A 8 mesi dal terremoto, la situazione è ancora complessa e l’emergenza non è ancora finita. Tra 400 e 500 mila sfollati vivono ancora nelle tendopoli costruite nella capitale e nelle cittadine vicine, in condizioni igieniche precarie, con un futuro incerto. E almeno altrettanti negli scorsi mesi si sono trasferiti nelle zone del Paese meno colpite, mettendo a rischio la convivenza in villaggi rurali che si ritrovano a fare i conti con un aumento di popolazione imprevedibile. Nelle terre di origine questa gente ha trovato una rete sociale pronta ad accoglierle, ma il loro arrivo ha messo in crisi la già precaria rete di servizi e infrastrutture. Ne sa qualcosa don Giuseppe Noli, sacerdote ambrosiano da sette anni a Haiti. Nella sua parrocchia di Mare Rouge nel Nord Ovest del Paese, dove vivono 30 mila abitanti sparsi in diversi villaggi, sono arrivati nel giro di qualche settimana oltre 3mila sfollati, in totale 567 famiglie, ospitate da parenti, amici o conoscenti. Gente senza lavoro che ha perso tutto e che ha bisogno di essere assistita. «Queste zone sono povere – dice il sacerdote –. Gli sfollati aggiungono nuovi bisogni a bisogni vecchi».
Dopo il terremoto
La situazione ad Haiti
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