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Prima domenica

Scola: «Vivere la Quaresima
come tempo di conversione d’amore»

Il cardinale Scola ha presieduto la celebrazione eucaristica con il Rito delle Ceneri. Riconoscendoci figli, viviamo in questo tempo «la rigenerazione profonda della nostra persona», ha detto l’Arcivescovo ai fedeli riuniti in Cattedrale

di Annamaria BRACCINI

5 Marzo 2017

All’inizio dei 40 giorni che conducono verso la morte e Risurrezione del Signore, il richiamo a comprendere fino in fondo l’amore di Cristo che non abbandona mai, definisce il senso della riflessione che il cardinale Scola offre, nella sua omelia, alle migliaia di fedeli riuniti in Duomo per la Celebrazione della I Domenica della Quaresima ambrosiana. Tempo di penitenza – che significa scendere nel profondo del proprio animo –, tempo  di conversione e di cambiamento. 
«La Quaresima è il tempo favorevole per la conversione, cioè per il cambiamento profondo del nostro io. Penitenza significa andare in profondità, ognuno di noi deve fare propria questa affermazione nei 40 giorni di cammino verso la rigenerazione profonda della nostra persona», dice, infatti, l’Arcivescovo. 
Quaresima, che ebbe da subito (come cammino dei Catecumeni in vista del battesimo, nella Veglia pasquale) un carattere battesimale, quindi, e insieme penitenziale, avendo così la Chiesa, come diceva Ambrogio, l’acqua del battesimo, appunto, e le lacrime della penitenza. Questo l’atteggiamento del «cuore che investe la mente e l’azione», con cui vivere il periodo quaresimale, anche nella sua positività. 
«La penitenza non è prevalentemente una posizione “negativa”, essa è una posizione “positiva”, che si attua nel dono. L’anima della penitenza cristiana è l’amore, sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi, come espressione in noi dell’amore di Cristo. Torniamo al battesimo che, con l’amore, ci fa figli di Dio: è qui che vanno inseriti i gesti tradizionali propri di questo tempo: il digiuno, l’astinenza, la condivisione del bisogno dell’altro anche attraverso l’elemosina e la preghiera più consapevole». 
In questa logica si inserisce, quest’anno, la Via Crucis che l’Arcivescovo guiderà nelle 7 Zone pastorali della Diocesi, iniziando venerdì prossimo dalla IV, a Saronno. 
«All’inizio di questo cammino troviamo il Padre che ci chiama. Dio non si rassegna alla separazione dai suoi figli, anche quando noi pecchiamo ma, per poterci riabbracciare, muore in Croce per ogni uomo. Siamo amati da Dio, in ogni rapporto e circostanza favorevole o meno, e la morte, la Risurrezione e la Croce di Gesù sono il segno di questa compagnia costante. È una stretta, quella della Trinità, che ci accompagna dal concepimento fino al termine naturale della vita. Egli si prende cura  per orientare gioie e dolori di ciascuno di noi alla felicità eterna  Bisogna ridirci questa verità».
Ma c’è, poi, la questione della libertà personale, quella di cui «il racconto delle tentazioni di Gesù nel deserto ci aiuta a renderci veramente conto». 
«Il diavolo attenta, con il sospetto, il suo rapporto filiale con il Padre attraverso le parole: “Se tu sei figlio di Dio..”.».
Così succede anche nella nostra vita, «nella nostra fragilità di creature e anche nella nostra grandezza perché siamo liberi». 
Le nostre fragilità ed errori, non nascondono forse sempre il rifiuto di riconoscerci figli? «Ma se ci capita di cadere nella malinconia della solitudine dobbiamo sapere che non siamo lasciati soli». 
Il pensiero è al Messaggio del papa per la Quaresima e per la sua visita che avverrà tra 20 giorni  «Prepariamoci a riceverlo con “volonterosa letizia”, pieni di volontà lieta, desiderosi di godere fino in fondo della sua testimonianza per impararne la gratuità». 
Poi, il Rito dell’Imposizione delle Ceneri, con il penitenziere maggiore della Cattedrale, monsignor 
Fausto Gilardi, che le impone al Cardinale, il quale, a sua volta, compie il gesto sui Canonici del Capitolo, per scendere poi, ai piedi dell’Altare maggiore dove, con gli altri Concelebranti, pone le ceneri sul capo dei moltissimi fedeli che, in silenzio, le ricevono.   

«Non di solo pane vivrà l’uomo»

Nel Vangelo odierno di Matteo Gesù è presentato come il nuovo Israele, che rivive l’esperienza del popolo eletto, chiamato da Dio «mio figlio primogenito». E come gli ebrei nel deserto, anche il Messia, avendo digiunato quaranta giorni e quaranta notti, infine ha fame. Nella splendida vetrata francese del XIII secolo - proveniente dalla cattedrale di Troyes, ma oggi conservata presso il Victoria and Albert Museum di Londra - il diavolo si para davanti a Gesù come una sorta di malefico serafino, con le ali ai fianchi, ai polsi e alle caviglie. E lo tenta, con il più fisico e primordiale tra i bisogni: quello del mangiare. Non per sfizio, ma per necessità vitale. «Se tu sei Figlio di Dio, di’ che queste pietre diventino pane», lo sfida Satana, presentandogli sassi che in realtà hanno già la forma di una grossa, fragrante michetta, una biova croccante, da far contorcere le budella a un affamato... Il pathos della scena è ancor più amplificato dai colori stessi, scelti dal maestro medievale non a caso, ma secondo un preciso codice simbolico: il giallo dell’invidia e della falsità nel volto del tentatore, il cui corpo è verde e squamato come quello dei rettili, avvolto dal rosso vivo delle fiamme dell’inferno; mentre il Cristo è ammantato di porpora, circonfuso dall’azzurro del cielo. Gesù che alza la mano destra, come a respingere anche fisicamente la tentazione, mentre con la sinistra stringe al petto il Libro, la Parola. Muta e chiara la risposta al diavolo: «Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio».
Luca Frigerio