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Milano

Quali risorse per aiutare chi è senza lavoro?

L’intervento del cardinale Turkson, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e Pace, al terzo incontro del ciclo “Dalla crisi economica alla speranza affidabile

di Annamaria BRACCINI

11 Maggio 2012

Chi salirebbe su un aereo, ai cui comandi è un pilota che può essere totalmente libero di infrangere le regole base della sicurezza internazionale o chi mangerebbe cibi che non vengono mai controllati? Ovviamente nessuno. E «allora perché un ambito come la finanza che definisce la vita e la sopravvivenza di Stati e di intere comunità, non deve essere regolamentato in modo chiaro e univoco?».

Il cardinale Peter Turkson, presidente del Pontificio Consiglio della Giustizia e Pace, non usa mezzi termini per spiegare la sua visione dell’attuale situazione dei mercati, della crisi e della sostenibilità dell’economia al livello globale. E le sue sono parole che pesano, in apertura dei lavori del terzo degli incontri “Dalla crisi economica alla speranza affidabile. L’economia in tempi di crisi. Quale sostegno alla famiglia”, promossi in vista di Family 2012. D’altra parte il tema specifico del confronto, che si svolge nella sede del Gruppo 24 Ore, è di quelli trasversali: l’impatto del travaglio in atto sul tessuto sociale e sulla famiglia e il welfare.

«Il modello americano è molto diverso da quello europeo, certamente migliore – dice Turkson – ma il problema è come si possa trovare le risorse per aiutare chi è in difficoltà o senza lavoro». Occorre, insomma, ripensare il modello generale di sviluppo, «intersecando diversi indicatori della trasformazione, come la diminuzione e l’invecchiamento della popolazione in Occidente, che viene oggi colmato dall’immigrazione. Mi auguro che il VII Incontro ci faccia ragionare, anche in termini non essenzialmente economici, su questi trends».

Un andamento economico, peraltro – fa capire il Cardinale, originario del Ghana – «che soffre perché la finanza, lungi dall’essere uno strumento per promuovere lo sviluppo e il benessere dell’uomo, è ormai divenuto un fine. La tentazione è di saldare finanza e politica perdendo di vista il bene comune, a favore di gruppi di potere o di interessi particolari difficilmente controllabili. Ricordiamoci che la deregulation finanziaria non è meno pericolosa di quella appunto del trasporto aereo o alimentare». Come uscirne, allora, e come essere propositivi soprattutto da cristiani? «Con l’attenzione e il richiamo alla destinazione etica dei beni, sapendo di avere a disposizione una risorsa assoluta come la persona e la famiglia, vera cellula base di ogni società».

Una visione ovviamente di respiro internazionale, ma che scendendo sul campo specificamente italiano, come è avvenuto nella tavola rotonda successiva, ha avuto il significato più che di una ricerca di soluzioni, di un interrogarsi a partire da dati chiari, nella loro crudezza. «Dal 2008 al 2009, il rallentamento mondiale della crescita è stato, nel nostro Paese, del 6,6% a fronte del 4,8% della media europea», ha evidenziato Anna Maria Tarantola, vicedirettore della Banca d’Italia. «Il reddito disponibile reale per le famiglie è sceso del 4%, mentre il Pil del 6%. Potrebbe sembrare una notizia positiva, ma bisogna considerare che negli altri Paesi dell’Ue il dato familiare è molto più incoraggiante».

«La famiglia che è un vero e proprio ammortizzatore sociale, vive oggi anche un ‘sovraccarico’ di funzioni nella rete informale di aiuto che potrebbe, a breve, generarne il collasso come realtà sociale», ha detto, invece, Linda Sabbadini, uno dei direttore dei Dipartimenti statistici del’Istat. «Il rischio è che le donne, che in maggior misura reggono il peso di tali reti informali, sottraggano sempre più tempo all’area dell’assistenza magari verso genitori anziani, o disabili… Questo in un momento di contrazione economica e del welfare, potrebbe essere un dramma».

E, in conclusione, il sociologo Magatti, scandisce: «Negli  anni Novanta non abbiamo saputo investire sul futuro, specie dell’istituzione familiare: i risultati li paghiamo ora, da quattro anni e continueremo ancora».

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