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28 maggio 2015

Pellegrinaggio ambrosiano a Torino

Massimo Pavanello

3 Giugno 2015

Da quando si è aperto il calendario straordinario per l’Ostensione della Sindone «ogni giorno arriva qualche gruppo da Milano», ci confermano dall’ufficio prenotazioni piemontese.

Quest’anno, poi, all’appuntamento in Duomo si aggiunge la ricorrenza del bicentenario della nascita di San Giovanni Bosco.

Entrambe le occasioni hanno un aggancio non estrinseco con la diocesi ambrosiana, spingendo molte persone a recarsi volentieri e quasi naturalmente sotto la Mole.

La Sindone, infatti, si trova a Torino in ragione di un pellegrinaggio intrapreso da S. Carlo. Negli ultimi tempi della sua vita, già malato, egli volle adempiere ad un voto. La nobile famiglia, per andare incontro al vescovo milanese, portò allora il Sacro telo a metà strada tra la Savoia e Milano: Torino. Dove rimase.

Quanto al legame tra i figli di Ambrogio e don Bosco non c’è bisogno di dilungarsi. Gli oratori impegnano la vita quotidiana di ogni parrocchia lombarda. Il Santo torinese quindi, in questi ambienti, non solo è citato ma vissuto.

Quanto ricordato sin qui ha trovato conferma anche nei cinquecento pellegrini della diocesi di Milano che si sono recati a Torino giovedì 28 maggio u.s. Li ha guidati Mons. Mario Delpini, Vicario generale di Milano, insieme ad una decina di preti.

I fedeli provenivano delle parrocchie del decanato di Besozzo, di Giussano, di Turro, di Villa Cortese. C’era anche un gruppo di pellegrini individuali, tra cui spiccava una rappresentanza della pastorale del lavoro della Polizia locale di Milano.

Dopo la preghiera davanti alla Sindone, nel Duomo cittadino, e la spiegazione della vita di don Bosco attraverso la visita all’opera di Valdocco, la giornata si è conclusa con una Santa Messa, nella Basilica di S. M. Ausiliatrice, presieduta da S.E. Mons. Mario Delpini.

Nella omelia il vescovo ha invitato a porsi una domanda precisa: “Dove stai guardando? Per capire dove vivi, al di là delle etichette che altri hanno attaccato su di te; per andare oltre le tue esibizioni. Dove stai guardando?”. Consapevoli che c’è un modo di vedere persino “malato, infelice, spaventato” dal quale prendere le distanze.

“C’è uno sguardo distratto, ha detto in apertura Delpini, che guarda tutto, ma non si ferma su niente. Come fanno certi turisti quando visitano le città senza capire. Oppure per alimentare le chiacchiere, per raccogliere elementi per il pettegolezzo”.

E c’è anche lo sguardo che rifugge la responsabilità. Quello, secondo il Vicario, che “non vuole fastidi. Scappa dai problemi. Volge lo sguardo dall’altra parte, impaurito dalle possibili conseguenze della prossimità. Giustificando questo atteggiamento col fatto di non avere tempo, oppure perché sfiduciato nel vedere che niente può servire”.

Tra l’elenco dei malati non manca, ha continuato il Pastore milanese, la voce definibile come “sguardo ripiegato su di sé. Di chi davanti allo specchio si compiace delle proprie capacità. Oppure si deprime guardando solo alle proprie brutture”.

Così come è deficitario pure lo “sguardo dipendente, in attesa. Quello di chi guarda l’orologio in attesa di qualcuno che verrà. Ponendo il proprio presente alle dipendenze di chi dovrà arrivare”.

Ma se le storture sono molteplici il rimedio è unico, come ha richiamato il vice del Cardinal Scola: “Il nostro pellegrinaggio di oggi ha volto lo sguardo infatti alla Sindone. Siamo venuti ad invocare la guarigione del nostro sguardo. Per chiedere uno sguardo di fede, che è atteggiamento di chi risponde ad una promessa affidabile nella persuasione che dall’Uomo del dolore viene a noi la consolazione”.

Ecco, ha concluso Delpini, “chi guarda la Sindone non fa solo un gesto fisico. Richiama la beatitudine evangelica che benedice i puri di cuore perché vedranno Dio. Questa visione sconfigge l’idea di un Dio che fa paura. Dove, del resto, si vede Dio? Nel Cristo crocefisso. Sentiamo così l’invito al pentimento e alla conversione. Anche perché Cristo ha sofferto, ma è risorto. E chi guarda a Gesù si accorge di esser guardato da lui da chissà quanto tempo”.