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Una parola di speranza

«In tempo di crisi nuovi stili di vita»

Dal cardinale Angelo Scola l’invito ad affrontare con fiducia la situazione drammatica che oggi stiamo attraversando. L’insegnamento della Chiesa: riportare il soggetto al cuore dell’economia di mercato

19 Settembre 2011

Pubblichiamo un’intervista al cardinale Angelo Scola comparsa sul settimanale diocesano Gente Venetasul numero 14 del 2009

 «L’evento della Pasqua è un dato storico, preciso, che noi viviamo nella liturgia non come una sacra rappresentazione, ma come un’azione della nostra libertà. E perciò si lega alla condizione storica della crisi».

E che messaggio ne viene?
La speranza a cui Gesù ci spalanca nella Pasqua è una speranza solidale. È l’espressione della solidarietà del Figlio di Dio con l’uomo: il Figlio di Dio, nel Suo incarnarsi, si fa carico di tutte le dimensioni della vita dell’uomo, e l’economia è una di queste. Perciò per noi cristiani, ma anche per chi riflette con ragionevolezza sulla situazione, credo che questa prospettiva di Cristo come principio-speranza solidale sia ciò cui dobbiamo guardare per uscire dalla crisi.

Come uscirne, appunto?
Credo sia necessario riequilibrare l’economia di mercato nella direzione di subordinare l’uso dei beni al valore e alla dignità del soggetto personale e comunitario. In questo senso, nella crisi è contenuto un invito profondo a mutare i nostri stili di vita.

Si tratta di ridurre i consumi, di “decrescere”, come afferma qualcuno?
No, non si tratta tanto di non consumare o di consumare di meno: al centro ci deve essere l’interrogarci su come consumare. Dobbiamo in primo luogo chiederci in che modo il consumo dilata e rende dignitosa la vita del soggetto e della comunità. In questo senso vedo un’analogia con il tema degli affetti: in che modo, infatti, gli affetti esaltano e compiono la persona e la comunità? Solo se sono vissuti nella ragionevolezza di un amore ordinato.

E i consumi?
Se sono assunti dentro la ragionevolezza dei beni materiali necessari ad espandere la dignità dell’uomo, occupano un posto importante nella nostra vita. Altrimenti producono squilibrio.

Lei, Eminenza, sta cioè invitando a riconoscere meglio i fini e i mezzi nell’economia?
Esattamente. Se si riporta il soggetto al cuore dell’economia di mercato, allora inesorabilmente si equilibra il rapporto fra il soggetto stesso e l’uso dei beni. In ciò basta ricordare il grande e antico insegnamento della Chiesa, proprio già dei tempi di san Tommaso, secondo cui tutto ci è dato in uso. La proprietà privata consiste nel fatto che tutto ci è dato in uso, ma la destinazione dei beni è universale. E qui si innesta un altro e basilare elemento: si esce dalla crisi ritrovando speranza non solo a partire dal primato del soggetto, ma anche dal fatto che la speranza che abbiamo delineato è per sua natura solidale.

Il che, tradotto nel concreto delle scelte economiche, cosa significa?
Che noi non usciremo dalla crisi se non sapremo andare incontro alle situazioni estreme di povertà – cominciando dalle persone che qui da noi, in Italia, perdono il lavoro, immigrati compresi – per andare ai bisogni dell’Africa. Il che vuol dire, per esempio, guardare alla povertà e alla miseria africane non solo come a problemi da affrontare per un dovere di giustizia e in un impeto di carità, ma come a opportunità per riequilibrare il mercato.

All’incirca com’è accaduto in questi ultimi anni con la Cina?
Certamente. Nel rispetto, però, di tutti i diritti dell’uomo e della società. Noi occidentali, così come siamo troppo ignavi verso l’Africa, siamo colpevoli circa la modalità con cui la Cina non sta affrontando il problema dei diritti dell’uomo.