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Gocce di cultura

Miriam Cimnaghi, A spasso tra le lettere ebraiche – Suggerimenti di un’educatrice, EDB, Bologna 2013

Felice Asnaghi

10 Luglio 2013

Miriam Cimnaghi,  insegnante e profonda conoscitrice del mondo ebraico, in questo saggio approfondisce il pensiero educativo che permea l’ebraismo partendo  dalle riflessioni dei grandi maestri sulla  Torah o raccolte nel Talmud.

Il testo esordisce in maniera incisiva, tanto da spiazzare il lettore riportando alcuni versetti dei Proverbi:

Acquista la sapienza, acquista l’intelligenza, non dimenticare e non ti allontanare dalle parole della mia bocca.(Pr 4,5-6)

Dice sapienza, non sapere ed aggiunge intelligenza, cioè la capacità di comprendere il reale: un punto di partenza antico come il mondo ma estremamente attuale e rivoluzionario. Miriam Cimnaghi chiude la premessa chiedendosi se c’è un segreto dell’intelligenza ebraica, tentando di rispondere a una domanda che si è sentita rivolgere spesso mentre guidava i gruppi di pellegrini in Israele. Perché mai gli Ebrei, pur rappresentando solo lo 0,2% della popolazione mondiale, detengono il 20% di premi Nobel? La relatrice suggerisce che un merito  derivi dal tipo di educazione che si è ereditata e tramandata per molte generazioni: per gli Ebrei l’educazione ha sempre avuto un’importanza fondamentale, tanto è vero che nel secondo secolo dopo Cristo a Gerusalemme, abitata allora da poco più di 20mila abitanti, c’erano più di quattrocento scuole e pur di avere una scuola era lecito persino vendere la sinagoga. Raffrontato alla nostra realtà è come se in una città odierna delle stesse dimensioni ci fossero quattrocento scuole e per la loro gestione si potessero vendere i beni della parrocchia!

Superata la premessa, l’avventura educativa proposta dall’autrice inizia con una domanda determinante: Chi era dunque il maestro? E da qui il metodo di studio proposto si fa interessante: da un lato si vuol accompagnare il lettore lungo un percorso semantico originale che permette la comprensione etimologica delle parole; dall’altro la divisione del libro in piccoli capitoli facilita l’assorbimento dei concetti come libertà, verità, speranza, amore, amicizia, pace, umiltà, responsabilità, onore, tradizione, ecc… sempre accompagnati da esempi tratti dalle Sacre Scritture e ben calati nella realtà quotidiana. L’autrice propone alcuni approcci che facilitano il rapporto scuola-studente-maestro attraverso consigli.

Nella lingua ebraica il termine mor , maestro, deriva dal verbohrh che significa sia concepire, sia meditare nel proprio animo per poter trasmettere ciò che proviene dal proprio sentire. Quindi i maestri proprio come i genitori (orim, dalla stessa radice verbale) aiutano a far emergere le potenzialità di ogni bambino attraverso un lavoro effettuato su se stessi, un autoesame continuo ed instancabile che suggerisce gli strumenti educativi più adeguati ad ogni studente e situazione .

Il verbo del concepimento, hrh assomiglia al verbo yrh che significa non solo far segni muovendo le dita, guidare, dirigere, ma anche istruire, insegnare. Il termine Torah, il nome attribuito alla Bibbia ebraica per la sezione del Pentateuco, deriva proprio dal verbo yrh e che la Torah è sempre stata per l’ebreo osservante la base, il principio e la fine di ogni insegnamento: è l’istruzione, la dottrina per eccellenza.  Il verbo yrh ci fornisce allora la vera finalità dell’insegnamento: imprimere una direzione precisa, che è quella capace di condurre verso il divino, di maturare nel ragazzo il rapporto con l’assoluto.

 

Nelle fonti post-bibliche colui che insegna è chiamato melammed, oppuremodin, che ha il significato di colui che capisce. Non basta insegnare: occorre saper comunicare, accogliere, interpretare. La capacità dell’insegnante, la sua onestà, la sua disponibilità, la sua sapienza sono garanzia per l’alunno che gli viene affidato.

 

Lo stesso metodo di lavoro si utilizza per le parole relative allo studio, insegnamento e apprendimento. Tutte e tre si ritrovano nella radicelmd che esprime la volontà di voler insegnare qualcosa a qualcuno. Esse sono strettamente correlate proprio perché non si finisce mai di studiare ed insegnare affinché la trasmissione sia efficace.

 

Di questa radice discende il termine Talmud, testo che rappresenta il vero, fondamentale l’insegnamento per l’ebreo osservante. In questi libri si raccolgono le tradizioni orali di Israele e sono trascritte le discussioni di generazioni di maestri. È proprio dal Talmud che apprendiamo che processi interattivi e dialogici sono alla base di ogni importante processo conoscitivo.

 

Un altro verbo da porre in relazione con l’opera educativa è batak che significa fare affidamento, avere fiducia, mettere il piede al sicuro. Senza fiducia reciproca non si riesce a mettere in moto un processo autentico e soddisfacente di apprendimento.

Interessante al riguardo è la seguente storiella:

“Fu chiesto a un rabbino perché in tutti i trattati del Talmud babilonese manca la prima pagina e si comincia dalla seconda. Egli rispose: “Per quanto un uomo abbia studiato deve sempre ricordare che non è ancora arrivato alla prima pagina”.

Nella lingua ebraica si scrivono solo le consonanti (le vocali si aggiungono leggendo). Vocali diverse possono cambiare il significato della parola e quindi quello dell’intera frase. Questo dà dinamismo alla lingua perché sollecita la persona ad arricchire il proprio vocabolario. In questo modo la mente si apre al nuovo rinnovando l’antico e prezioso vocabolario.

L’opera educativa è rivolta in primo luogo ai banim (i figli), termine che ha la stessa radice di banah, costruire: la società e il futuro si costruiscono sui figli.

Parlando di giovani studenti in ebraico si usano termini diversi: nahar, elem, bahur.

Scrive Rav Shalom Bahbout:

 

Il primo termine naharderiva da una radice che significa agitarsi, scrollarsi di dosso, liberarsi. L’adolescente è senza dubbio molto di questo: si agita in diverse direzioni, vuole scrollarsi di dosso il controllo, vuole essere libero da un’autorità limitante, spesso si contrappone.

Elemrichiama il senso del nascosto, dello sparire, dell’essere ignoto, dimenticato. E in effetti il disagio giovanile discende da una percezione di sé come essere invisibile, nascosto. quasi dimenticato dal mondo e dagli adulti. Una modalità esistenziale che ha anche il suo lato volontario: quello di volersi nascondere, di ritagliarsi uno spazio individuale sconosciuto agli altri, in particolare del mondo dei grandi. Vi è infine l’ultimo termine bachur, che rimanda all’idea di scegliere ma anche, per certi versi, essere scelto.

 

Un dovere per l’insegnante è imparare ad apprendere dai propri allievi, prestando attenzione a ciascuno di loro per scoprirne il valore. Egli trasmette, ma le sollecitazioni che provengono dagli studenti lo costringono a trovare nuovi argomenti, nuove risposte, nuovi strumenti in una continua sfida che lo arricchisce.

Il maestro (come i genitori) allora prende spunto anche dalla tradizione ebraica, racconta agli alunni la nascita di alcune feste religiose, ne comunica il significato e le rende attuali. La storia non è più un passato ma un presente che si rinnova ogni giorno: Abramo, Isacco, Giacobbe diventano membri della famiglia come se con loro sia possibile parlare, discutere, creare legami.

Tutti sono chiamati ad imparare, persino dalle cose, dagli animali o dalle circostanze.

Un midrash racconta che Abramo disperato per la morte di Abele, nella sua inesperienza si chiedeva cosa fare del cadavere di questo figlio amato e stava a vegliarlo, con angoscia. Glielo insegnò un corvo che aveva perduto la sua compagna. Cominciò a scavare nel terreno con il becco e le zampe finché non ottenne una buca in cui porre il suo cadavere. Adamo seppe allora, grazie al corvo, come seppellire il figlio.

L’ebraismo ha elaborato nel corso del tempo proprie strategie educative che si possono dedurre dall’insegnamento dei maestri. Esse sono state discusse, condivise, analizzate da generazioni di studiosi di Talmud e della Torah, sperimentate, applicate, rinnovate e messe a punto da insegnanti che si sono succeduti nel tempo. Sono metodologie fondate su ascolto, memoria, dialogo,  diversità,  ripetizione, osservazione, immaginazione creativa. Si apprende come studiare insieme, come rendere stimolante una discussione e privilegiare il racconto con le sue sfumature simboliche e umoristiche, pratiche che continuano ad essere adottate nelle scuole e nelle yeshivoth (centri di studi degli ebrei ortodossi) confermandone l’efficacia.

Per esempio saper ascoltare col cuore non solo significa rendersi responsabili delle proprie scelte, ma anche aprirsi al rapporto con l’altro. Sulla tomba di Golda Meir c’è una scritta:

“Parlare è di tutti, tacere è di pochi, ascoltare è dei generosi”.

Oppure la Mishna, grande compilazione della legge ebraica prende il suo nome dal verboshana cioè ripetere. La tradizione ha permesso di mantenere vive le parole dei maestri fino alla loro codificazione nel testo scritto attraverso la continua, instancabile ripetizione che ha congelato le parole, fermandole, ma contemporaneamente arricchendole di nuove analisi e osservazioni.

Per un ebreo la curiosità assume molta importanza in quanto permette di vivere la vita a 360 gradi

 

Sezione a parte quella dei quarantotto gradini della Torah.  Nel capitolo Qinyan Torah dei Pirkqè Avot (“Detti dei padri”-  una raccolta di massime di antichi maestri ebrei) si indicano i quarantotto scalini che consentono di accedere alla Torah, ossia le condizioni che permettono di avvicinarsi al testo e studiarlo nel modo migliore. Sono suggerimenti pratici che vanno dal consiglio di ripetere e ascoltare i testi, alla critica e alla discussione assieme con altri compagni, non trascurando di mantenere un comportamento puro, corretto, retto e non arrogante.

Il capitolo seguente affronta alcuni suggerimenti dedotti dalla tradizione, utili a livello didattico. Ecco alcuni esempi: non è l’alunno che si deve adattare all’insegnante, ma l’insegnante all’alunno; imparare ogni giorno a benedire, o ringraziare; educare ai valori morali e godere delle semplici gioie; essere consapevoli dei propri limiti e a sapersi correggere al fine di crescere; coltivare la speranza e credere nell’amore…

Seguono alcuni insegnamenti didattici utili ai docenti come il far uso del canto o della cantillazione, lo studiare ad alta voce, il coltivare il bel canto, il collegare le lettere dell’alfabeto e le parole a cose concrete.

Non mancano suggerimenti  per la creazione di testi e  rivivere la centralità educativa del Seder di Pesah cioè la celebrazione rituale della Pasqua che ricorda l’esodo e la liberazione del popolo israelita dall’Egitto. Gesti, parole, simbologie millenarie  vengono rinnovate.