Dopo gli anni delle grandi responsabilità, dopo il periodo in cui il tempo non bastava mai, dopo i giorni frenetici di appuntamenti e di incontri, finito ormai da tempo l’assedio dei giornalisti che vogliono sapere l’opinione del vescovo di Milano su questo e su quello, vengono gli anni in cui, lasciati i fastidi, restano gli onori e il privilegio di partecipare alle elezioni del Papa. Ma dopo che cosa viene, quando un Cardinale compie ottant’anni?
Dopo aver partecipato all’elezione di papa Benedetto e di papa Francesco, lasciando quindi anche la responsabilità del Conclave, mi sembra che il cardinale Dionigi ci aiuti a comprendere quello che viene dopo e quello che se ne può imparare. Libero dalle grandi responsabilità e dagli adempimenti irrinunciabili, il Cardinale ottantenne rivolge verso la Chiesa uno sguardo inedito e forse non facile da spiegare. Rivolge il suo sguardo alla Chiesa e nella realtà storica, istituzionale, organizzativa, riconosce un mistero da contemplare, un principio che unifica tutte le dimensioni in un volto amabile, incantevole. Chiama la Chiesa con il nome mistico e antico usato da sant’Ambrogio e da tutta la tradizione patristica: la Sposa.
Contemplare la Chiesa come la Sposa dell’Agnello introduce a comprendere che la Chiesa è tutta relativa al suo Signore e tutta la sua bellezza è uno splendore ricevuto come la luna risplende per la luce del sole. Quando il linguaggio dei mistici diventa il discorrere di un pastore che ha occupato le massime responsabilità istituzionali, allora chi l’ascolta è aiutato a riconoscere anche nell’adempimento più concreto, anche nella burocrazia più spicciola, anche nelle decisioni operative più fastidiose, la vocazione a diventare un dono d’amore che riveli la singolare identità di un popolo che vive nella storia e vi si impegna con tutte le sue forze, ma in sostanza ha una parola sola da dire: «Vieni, Signore Gesù!», la voce della Sposa. E il Cardinale ottantenne testimonia il dono più necessario da fare alla Chiesa: dopo averle dedicato tutta la vita e tutte le energie, resta ancora da offrire il dono essenziale. Il dono essenziale per la Chiesa è la contemplazione dello Sposo.
Forse per questo il cardinale Tettamanzi ha compiuto ottant’anni il 14 marzo 2014, primo venerdì di Quaresima, giorno di magro e digiuno dedicato alla contemplazione della croce. La festa quindi è stata senza torte e senza spumante, un giorno dedicato tutto e solo a invocare che «le piaghe del Signore siano impresse nel mio cuore».
Forse per questo il cardinale Angelo Scola e la Chiesa ambrosiana hanno deciso di festeggiare gli ottant’anni del cardinale Tettamanzi invitandolo a presiedere la celebrazione del Corpus Domini, portando il Santissimo Sacramento per le vie del Vigentino nella processione cittadina. È l’occasione per dire all’amata città di Milano, confusa e tribolata, indaffarate e stanca: «Città amata, lascia che chi si è preso cura in tanti modi della tua gente ti dica la verità. Milano, Milano, tu ti affanni e ti agiti per molte cose. Ma di una cosa sola c’è bisogno. Ecco: ti porto Gesù!».
Forse per questo, dopo aver molto parlato e scritto, il Cardinale ottantenne scrive poco e si sottrae alle interviste e lascia volentieri ad altri la parola: come per indicare che le parole da dire sono poche e che dopo tanti anni si riconosce l’intuizione profetica che ispirò la scelta del motto episcopale. Il cardinale Tettamanzi può infatti insegnare che per dire l’amore alla Chiesa, per nominare i doni più belli, bastano due parole: «Gaudium et Pax».
Grazie, Eminenza.