimento tampone: «Bisogna potenziare la sorveglianza elettronica con strumenti avanzati in luoghi appropriati e fare investimenti massicci di prevenzione precoce con genitori e insegnanti, per ridurre le cariche di aggressività nei bambini, possibili futuri criminali».
Sulla stessa linea anche Luciano Eusebi, giurista dell’Università Cattolica: «Lo Stato fa davvero prevenzione quando mantiene alto il consenso dei cittadini nei confronti delle norme giuridiche».