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Il problema

Profughi, la burocrazia
frena l’ospitalità in Diocesi

A fronte della disponibilità manifestata da 114 parrocchie e 17 enti religiosi, in mancanza dei bandi delle Prefetture e di adeguate formule giuridiche solo 7 delle prime e 3 dei secondi hanno aderito concretamente al piano d’accoglienza diffusa proposto dal cardinale Scola

13 Gennaio 2016

Da settembre a oggi nella Diocesi di Milano sono 114 le parrocchie e 17 gli enti religiosi che si sono dichiarati pronti ad aprire le porte, rispondendo in questo modo agli appelli lanciati questa estate da papa Francesco e dal cardinale Scola. L’ospitalità, tuttavia, è iniziata solo in 9 parrocchie (7 a Milano e provincia, 2 a Monza) e in 3 enti religiosi (Il Piccolo Cottolengo e le Suore Orsoline di San Carlo a Milano, Villa Sacro Cuore a Triuggio in Brianza).

L’ostacolo maggiore al varo di quel piano di accoglienza diffusa proposto dal cardinale Scola ai suoi sacerdoti alla ripresa delle attività dopo l’estate è essenzialmente di natura burocratica. «Il problema è complesso e l’ondata di arrivi ha colto tutti impreparati, tuttavia bisogna riconoscere che la macchina amministrativa è in affanno – spiega Luca Bettinelli dell’Ufficio stranieri di Caritas Ambrosiana -: ci sono parrocchie che potrebbero accogliere domani, ma che sono ferme a nastri di partenza, perché i bandi delle Prefetture ancora non sono stati pubblicati o non si è ancora trovata la formula giuridica con la quale affidare i progetti alle cooperative che dovranno gestirli».

Il piano diocesano prevede che tutti gli immobili – quelli delle parrocchie, degli istituti religiosi e dei singoli cittadini – siano ceduti in comodato gratuito alle cooperative della Caritas Ambrosiana. Saranno poi le cooperative – in funzione delle convenzioni stipulate con le prefetture competenti per territorio – ad assolvere agli obblighi di legge previsti: fornitura di vitto e vestiti, accompagnamento legale, alfabetizzazione, avvio di percorsi di inserimento lavorativo. Intorno a questo pilastro si svilupperanno poi le iniziative per favorire l’accoglienza: servizi di accompagnamento e assistenza erogati da gruppi di volontariato, al di fuori delle convenzioni e dunque senza alcun contributo pubblico, secondo un modello già sperimentato in occasioni di precedenti crisi (come la cosiddetta Emergenza Nord Africa, iniziata nel 2011e conclusasi nel 2013).

Il nuovo campanello di allarme era suonato a settembre. Era stato lo stesso cardinale Scola a intervenire personalmente sollecitando uno sforzo ulteriore rispetto a quello già fatto dalle parrocchie ambrosiane per l’accoglienza di migranti e dei profughi. «Alle comunità è chiesto di lasciarsi provocare dai bisogni di questi nostri fratelli migranti: questi gesti di generosità sono occasioni preziose per esprimere nella pratica la dimensione culturale della fede che ci chiede di esprimere, in ogni gesto della nostra esistenza, gli stessi sentimenti di Cristo», aveva sottolineato il Cardinale nel suo appello rivolto ai decani riuniti nel Seminario di Venegono Inferiore. Da quel momento le parrocchie si sono mobilitate. I parroci hanno censito gli immobili sfitti e inutilizzati e li hanno proposti a Caritas Ambrosiana per le verifiche del caso. 

Il piano diffuso implementerebbe un sistema di accoglienza in Diocesi che già può contare su 781 posti gestiti a vario titolo dalle rete ecclesiale. «Il nostro obiettivo è giungere a realizzare un sistema di accoglienza in Diocesi da mille posti, in media un posto per ogni parrocchia -sottolinea Luca Bettinelli -, in grado di assorbire, integrato con il sistema pubblico, anche situazioni eccezionali come quella che si è verificata in questi ultimi tre anni in seguito alla crisi in Libia e in Siria».

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